Latorre, Girone, Caselli: test per Monti. Ce li ha gli “attributi”?

di Lucio Fero
Pubblicato il 22 Febbraio 2012 - 14:36 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Massimiliano Latorre, Salvatore Girone, Giancarlo Caselli: tre nomi sui quali il governo deve mostrare “attributi” di ingegno, polso e pugno eventualmente sbattuto sul tavolo. Non sono solo tre occasioni e tre opportunità per mostrarli, sono tre occasioni dovute. Non sono solo tre “casi”, sono tre test per misurare la fibra, la pasta di cui è fatto il governo. Finora tre occasioni non colte, tre doveri non assolti, tre test non ancora falliti ma certamente non superati.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono in una prigione del Kerala, Stato del Sud-Ovest della grande India. Sono militari, soldati italiani ed umiliante è stata la sequenza del vederli in divisa, zaino in spalla, passo dritto ma sguardo necessariamente incerto, incolonnati e scortati verso la detenzione. Umiliante per la loro dignità di soldati, per ciò che sono in quanto uomini e cittadini e per ciò che rappresentano: la loro divisa scortata in cella è la divisa dell’Italia, niente di meno. Una improvvida e forse pavida decisione dell’armatore della nave su cui erano imbarcati, imbarcati a protezione della nave e delle rotte contro la pirateria, li ha consegnati nelle mani della polizia e della magistratura del Kerala. Decisione improvvida, susseguente alla trappola e all’inganno tesi dagli indiani alla nave, all’equipaggio, ai due marò e all’immagine e alla sostanza dell’Italia. Via radio hanno chiesto gli indiani: avete subito un attacco di pirati? Alla risposta positiva è seguita la menzogna tesa ad arrestare i militari italiani: venite in porto, abbiamo dei pirati, venite ad identificarli. Non c’era nessun pirata e nessuna identificazione da fare: le autorità del Kerala hanno mentito e si sono vantate di averlo fatto. Volevano i due italiani in divisa e in galera. E se li sono presi. Con l’inganno e senza esibire prove. Non è stato mostrato anzi è stato nascosto lo scafo, il peschereccio che i militari italiani avrebbero colpito con le loro armi. Non è stata mostrata e forse neanche fatta una perizia balistica su quello scafo e sui corpi, sepolti in fretta, dei due pescatori indiani morti per colpi di arma da fuoco. Nessuna risposta è stata data dalle autorità indiane alla circostanza documentata per cui la nave italiana era al momento del tentato abbordaggio respinto a 33 miglia dalla costa, cioè in acque internazionali. Circostanza che assegna, a termini di diritto internazionale, l’accertamento dei fatti e delle responsabilità alla polizia e alla magistratura italiane. Con questa lunga sequenza di atti e di omissioni il governo centrale dell’India e quello dello Stato del Kerala hanno detto di fatto all’Italia: con i vostri uomini facciamo quel che vogliamo e a voi non resta che guardare, e subire, in silenzio.

Il governo italiano sta trattando, ha inviato in India un sottosegretario esperto di diplomazie, Staffan De Mistura, e il ministro Terzi ha ammesso di essere impegnato in una missione difficile perché gli indiani non sentono ragioni. Appare evidente l’intenzione di non turbare gli indiani. Prudenza a fin di bene, si pensa alla sorte dei due militari, si cerca di non alimentare suscettibilità, si cerca di tirarli fuori con sommessa prudenza. Pare però purtroppo che simile scelta non funzioni e comunque il tempo per perseguire simile strategia sta scadendo. Qui militari erano imbarcati a seguito di una intesa tra i paesi della Nato. Quindi il governo Monti usi questa “chiave” per portare la questione a dimensione europea. Europea e non solo: gli ottimi rapporti con Obama  da parte di Monti valgono in questo caso una sollecitazione al Dipartimento di Stato americano a far schieramento. Va insomma data subito nozione alle autorità di New Delhi e del Kerala che, se vogliono impartire “schiaffo all’Occidente”, l’Occidente tutto non è disposto a prenderselo. Va detto, il governo italiano deve dire in fretta che giudica intollerabile il trattamento cui è stata sottoposta la nave italiana, i militari italiani e l’Italia stessa. Troppo astuta e umiliante potrebbe essere un’eventuale strategia che “tiene conto”. Del fatto che in Kerala si vota, del fatto che le forze all’opposizione in quello Stato fanno campagna elettorale con slogan e manifestazioni “anti-occidente”. Troppo astuta e umiliante una strategia del “lasciamoli sfogare”, magari votare e poi i due marò li rilasciano. Non si tratta di dichiarar “guerra” all’India ma si tratta, eccome, di comunicare agli indiani che l’Italia non è un paese verso il quale tutto si può fare. Anche quello che gli indiani mai si sognerebbero di fare ad americani, inglesi, francesi, tedeschi. La credibilità di un paese si misura anche da questo, anche qui c’è uno spread da rimontare.

