Renzi smorfia: 41 la forza, 36 lo choc, 17 la disgrazia, 90 la paura

di Lucio Fero
Pubblicato il 16 Ottobre 2014 - 14:40 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi (foto Lapresse)

Matteo Renzi (foto Lapresse)

ROMA – Erano appena le prime ore del dopo legge di stabilità Italia 2015 e un brivido è corso anche per la sua schiena. Un brivido di paura. “La crisi che sta tornando prepotentemente sui mercati…”. Subito Matteo Renzi il brivido l’ha affogatodo l’ha affogato nello sciroppo-melassa dell’ottimismo (“Sono molto ottimista perché o tutti insieme si esce o nessun vincitore, quindi usciremo…”). Però poiché non è scemo e poiché la paura si sta facendo concreta, prende forma e sostanza, viaggia per il pianeta, la paura ce l’ha anche Renzi. Paura di qualcosa di più forte di lui e di più tosto e grande di qualunque cosa lui e gli altri possano inventare.

Il mondo, tutto il mondo dei soldi, quelli buoni e quelli cattivi se mai la distinzione possa avere un senso, sta provando paura. Ha paura e scappa. Scappa non si sa bene dove. I soldi hanno paura che la Cina rallenti aumento di produzione e consumi. Sta succedendo. Hanno paura i soldi dell’Europa che non tira e non gira. Hanno paura che la Germania impedirà a Draghi e alla Bce di fare quel che ha fatto per anni la Fed negli Usa: comprare titoli di credito e debito a vagonate. I soldi hanno paura, anzi certezza, che la Fed sta smettendo di farlo e quindi vedono i tassi di interesse in ascesa in America e quindi Wall Streeet destinata a scendere. I soldi hanno paura che il prezzo del petrolio che cala, qualunque sia il motivo per cui cala, annunci meno produzione oltre che meno speculazione sulle materie prime.

I soldi hanno paura che la Francia sballi il deficit e l’Italia sballi il debito. I soldi hanno paura dei costi di Ebola che arriveranno e saranno salati. E hanno paura della semi guerra in Ucraina. E hanno paura che qualcuno prima o poi in Europa “ristrutturi il debito”, cioè non paghi tutti i suoi debiti. E hanno paura che i Pil in Europa non crescano in maniera tale da rendere credibile il rimborso dei debiti. E hanno infine una gran paura della paura. Per questo le Borse sono un fuggi-fuggi, risalgono gli spread, i soldi di nuovo diffidano del continente europeo. Come nella “Smorfia” la paura fa novanta, il numero più alto che c’è appunto nella smorfia. Quando “esce” la paura comanda. E se la paura esce ancora spesso sulla “ruota” d’Europa, allora Renzi è fregato. Fregato, sbaragliato, sconfitto. Con molti altri governanti e con decine di milioni di governati, ma questa non è una consolazione. La crisi che non se n’è mai andata in questi giorni è pure tornata in prima fila, dunque la paura fa davvero novanta.

Contro la paura Matteo Renzi oppone lo choc. Lo choc per rianimare il paziente italiano. La manovra choc che non è ancora l’ultima rianimazione disperata al corpo morente ma è certo una delle ultime frustate possibili a un corpo sociale ed economico immobile. Uno choc che ha un numero: 36. Tanti sono i miliardi mossi dalla legge di stabilità per il 2015. Diciotto miliardi di tasse in meno e meno tasse solo sul lavoro e l’impresa. E’ una scelta politica molto nitida, tutt’altro che una scelta contabile. Si sgravano da tasse quelli che una volta si chiamavano i “produttori” (anche la sinistra li chiamava così). Si sgravano di tasse loro e solo loro nella speranza che ricomincino a produrre ricchezza: gli imprenditori con investimenti e assunzioni, i lavoratori con maggiore produttività.

