Su Penati “indaga” la Commissione Pd, quella che “ammonisce” chi denuncia

di Lucio Fero
Pubblicato il 29 Agosto 2011 - 14:23 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Su di lui indaga e incombe niente meno che la “Commissione di garanzia del Pd”. Lui è Filippo Penati, non è stato arrestato solo perché i magistrati che lo ritengono meritevole di arresto si sono fermati di fronte alla “prescrizione”, cioè quella facilitazione per accusati di tangenti e corruzione a suo tempo inventata e fatta diventare legge dal Pdl e alleati. Quella, proprio quella che il Pd chiama “scandalosa legge ad personam”, una delle tante. Scattata per Berlusconi, scattata per Penati. Lui è Filippo Penati, a lungo uno degli uomini chiave del Pd in Lombardia, a lungo collaboratore e consigliere del segretario del Pd Bersani. Quel Bersani che ora dice “Non mi capacito”. Non si capacita il segretario e quindi il Pd ha fatto scendere in campo lei, la “Commissione di Garanzia”. Lei è quella Commissione che…ha severamente rimproverato quattro uomini del Pd che avevano denunciato un “intreccio” tra un aspirante candidato del Pd e un boss mafioso, intreccio di appalti.

La storia la racconta il Corriere della Sera. I quattro “rimproverati” sono Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Giuseppe Lumia (tre senatori) ed Ermete Realacci. Avevano indagato, eccome su Vladimiro Crisafulli, anch’egli parlamentare del Pd. E, dopo le indagini, avevano scritto una lettera al segretario, Pier Luigi Bersani, mettendo nero su bianco le risultanze delle indagini. Chiedendo, a conclusione della lettera, che Crisafulli non fosse candidato a sindaco di Enna. Crisafulli quella candidatura non la ottenne. Però ottenne, eccome, soddisfazione. Crisafulli infatti denunciò i quattro denuncianti alla “Commissione di Garanzia”. E la Commissione decretò che i quattro “erano venuti meno alla lealtà di partito”. Cosa avevano fatto di “sleale” i quattro? Avevano filmato una conversazione tra Crisafulli e un boss degli appalti di Enna, boss già condannato per fatti di mafia.

Filmare un “collega”, atto profondamente “sleale” secondo la Commissione. Tanto sleale da indurre la Commissione a spiegare ai quattro che, avessero insistito con questi metodi, sarebbero stati espulsi dal partito. Non a caso infatti la “Commissione”, presieduta da Luigi Berlinguer, è di “Garanzia”. Garanzia interna che cane non morda cane. Ora è questa Commissione che deve giudicare di Filippo Penati, se ammonirlo, sospenderlo o espellerlo dal partito. Bersani “non si capacita” ed in effetti è difficile “capacitarsi” di un partito che accetta, si rifugia e si nasconde dietro i tempi lunghi e le procedure “garantiste”. Non quelle delle giustizia ordinaria che sono diritto e tutela di ogni cittadino. No, i tempi omerici e i garbugli esitanti della verifica “interna”. Non sta al Pd fare il processo a Filippo Penati, ma starebbe al Pd non accettare, non rifugiarsi, non nascondersi: un dirigente che la magistratura vorrebbe arrestare, arrestare come ad esempio Alfonso Papa, un dirigente non arrestato solo grazie al garbuglio della prescrizione “azzeccato” dai vari Ghedini di Berlusconi, un dirigente che si autosospende ma non annuncia il pronto e totale ritiro dalla vita pubblica. Un partito che guarda ipnotizzato l’accusa secondo la quale uno dei suoi avrebbe creato un “centro direzionale della tangente democratica”, questo scrivono i magistrati. Un partito il cui leader aveva minacciato “class action” dei militanti e iscritti contro le notizie che ad arte lo diffamano. Un partito che si ripara e si nasconde dietro la “Commissione di Garanzia”. Il buon nome del Pd, il buon nome della “ditta” come la chiama Bersani dovrà essere difeso da una class action degli elettori contro queste Commissioni e dirigenti?