Si muova quindi con clamore e visibilità il governo per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che non sono solo due cittadini italiani finiti nei guai all’estero, sono due militari in divisa, due soldati della Repubblica italiana presi con l’inganno e senza prove da una Guardia Costiera e da una polizia di uno Stato straniero. Si muova il governo e non solo il governo. Quando era prigioniera Giuliana Sgrena e quando erano sotto sequestro le “Due Simone” si esponevano foto delle italiane in pericolo ai balconi dei Comuni, si manifestava in piazza, si accendevano fiaccolate, si tenevano veglie e giornali e televisioni non risparmiavano pagine e minuti. Certo, era diverso: erano cittadine italiane in mano a terroristi e non in mano a una polizia straniera. Però non vorremmo ci fosse per i due militari altra “diversità” all’origine della mancata mobilitazione e sgomento di pubblica opinione, non vorremmo che la “diversità” fosse che i due sono italiani in divisa. E che la divisa renda meno dovuta e parecchio più flebile la solidarietà. Rischiano la galera indiana per anni, in teoria perfino la pena di morte. Meritano i due di esser attivamente protetti, dal governo e da tutto il paese. Governo e paese lo devono a se stessi, ancor prima che a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

E veniamo a Giancarlo Caselli, magistrato della Repubblica Italiana. Magistrato della Repubblica cui viene impedito di parlare in pubblico sul territorio nazionale. In nome della No-Tav decine e centinaia lo tallonano, gli impediscono di parlare in ogni manifestazione pubblica, fosse anche la presentazione di un libro. Lo accusano di aver, dopo lunga indagine, indagine verificata e suffragata nei suoi risultati da altri dieci magistrati, emesso dei rinvii a giudizio. Rinvio a giudizio per quali ipotesi di reato? Quelli che hanno visto tutti in tv: l’assalto ai cantieri, la battaglia cercata e organizzata con la polizia. Non reato di manifestazione e di opinione, reati concreti e documentati. Dicono Caselli abbia “criminalizzato il movimento”. Nessuna migliore risposta di quella data da Caselli stesso: “E’ come se accusassero di criminalizzare il sesso chi rinvia a giudizio per stupro”. Non solo le decine e centinaia di No-Tav per cui l’unica legge buona e valida è quella che loro stessi stabiliscono sia “legalità” e ogni altra, compresa quella della Repubblica, è ignominia. Non solo loro, intorno a loro anche i molti, i troppi che invitano alla “prudenza”, a “tener conto”. Si legge di avvocati che dichiarano “più che inumane” le condizioni in cui vengono tenuti gli arrestati. Si lascia correre nel paese questa “narrazione” di vittime della repressione di uno Stato dispotico e crudele. E si lascia che le decine e centinaia impongano la loro giustizia e pena: il silenzio pubblico ad un magistrato della Repubblica che applica le leggi della Repubblica.

Il governo, il nuovo autorevole governo, il governo che sta mostrando agli italiani la capacità di decidere e sta reinsegnando al paese il valore delle regole sul caso Caselli, per Caselli ma soprattutto per se stesso e per il paese ha anche qui un’occasione, un’occasione dovuta. Si organizzi, si fissi e si pubblicizzi un pubblico appuntamento con Caselli. Si annunci che vi parteciperanno il presidente del Consiglio e il ministro degli Interni e quello dello Sviluppo economico. Appuntamento sotto il patrocinio del capo dello Stato. Napolitano, Monti, Passera, Cancellieri, Severino dietro quel tavolo da organizzare insieme a Caselli. E si invitino Berlusconi, Bersani, Casini, Bossi, Vendola, Di Pietro. E si spieghi con questi inviti che chi non viene si sottrae al patto civile della legalità. E se poi a quell’appuntamento si presentano, non per discutere ma per impedire, le decine e le centinaia, allora si mostri e dimostri che chi zittisce con la forza è in flagranza di reato e gliene si facciano subire le legalissime e doverose conseguenze.