Impiccati a un doppio nodo scorsoio: milioni di stipendi da fame e…regalati

di Lucio Fero
Pubblicato il 15 Gennaio 2015 - 13:22 OLTRE 6 MESI FA
Impiccati a un doppio nodo scorsoio: milioni di stipendi da fame e...regalati

Impiccati a un doppio nodo scorsoio: milioni di stipendi da fame e…regalati

ROMA – Che gli dici a uno/a che a fine mese “chiude”, porta a casa più o meno 1.500 netti? Gli dici che il suo lavoro è improduttivo? Che la sua attività è obsoleta, che non c’è ragione economica per il suo reddito? Gli dici che il lavoro che fa serve a poco e che non sa come si lavora nel mondo contemporaneo? Gli dici che gli mancano le competenze, insomma che non sa fare? Molto spesso è questo che potresti dire con la forza dell’evidenza a molti dei milioni di italiani che guadagnano più o meno 1.500 netti al mese. Ma come si fa a dirglielo a uno/a con redditi da sopravvivenza, quasi da fame? Non si può e giustamente non glielo si dice.

E’ pieno in Italia di redditi da sopravvivenza, quasi fame. Millecinquecento al mese per l’affitto o il mutuo, le bollette, la benzina, il cibo, il vestiario, i figli se ci sono…Non bastano, bastano solo se integrati da pezzetti di patrimonio familiari, sovvenzioni in denaro e/o merci e cose da parte di genitori e nonni, micro attività e micro redditi più o meno in nero. Milioni e milioni di italiani a 1.500 al mese e qui si parla dei redditi veri, non di quelli truccati delle dichiarazioni al fisco.

Ed è contemporaneamente pieno in Italia di milioni di stipendiati e di lavoratori autonomi e professionisti a reddito basso addetti a lavori inutili, fittizi, fantasma. Oppure impegnati in attività cruciali ed essenziali, ma ad esse impegnati senza letteralmente competenze e qualificazioni professionali adeguate.

E’ un doppio nodo scorsoio cui il paese è impiccato (e qui poco importa sapere se ci si sia impiccato da solo o sotto l’attenta guida dei suoi rappresentanti politici, professionali, sindacali…). Stipendi, redditi, milioni di stipendi e redditi di pura sopravvivenza, quasi da fame. Eppure milioni di stipendi e redditi…regalati. Regalati, erogati, percepiti a prescindere da produttività, utilità sociale, competenze.

Ma che dici alle maestre d’asilo che assediano il Campidoglio perché non vogliono lavorare tre ore in più la settimana per continuare a percepire la quota accessoria del salario? Dici loro che è resistenza corporativa? Questo è ma loro ti sbattono in faccia la busta paga da 1.500, meno se si è precari/supplenti. E tu che dici, dici che il salario accessorio dei 24 mila dipendenti del Comune di Roma oggi è pagato senza corrispettivo lavoro? E dici quindi che i 1.500 si tagliano? Non puoi, non lo dici. Non si può tagliare a chi ha 1.500. E allora in qualche modo ci si accorda ad andare avanti più o meno come prima e il doppio nodo scorsoio si stringe ancora un po’.

Stipendi da sopravvivenza, quasi da fame per molti dei tre milioni e passa di lavoratori pubblici. Ma milioni di loro addetti a lavori inutili, procedure nocive e privi di competenze. Il pubblico impiego come isola maggiore nell’arcipelago delle incompetenze lavorative e professionali. Arcipelago la cui geografia comprende studi professionali, artigianato, piccola e media imprenditoria…E istituzioni quali il Parlamento e talvolta, non troppo di rado, le Università.

Milioni e milioni di redditi quasi fame percepiti senza corrispettivo di lavoro utile, produttivo e competente. Il doppio nodo scorsoio di anno in anno stringe, prima o poi soffocherà e non perché lo dicono i “cattivi” del pianeta ma perché lo dice il buon senso e lo attesta la storia delle comunità umane. E allora come si fa, come si dovrebbe fare?