Simmetricamente Matteo Renzi toglie o tenta di togliere una dozzina abbondante di miliardi a tutto il sistema dello status quo, delle cose come stanno. E’ questo il senso politico e non contabile dei sette/otto miliardi chiesti ai Comuni, Regioni e province come minori spese. Sono tanti, talmente tanti che Regioni, Comuni e Province per riuscirci dovrebbero non spendere meno, tagliare. Dovrebbero smettere di spendere per alcuni capitoli che invece considerano essenziali alla loro natura, alla loro missione: finanziare almeno un po’ qualunque cosa respiri o faccia finta di respirare sul loro territorio. Quelli delle cose “come stanno” si oppongono e si opporranno in una lunga guerriglia sui tagli. Faranno muro e orecchie da mercante con buona probabilità di successo. Sono disposti a girare i tagli in tasse locali a carico dei cittadini. E ce la possono fare a far fallire l’obiettivo della legge di stabilità, ce la possono fare a far sballare al governo il 3 per cento del deficit nel 2015 e quindi mandare Renzi e l’Italia a sbattere contro l’Europa e soprattutto contro i mercati.

Con lo choc da 36 miliardi Renzi prova con chiarezza e ancora con qualche timidezza a individuare e chiamare a raccolta un blocco sociale, appunto quello dei produttori. Inevitabilmente chiama anche ad organizzarsi contro l’altro blocco, quello della rendita. Rendita politica, di spesa pubblica, di diritti e garanzie acquisite. E qui Renzi incontra il terzo numero della sua “smorfia”, il 17, il numero delle disgrazie.

Una disgrazia per il paese avere un governo e un premier che fanno le pentole ma non i coperchi. Non che siano il diavolo, però i provvedimenti restano inapplicati, semi applicati…Si perdono nel tempo e nelle cose. La Pubblica Amministrazione è palude naturale e un po’ anche boicotta. Però ci deve essere e c’è incompetenza nei vertici dei Ministeri e del governo e delle Autorità varie. Incompetenza nella cucina e manutenzione del governare. Una disgrazia per il paese e, per chi ne aveva cura anche per la sinistra, avere una cultura diffusa, un pensiero dominante o quasi e una corrente del Pd e un partito sedicente alternativo come Sel e un sindacato come la Cgil che si ritrovano nelle parole dell’ultima intervista di Stefano Fassina. Bolla come “inaccettabili tagli al sociale” i tagli chiesti alla spesa pubblica di Regioni, Comuni e burocrazia politica varia. Quindi ecco cosa è il sociale per la sinistra alla Fassina, Vendola e Camusso: i soldi pubblici amministrati e distribuiti dalla politica locale. Produzione, produttività, salario, investimento, tasse sono per i Fassina tutte cose molto meno “sociali”. Gli assessorati come classe generale, una vera disgrazia per la sinistra. Non la malattia senile ma il vero e proprio Alzheimer politico di una grande tradizione.

Una disgrazia per il paese avere una politica (e una pubblica opinione e anche una pubblica informazione) tossica e intossicata. Perfino M5S in questo è Italia. Un ex senatore di m5S ha votato in Parlamento a favore del rinvio del pareggio di bilancio al 2017. Una cosa che è nella direzione di quel che M5S dice di volere, un sottrarsi sia pur momentaneo ai vincoli europei. Rinviare il pareggio di bilancio italiano ad anni migliori, comunque non adesso a costo di ancora austerità e tasse, è cosa che M5S vuole, anzi vuole di più. Ma quel senatore M5S lo chiama traditore e venduto perché…Perché ha votato con Renzi. Non importa se quel che voti è buono o cattivo, importa se vai a quel posto o non ci vai del nemico. Questa è la politica tossica e intossicata da tempo, la politica di Forza Italia, della Lega Nord, spesso del Pd. E anche di M5s. Diciassette, il numero della disgrazia che troppo spesso esce sulla ruota della vita pubblica italiana.

Resta l’ultimo numero della smorfia di Renzi, il 41. Per lui il 41 è la forza, il 41 per cento preso alle elezioni europee. Un’enormità. Ma pochissima roba rispetto alla immane potenza del 90 della paura dei soldi, al 17 della massiccia disgrazia di un sistema politico nazionale e locale che pratica lo status di Lobby Continua (le Regioni sì proprio le Regioni ora e sempre ribelli rispetto alla eventualità di essere organi amministrativi di spesa e non centri produttori di spesa). Poca roba quel 41 anche per sostenere la intima fragilità dello choc dei 36 miliardi. Uno choc che come ogni frustata è one shot. O funziona alla prima applicazione o non funziona. Poca roba il 41 per cento alle elezioni europee per sostenere questa smorfia ostile. E non è detto che il 41 torni ad uscire alla prossima giostra elettorale. Dovesse farlo, allora e solo allora si potrebbero mettere in fuga i numeri delle disgrazie nazionali, almeno quelle.