Divorzio aspetta dopo separazione. Perché in Italia, Irlanda e Polonia è peccato

di Lucio Fero
Pubblicato il 18 Marzo 2015 - 12:06 OLTRE 6 MESI FA
Divorzio aspetta dopo separazione. Perché in Italia, Irlanda e Polonia è peccato

Foto d’archivio

Quando in Italia arrivò la legge che dava la possibilità di divorziare (un po’ più di quaranta anni fa) il legislatore introiettò, fece sua la nozione cattolica di peccato. Peccato fu di fatto considerato il divorzio, peccato se non più propriamente religioso, di certo peccato civile di matrimonio fallito. E se c’era peccato ci poteva essere perdono (il divorzio appunto) ma ci doveva essere penitenza ed espiazione.

Penitenza ed espiazione che arrivarono nella forma di cinque anni di attesa, intervallo, congelamento obbligatorio per legge nella condizione di separati legalmente ma non divorziati e quindi in qualche modo ancora coniugi. Due coniugi infatti che ottenevano dal giudice la separazione legale dovevano aspettare cinque anni per divorziare. Il tempo era loro imposto dalla legge e la ragione, la funzione di questo tempo erano formalmente la possibilità di ripensarci. In sostanza erano cinque anni di penitenza per il peccato di matrimonio fallito.

Cinque anni, il tempo di cambiare una vita, il lavoro, la città, la condizione economica, quella di salute…Il tempo di trovare altri affetti, magari di mettere in piedi altra famiglia, magari felice e funzionante ma clandestina. Clandestina perché per cinque anni si era solo separati a norma di legge ma sempre marito e moglie.

Passarono un paio di decenni e la legge fu un po’ modificata: gli anni di attesa, di intervallo tra separazione legale e divorzio scesero a tre. Insomma uno sconto di pena, una penitenza abbreviata. Abbreviata sì, ma tre anni nella vita di un individuo non sono poca cosa.

Ora sembra proprio che sia in dirittura di arrivo ulteriore abbreviazione della penitenza: da tre anni a uno. Considerando i tempi delle giustizie civili e delle burocrazie italiane, un anno sembra più una promessa che una minaccia, più un regalo che una penitenza. Ma penitenza rimane perché penitenza deve rimanere.

Ma perché mai la legge considera una sorta di peccato civile il fallimento del matrimonio? Perché mai se due coniugi vanno dal giudice, raggiungono accordo su educazione e benessere dei figli, sulla spartizione dei beni comuni e su ogni altro possibile contenzioso (accade anche se pur di rado che contenzioso non ci sia) il giudice deve dire loro: sì, tutto a posto, tutto bene, siete separati, non vivete più insieme, il vostro progetto di coppia, la vostra coppia non ci sono più…però dovete aspettare un anno (erano 5, sono 3) per divorziare?

Perché la legge civile ricalca, riflette l’etica cattolica che vuole sia peccato sciogliere il matrimonio. La contro prova sta nel fatto che l’intervallo tra separazione legale e divorzio esiste per legge solo in Italia e Irlanda e Polonia. Cioè nei tre paesi dove nella storia etica cattolica e legge di Stato si sono maggiormente fusi e confusi.

Dunque penitenza civile resti anche se ridotta per il civile peccato di matrimonio fallito.

Neanche sfiorata poi dalla legge in arrivo l’altra incongruenza storico/sociale della legislazione divorzile. Oggi il coniuge con maggior reddito (quasi sempre l’uomo ma l’obiezione vale ovviamente al di là del genere di chi paga l’assegno) viene obbligato dalla legge a remunerare a vita il coniuge economicamente più debole. Anche qui una pena, una penitenza, un costo per il peccato di matrimonio fallito. Non un’equa divisione dei beni acquisiti durante il matrimonio, non una sorta di indennizzo al coniuge che durante il matrimonio ha rinunciato più dell’altro a qualcosa di sociale ed economico (quasi sempre la donna). Non una civile composizione di interessi rima uniti e che ora si separano calibrata sulla durata del matrimonio stesso.

Nulla di tutto questo. Al contrario assegno, magari anche minimo, a vita. Perché, sotto sotto, anche la legge civile non può fare a meno di pensare che, cattolicamente, si resta sposati per tutta la vita.