Primo: tenere bloccati quegli stipendi da sopravvivenza, quasi fame. Il blocco degli stipendi degli statali non è una iattura, è una benedizione. O almeno lo sarebbe se fosse accompagnato da un fratello gemello: il pepe al sedere di quegli stessi stipendi in una parte variabile legata alla produttività, efficienza, riqualificazione professionale. Portare a 2.000 netti al mese e oltre chi fa funzionare in fretta e precisione la macchina dello Stato e lasciare a 1.500 chi continua a fare come prima.

Secondo: esaltare nel privato la contrattazione sindacale del salario a livello di azienda o distretto industriale e mortificare la contrattazione indifferenziata, generale e nazionale. Dunque premiare anche fiscalmente l’azienda che compra tecnologia, assume competenze. E favorire in questo tipo di aziende la crescita, massiccia e immediata del salario.

Terzo: una grande campagna nazionale di aggiornamento professionale. La cui organizzazione e gestione da sottrarre, per decreto se si potesse, alla politica locale e agli Ordini e lobby professionali. Si facesse sul serio, sarebbe da presentare alla Commissione Europea come una riforma-investimento il cui costo va scomputato dal tre per cento del deficit.

Quarto: un investimento, se le aziende avessero lungimiranza di bilancio e mercato, sui grandi mezzi di comunicazione, televisione in primo luogo. Un investimento pubblicitario ad hoc perché reti televisive, ma anche carta stampata e perché no anche chi vuole sa via web, offrano prodotti non “seri” e di “qualità” ma semplicemente di educazione, insegnamento, acculturamento. Insomma pubblicità per chi fa trasmissioni, pagine, sezioni dove si apprendano nozioni e quindi competenze.

Quinto: obbligare le scuole, le Università, l’intero sistema formativo e quindi anche quello della comunicazione di massa ad allevare, formare, istruire un ceto dirigente. Quello appunto dotato delle competenze generali e indispensabili. Le competenze perdute, abbandonate e neglette proprio nelle scuole e università e comunicazioni di massa: la capacità di contestualizzare nello spazio e nel tempo, la capacità di verbalizzare, la frequentazione con il complesso, la capacità di concettualizzare, la capacità di relazioni sociali…Insomma la competenza all’uso del pensiero. Il primo e ineludibile stadio per accedere alle competenze specifiche di ogni attività lavorativa e quindi di meritare finalmente con vantaggio di tutti un reddito non da 1.500 netti a fine mese.

Ma come si fa ad obbligare scuole, Università, comunicazione di massa? Ci vorrebbe…ci vorrebbe nelle scuole, nelle Università, nelle comunicazioni di massa un ceto dirigente acculturato e competente e dotato, disponibile alla religione civile appunto di un ceto dirigente: l’interesse generale. Ma come si fa a non vedere che questo tipo di ceto dirigente è come quel proverbiale coraggio: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Con tutti i nostri guai ce l’avevamo qualcosa del genere in Italia. In piccolo ma ce l’avevamo…fino a 30 anni fa, più o meno. Poi la diaspora, il deserto, il trionfo dei clown, l’orgoglio manifesto dell’incompetenza elevata a virtù civile.

Con un corollario intrigante: quando il lavoro salariato produce plusvalore dice la sinistra, e non solo la sinistra, anche la ragione sottoscrive, si dà la possibilità concreta e materiale dello sfruttamento del lavoro da parte del capitale. E quindi la sinistra politica e sociale sta dalla parte degli sfruttati. Ma quando alcune forme di lavoro salariato non producono plusvalore ma solo bassi redditi cosa è sinistra politica e sociale? Se è questione di poveri e povertà le religioni, anche quella islamica, sono meglio attrezzate a fornire reti di assistenza immanenti e trascendenti. Se è questione di difendere il basso reddito senza plusvalore, allora è difesa della rendita. Minima ma pur sempre rendita.

Ci sarebbe per la sinistra la questione e missione di favorire l’aumento delle risorse, della produzione di merci e servizi e della giustizia sociale attraverso cui merci e servizi vengono distribuiti e redistribuiti. Ci sarebbe…Ma c’è davvero una sinistra capace di sfilare il collo dal doppio nodo scorsoio di stipendi da fame…regalati?