“Meno sbirri più lavoro”. Dietro non c’è solo mafia, anche talk-show e social

di Lucio Fero
Pubblicato il 21 Marzo 2017 - 06:01 OLTRE 6 MESI FA
"Meno sbirri più lavoro". Dietro non c'è solo mafia, anche talk-show e social

“Meno sbirri più lavoro”. Dietro non c’è solo mafia, anche talk-show e social (foto Ansa)

ROMA – “Meno sbirri più lavoro” è stato più volte scritto, a forza di vernice e soprattutto a sfregio allo Stato, sulle mura di Locri. Sulle mura dell’Arcivescovado, su quelle di un palazzo, di una scuola…La ronda con lo spray ha lavorato sodo (ovviamente nessuno ha visto nulla). Lavoro sodo e puntuale: si trattava di far rimangiare alle autorità quanto gli era uscito dalla bocca poche ore prima. Quel “la mafia senza onore” che era venuto qui in Calabria a pronunciare il presidente della Repubblica, quell’affollarsi di Stato, legalità e istituzioni che…non si dovevano permettere.

Certo, dietro le scritte sui muri contro “gli sbirri” c’è la mano diretta o mano amica o mano che tifa mafia e ‘ndrangheta. Forse manovalanza criminale che si è data da sola l’ordine di scrivere sulle mura per farsene un vanto. Forse ultras, ragazzi ultras di mafia e ‘ndrangheta attratti dalla sfida e dalla bravata. Forse anche un’azione pensata, comandata, congegnata e voluta come pezzo di strategia. Vai a sapere se i boss locali della criminalità organizzata preferiscono il profilo basso o la pernacchia pubblica allo Stato e alla legge. Come che sia, di certo le scritte a Locri in qualche modo le ha scritte la mafia.

Ma mica solo la mafia. Quel contrapporre Stato e lavoro, “sbirri” a lavoro non è solo farina del sacco della cultura mafiosa e ‘ndranghetista. Non è solo l’eco lontana, che pur risuona ancora, ma sempre l’eco di una cultura rurale e pre rurale è, dove la copertura mafiosa degli interessi era a suo modo welfare e lo Stato era perfino chi metteva a repentaglio questo welfare, questa assistenza e polizia sociale attuate dalla mafia. Lo Stato le metteva a rischio perché portava roba difficile da maneggiare come legalità, democrazia, volontà popolare, eguaglianza, cittadinanza…Allora i mafiosi e anche la gente, molta gente del Sud diceva (e se non diceva, pensava) che “almeno i mafiosi un lavoro lo danno, lo Stato no”.

Certo, c’è anche questo, molto di questo dietro quelle scritte a Locri. Pesa molto questo retaggio. Ma, da solo, sarebbe solo retaggio. Dietro quelle scritte c’è anche altro. Altro di molto contemporaneo e consolidato. C’è, anche se “a sua insaputa”, la cultura dei talk-show social politici che da un ventennio hanno un solo format di narrazione: lo Stato, le istituzioni, i poteri sempre “cattivi” e sempre avversari se non nemici dei cittadini. Sempre sordi ai bisogni dei cittadini, sempre sordidi nei loro traffici, sempre incapaci e sospetti e corrotti e bugiardi e infingardi. Venti anni a rappresentare, raccontare così e solo così ogni parte della res publica finisce con lo sposarsi (magari appunto a sua insaputa) con il retaggio culturale mafioso.

E, a celebrare le nozze, la recentissima e diffusissima liturgia dei social network. Là dove l’individuo ha sempre ragione ed è sempre martire. Dove si insegna e si esalta il raggiungimento della proprie aspirazioni sempre “nonostante tutto e nonostante gli ostacoli”, dove si predica che non esiste interesse collettivo e/o compatibilità sociale che abbia il diritto di temperare i “tuoi sogni”. Dove ogni ragione è bandita se non combacia con l’opinione. Dove ogni affermazione è sgravata dall’obbligo di poggiarsi su alcunché, tranne che su un umore. Dove lo Stato è mafia, mafia e lo Stato e tutto è un minestrone…

Ecco, dietro il “meno sbirri più lavoro” ci sono mafia, talk show e social. Non lo sanno, non sono alleati tra loro, ovviamente. Ma collaborano, eccome se collaborano. A dare una qualche “legittimità” a quelle scritte anti Stato.