Quel paga tardi conveniva a tutti, ma questo non c’è Grillo che lo canti

di Lucio Fero
Pubblicato il 7 Maggio 2012 - 08:30 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Settanta, forse cento miliardi di euro che la Pubblica Amministrazione ha di debito con le imprese. Una cifra pazzesca nella sua grandezza ed anche nella sua approssimazione: che non si sappia se sono settanta o cento vuol dire che nessuno sa davvero quanti sono i miliardi non pagati. Ma perché non venivano pagati e chi non pagava? Tutti riportano la “cifra pazzesca” ma non un minuto ci si ferma a chiedersi come è stato possibile che una simile montagna si sia accumulata.

Una delle risposte, se non “la” risposta è che quel pagar tardi, il più tardi possibile, conveniva a tutti. Alle Regioni, ai Comuni e agli Enti Locali in primo luogo. E perché conveniva tirarla in lungo a chi doveva pagare? Non solo come si può pensare per pagare appunto il più tardi possibile, questa è solo la prima “buccia” della convenienza. Conveniva non pagar subito e rimandare perché così si poteva allungare a dismisura, anzi senza misura, il brodo caldo della spesa. Poiché l’esborso di cassa si allungava nel tempo le Pubbliche Amministrazioni potevano contrarre impegni di spesa praticamente senza controllo, impegni di spesa che erano anche assicurazioni sulla vita politica delle amministrazioni che li sottoscrivevano.

Aumentare i capitoli di spesa e pagar tardi conveniva a sindaci, governatori, giunte, assessori. Ma conveniva anche agli imprenditori di quelle aziende che lavoravano per il “pubblico” e venivano pagate con molti mesi se non anni di ritardo. I ritardi cronici determinavano alti interessi di mora e comunque venivano inglobati nel “monte” appalto. Soprattutto nel frattempo gli imprenditori si facevano anticipare dal sistema bancario le somme che la Pubblica Amministrazione non pagava guadagnando nella differenza tra i tassi di interessi da pagare e e gli interessi di mora da incassare.

Conveniva a tutti, a rimetterci era solo il contribuente che era il vero pagatore finale. Conveniva alle Pubbliche Amministrazioni ingrassare la spesa e conveniva agli imprenditori aspettare di sedersi alla tavola comunque imbandita. Il di più, il maggior costo lo si pagava con le tasse. Ora il meccanismo si è rotto: le banche non anticipano più e la spesa delle Pubbliche Amministrazioni è, se non fermata, almeno sotto monitoraggio. Ed ecco allora che il dramma, dramma vero, esplode. Ecco che quella montagna di miliardi non pagati può franare sulle imprese e sugli imprenditori seppellendoli. Vanno salvati, in fretta e Corrado Passera deve sbrigarsi a mettere in circolo miliardi con accordi con l’Abi. Però è pura verità che quella montagna è stata costruita anche con l’accordo delle imprese che ci “stavano” perché conveniva anche a loro. La verità non ha molti amici e quasi nessun tifoso, però è nelle cose e nelle cifre: nessun sistema di imprese avrebbe fatto accumulare 70/100 miliardi di debiti non pagati se non ci fosse stata una convenienza.

E chi non pagava e ancora soprattutto non paga? Lo Stato centrale è debitore di circa 18 miliardi di quei settanta/cento. Le Regioni invece sono debitrici di circa 30/60 miliardi. Come “circa”? Circa perché nessuno lo sa, le Regioni fino a ieri, anzi fino ad oggi hanno speso senza gran trasparenza e comunque molto più dello Stato centrale. E hanno fatto un sacco di debiti, cioè hanno cosparso il territorio geografico e sociale di promesse di pagamento. Dice nulla il fatto che la gran parte dei debiti siano pagamenti non effettuati dalle Asl e che la gran parte degli sprechi, degli incomprensibili divari di costi e prestazioni, delle inchieste e degli scandali siano nel settore, guarda caso, della sanità pubblica? Non solo la verità non ha amici né tifosi, spesso e di sicuro stavolta è anche un film in cui la parte dei “buoni” resta scoperta. Spendere il più possibile grazie anche alla pratica di pagare il più tardi possibile era scelta che conveniva alla politica, all’impresa e anche alle professioni, ai “comitati” e ai “movimenti”. Puniva solo il contribuente. Ma questo canzone di verità non c’è nessun Grillo che la canti.