Francia sfora, Germania s’infuria: i soldi prendono paura

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Ottobre 2014 - 13:26 OLTRE 6 MESI FA
Francia sfora, Germania s'infuria: i soldi prendono paura

Foto d’archivio

ROMA – La Francia per i prossimi tre anni avrà un deficit ben sopra il 3 per cento del Pil. Violazione programmatica e pure sventolata della regola europea. La Francia consapevolmente sfora e comunica al mondo che continuerà a fare più debiti di quanto le sarebbe consentito dai Trattati europei appunto. Quanto al debito pubblico, Parigi si avvia ad inerpicarsi nel club dei paesi che viaggiano sopra il 100 per cento del Pil.

La Germania s’infuria, vede nella mossa francese la conferma dei suoi sospetti e della sua ossessione: i partner europei che fanno deficit e debito e accollano prima o poi, più prima che poi, la sostenibilità di quei deficit e debiti sul contribuente tedesco. Quindi la reazione tedesca è di bloccare il bloccabile, di mettere “un piede nella porta”, impedire alla Bce di comprare asset di debito/credito nel sistema finanziario europeo. C’è molta stizza e un po’ di panico nella reazione tedesca: immaginano di essere il ragazzo che con il dito nella falla della diga salva tutti dall’inondazione, finiscono per essere il pompiere che risparmia sull’acqua per non darla vinta agli imprudenti che hanno giocato con il fuoco.

La Bce di Mario Draghi rimprovera ai governi tutti di aver sprecato due anni. Era il 2012 e Mario Draghi fermava l’assalto all’euro dichiarando al mondo e ai mercati finanziari che Bce avrebbe fatto tutto per difenderlo e che…”sarebbe bastato”. Comprava tempo allora la Bce. Tempo comprato per i governi. Ma quello tedesco da allora si è ben guardato dall’utilizzare il suo surplus di bilancio da esportazioni, si guarda addirittura dalla spesa pubblica casalinga per le infrastrutture nazionali. Il governo, i governi italiani da allora non sono riusciti di fatto a riformare un bel nulla: non il sistema fiscale, non la Pubblica Amministrazione, non la produttività, non la scuola e l’università, non le professioni, non il mercato del lavoro…Nel 2011/2012 l’Italia era per constatazione evidente (non però per autoconsapevolezza di governanti e governati) un paese cui cambiare i connotati. Due anni dopo è ancora tale e quale.

Il governo francese le riforme non le ha messe nemmeno in cantiere, se in Italia le riforme di Renzi sono “annunci” e spizzichi e bocconi di fatti concrete, le riforme di Hollande non esistono neanche come progetto. L’annuncio dello sforo di bilancio fino al 2017 è un grido di disperazione, non di liberazione dall’austerità. Il governo di Parigi mette in conto 50 e passa miliardi di minor spesa pubblica negli stessi tre anni in cui fa sapere avrà deficit pubblico fuori regola europea. Tagliano eppure sforano, un disastro contabile e politico, presto sociale.

Gli unici governi che sembrano aver utilizzato in minima misura il tempo che loro è stato comprato da Draghi sono quelli che vi sono stati costretti da controllo e autorità esterna: Irlanda, Portogallo, Spagna e perfino Grecia. Stanno meno peggio ma non stanno certo in salute.

Bce fa sapere che continuerà a comprare tempo per i governi, per quel che può. Ma Draghi ormai non sa più come ripetere che Bce da sola non ce la fa e che il tempo da comprare sta finendo. Non bastasse, sull’Europa economica e politica il danno materiale della guerra commerciale in atto con la Russia, l’angoscia di una incertezza nella domanda cinese causa crisi Honk-Kong e derivati, la consapevolezza inconfessata che la guerra all’Isis non sarà anche economicamente una faccenda da pochi soldi. Ma in fondo tutto questo è contorno.

