I milioni di luglio, i miliardi di aprile e i piccoli voti di maggio

di Lucio Fero
Pubblicato il 11 Aprile 2012 - 14:40 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – C’è poco da votare il sei del prossimo mese e son comunque piccoli piccoli i voti di maggio. Poco da votare rispetto ai milioni di luglio, piccoli piccoli voti rispetto ai miliardi di aprile. I milioni di luglio saranno cento e più, saranno quelli che i partiti accettano di incassare come rata del “rimborso elettorale” delle elezioni 2008. Rimborso elettorale che, mai stancarsi di ricordarlo, non è rimborso di quanto speso dai partiti per fare politica. E’ invece cifra fissa, stipendio anzi rendita fissa che i partiti hanno assegnato a se stessi e che lo Stato paga loro. Partiti che in queste ore stanno allestendo una legge che niente meno stabilisca controlli su come li spendono quei soldi, controlli che prima non c’erano, che ora non ci sono perché quando i partiti fecero la legge sui soldi a loro destinati controlli non li vollero, neanche dipinti. Cifra, stipendio e rendita fissa superiore di almeno tre volte alle spese documentate e sostenute.

Non è quindi finanziamento pubblico delle spese dei partiti, è rendita superiore alle spese e dalle spese sganciata. Non è dunque sincera la tesi di chi comprensibilmente dice che in democrazia la possibilità di fare politica deve essere garantita a tutti anche con i soldi pubblici. Non è tesi sincera perché i partiti incassano più di quanto spendano per fare politica e infatti i loro tesorieri gestiscono il surplus, l’avanzo. Alcuni accumulando rispettando la legge, altri rubando per se stessi, altri distraendo fondi per amici e famiglia. Un sistema storto che i partiti dicono di voler raddrizzare. Ma insincera è anche questa conclamata volontà perché al troppo e al di più i partiti non rinunciano. E questo restare attaccati come ostriche, anzi cozze, ai cento e passa milioni di luglio è la prova mesta che c’è poco da votare il sei di maggio. Nessuna ingenuità, moralismo o anti politica alla base di questa constatazione. Il problema, l’affanno non è votare partiti che incassano soldi pubblici. E neanche partiti che ne incassano troppi. Il problema e l’affanno non sarebbe neanche votare partiti bagnati e intrisi dalla corruzione di uno, di pochi, di molti. Il problema e l’affanno è votare per partiti che sono organismi incapaci di scegliere e fare anche quel che a loro conviene.

Un partito politico, un sistema di partiti politici se vivo e vitale farebbe questo calcolo: rinuncio a cinquanta dei milioni di luglio e guadagno credibilità, immagine, consenso, voti e ruolo sociale. E’ calcolo facile ed elementare. Calcolo di convenienza e di sopravvivenza, non c’è bisogno di scomodare la morale e i sacri e astratti valori. Ma i partiti questo calcolo non sono in grado di farlo. Per la milionesima volta preferiscono il piatto di lenticchie alla primogenitura, i dieci, i venti milioni di euro al ruolo e alla dignità di chi raccoglie il consenso e gestisce la cosa pubblica. Forse non sono morti i partiti, infatti camminano. Di certo non sono vivi e vitali, non hanno le reazioni di un corpo vivo e cosciente o, se le hanno, le soffocano. Per questo c’è poco da votare il sei di maggio, i milioni di luglio ci dicono, anzi ci provano che non sanno, peggio non possono decidere e scegliere nemmeno ciò che a loro conviene. E, se fanno così sui soldi loro destinati, figurarsi su questioni più difficili e ardue: raddrizzare l’albero storto del fisco, cambiare i connotati al welfare, imporre una giustizia generazionale nel sopportare i pesi sociali ed economici della crisi. C’è poco da votare perché i partiti, prima ancora che buona o cattiva roba, sono poca roba. E te la raccomando l’anti politica: Beppe Grillo ha spiegato che Bossi e la Lega sono “vittime” del loro stare all’opposizione. Dunque sappiamo che anche Beppe Grillo condivide la cultura secondo la quale se c’è una magagna in casa propria è sempre il complotto di qualcun altro. Se e quando diventa politica, l’anti politica è pronta e decisa a difendere con i denti gli “affari suoi”.

E comunque i voti di maggio son piccoli piccoli a fronte dei miliardi di aprile. Miliardi e miliardi di debiti pubblici di cui si torna a temere possano essere non onorati. Miliardi e miliardi che mancano ai bilanci pubblici. L’Europa non è credibile nella difesa, anzi nella garanzia del suo debito. Perché l’Europa non c’è. C’è la Grecia che va a votare ed eleggerà secondo previsioni un Parlamento di Weimar, un Parlamento dove avranno la maggioranza piccoli e medi partiti che tutti rifiutano gli impegni finanziari appena sottoscritti da Atene. C’è la Francia che va a votare e probabilmente eleggerà un presidente che non sottoscriverà gli impegni di bilancio europei appena firmati. C’è la Germania che vota il prossimo anno e che non vuole la Bce continui a dare soldi alle banche europee, tanto meno comprare titoli pubblici di Stato europei. C’è la Spagna in cui l’autonomia finanziaria delle Regioni si mangia e buca le manovre decise dal governo di Madrid (una mano soccorrevole ha impedito che qualcosa del genere accadesse in Italia fermando il costituirsi di venti autonomi mini-stati irresponsabili nella spesa). C’è l’Italia dove Parlamento e parti sociali stanno smontando la flebile riforma del mercato del lavoro e dove Alfano, segretario del partito più grande, dice di voler abolire l’Imu nel 2013. Dice quindi di voler togliere al fisco e allo Stato undici miliardi. Ovviamente senza dire dove trovare altrimenti quegli undici miliardi. C’è ogni Stato e nazione, ogni popolo ed elettorato che va per conto suo. Di fronte ai miliardi di aprile c’è da votare per partiti che mentono e nascondono. Nel migliore dei casi dunque un voto impotente, un voto piccolo piccolo.