La sostanza, il piatto forte è che in una economia planetaria basata, come è ovvio, sul debito e sul credito l’Europa tutta sta assumendo le fattezze del problematico pagatore dei suoi debiti. Gira per il pianeta da tempo una immane nube tossica finanziaria, il monte dei titoli di ogni tipo e natura è largamente superiore al Pil, alla ricchezza mondiale prodotta. Insomma si investe, si produce e si consuma ovviamente a credito e a debito ma la possibilità che quote rilavante di questi crediti non possano essere incassati non è a livelli fisiologici. E’ molto più alta, è patologia contenuta ma non rimossa dal 2007 in poi. E il focolaio della patologia è proprio l’Europa.

Perché focolaio? Perché povera e debole? Per nulla di ciò. L’Europa è e resta una delle zone di maggior produzione di reddito, di maggior ricchezza accumulata, di maggior consumo. Insomma una forza economica di prima grandezza. Ma c’è un problema, di dimensioni storiche. Il sistema socio politico europeo si basa sul consenso. Per fortuna è così. Il consenso è la condizione di ogni governo e di ogni azione di governo. E’ una conquista storica che sia così, è una autentica meraviglia che distingue in meglio l’Europa da buona parte del resto del mondo. Il problema non è una “civilisation” fondata sul consenso. Il problema è che le opinioni pubbliche, i popoli, gli elettorati europei non concedono consenso a politiche e azioni di governo che rafforzino la garanzia che comunque gli europei onoreranno in pieno i loro debiti su scala planetaria.

Non c’è consenso, e si capisce, sulle politiche di tagli e tasse. Ma non c’è neanche consenso sulle politiche mirate ad incrementare la produzione di ricchezza modificando i connotati dell’istruzione, del lavoro, delle professioni. Ciascuna a sua modo, la “gente” offre consenso a chi sta fermo. Impone alla Merkel di non muovere un euro, ai governi di Parigi e Roma di non cambiare una sola abitudine, tutte promosse a diritti acquisiti. Per la prima volta dopo la seconda metà del “secolo breve” in cui democrazia e capitalismo andarono a nozze felici e prolifiche, nel primo e secondo decennio del Duemila consenso e sviluppo economico altercano, talvolta cominciano a vivere da separati in casa. E questo avviene nella casa migliore della democrazia e dell’economia, appunto l’Europa.

Se ne accorgono i soldi. I quali nulla sanno di storia o di democrazia. Avvertono però tanto confusamente quanto istintivamente che investire in Europa è un rischio in più. Che aprire una fabbrica qui è un rischio in più. Avvertono, fiutano che prima o poi qualcuno in Europa non onorerà, non pagherà i suoi debiti. Sanno i soldi che Bce compra ancora tempo prima che accada. Ma non sanno quanto tempo. I soldi di fronte all’Europa sono come tutti noi di fronte al mutamento climatico. Sappiamo che primo o poi cambierà di brutto e sarà un gran casino o anche peggio. Ma non sappiamo quando avverrà. E dovesse avvenire tra 50 anni, chi se ne frega. Così pensiamo, così ci comportiamo, compreso il chi se ne frega se è tra 50 anni. E se fosse tra 5 di anni? Allora ansia e accumulo di scorte. E se fosse tra 5 mesi? Allora paura e fuga.

Così fanno i soldi rispetto all’Europa, un giorno pensano sia tra 50 anni e quindi vai a cercare investimenti e rendimenti nei titoli azionari oppure vai a continuare con i debiti e deficit pubblici oppure vai a continuare con i diritti acquisiti e guai a chi li tocca. Un giorno pensano che sia tra cinque anni e allora tutti a mettere gli euro sotto il materasso (vedi in Italia l’enorme aumento dei depositi privati). Un giorno pensano sia tra cinque mesi e quindi meno 4 per cento in Borsa quando sembra di capire che Bce non può che comprare tempo per qualche altra settimana. Così fanno i soldi, c’è quando si esaltano e gasano. Quando stanno tranquilli. Più o meno è da due anni che stavano calmi. Adesso stanno riprendendo paura. Paura dell’Europa.