Profughi, porte aperte e applausi. Tranquilli, non in Italia

di Lucio Fero
Pubblicato il 7 Settembre 2015 - 14:19 OLTRE 6 MESI FA
Profughi, porte aperte e applausi. Tranquilli, non in Italia

L’arrivo dei profughi siriani alla stazione di Mainz

ROMA – Domenica sei settembre 2015, titolo di prima pagina del Corriere della Sera: “Profughi, porte aperte e applausi”. Più o meno lo stesso titolo di cronaca di buona parte dei quotidiani italiani. Tranquilli però, le porte aperte ai profughi e gli applausi in strada della gente che li vede arrivare non sono cose italiane. E’ successo a Vienna, a Monaco di Baviera, a Berlino che la gente sia andata ad accogliere ed aiutare, che l’arrivo dei profughi sia stato vissuto da gran parte della popolazione come evento bello, buono e giusto. Tranquilli, non Italia.

Lo spirito pubblico del nostro paese oggi rende neanche immaginabili simili scene in Italia. Italia che qua e là si è mobilitata sì, ma per chiedere, intimare, ottenere il: qui da noi profughi no. Impensabile, letteralmente impensabile la stazione di Milano circondata da gente che canta inni per festeggiare, sì festeggiare, l’arrivo dei profughi. Impensabile la gente di Roma, Napoli, Bari, Torino, Genova che scende in strada ad applaudire l’evento. Sopportarlo magari, ma applaudirlo proprio no.

Lo spirito pubblico qui e oggi italiano, se non è proprio quello di altro quotidiano che nello stesso giorno attaccava la Merkel “che apre le porte all’invasione” e impegnava i governi d’Europa a “non abdicare al sacro dovere di difendere le frontiere, di certo è lontano un paio di galassie da quello che le cronache registrano in Germania e in Austria. A ben guardare, spirito pubblico italiano riguardo ai profughi lontano anche dallo spirito pubblico della Gran Bretagna. Lì è stata la pressione della pubblica opinione a imporre a Cameron, al governo, di, rifiutando certo le “quote”, annunciare il via libera, la frontiera aperta ad almeno 15 mila profughi da prelevare nei campi della Giordania. Il governo di Londra è tra i più chiusi sulla questione profughi, quello di Roma tra i meno chiusi. Ma provate a immaginare il governo di Roma che annuncia che se ne va a prendere quindicimila laggiù…Impensabile: lo spirito pubblico oggi dominante in Italia non capirebbe e non permetterebbe.

Dominante, egemone. Per decenni in Italia si è data per ovvia e scontata, in un paese dai comportamenti elettorali moderati, conservatori se non proprio reazionari, una sorta di egemonia culturale dei progressisti e addirittura rivoluzionari. Oggi, sul tema dei profughi e più in generale dell’immigrazione, l’egemonia culturale è quella della diffidenza, ostilità, ripulsa. All’affermarsi di questa egemonia hanno contribuito sia la facilità con cui robuste componenti dell’immigrazione hanno occupato nicchie e non solo nicchie delle attività criminali e comunque clandestine, sia la narrazione, lo storytelling irresponsabile, isterico e incompetente della comunicazione, massimamente quella televisiva. Come che sia, oggi il sentimento egemone è quello e con le notizie non si polemizza.

Sentimento egemone nello spirito pubblico italiano che non arriva alla sintonia con Marine Le Pen quando accusa la Merkel di “volere schiavi”. Così la destra francese reagisce alla decisione tedesca di accogliere i profughi di guerra. Beh, lo spirito pubblico italiano non è così battagliero come quello della destra francese né così avido di decisioni isolazioniste come quello della destra britannica. Lo spirito pubblico italiano qui e oggi è, secondo tradizione e cultura locale, localistico appunto. Profughi? Forse, meglio di no. Comunque l’importante è non sotto i miei occhi.

E’ una variante, tradizionalmente mediterranea. Ben diversa, agli antipodi con l’autentica religione del dovere tedesca e con l’ideologia della razionalità ragionante di Berlino e dintorni. Diversa dalla tentazione isolazionista britannica che però non ce la fa ad essere totale. Diversa, anche se un po’ somiglia alla attuale amnesia e rimozione di governo e di gente spagnola. Diversa dal tentennare oscillante francese, la Francia sempre viva della Vandea e Petain, la Francia opposta dei Lumi.

Diversissimi poi noi italiani dalla Cortina del No. Era la Cortina di ferro, è la Cortina del no allo straniero. Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria…Non sono passati trenta anni…Per quasi mezzo secolo ungheresi, polacchi, cecoslovacchi, bulgari sono scappati, fuggiti, hanno attraversato clandestinamente le frontiere. Scappavano dal comunismo e ottenevano accoglienza e aiuto. Dopo trenta anni, neanche trenta anni vogliono frontiere blindate, muri, filo spinato, vagoni piombati, campi detenzione, polizia che usi maniere forti. Orban, premier ungherese, ha appena offerto, magnanimo, che la sua polizia non sparerà su chi prova a  varcare la frontiere.

Perché la Cortina del No? Perché dove maggiore fu il comunismo in terra (Germania Est e Ucraina comprese) maggiore è il fascino e la militanza per il neo nazismo e maggiore è l’avversione allo straniero, qualunque straniero, peggio che mai se viene dell’Africa o dal Medio Oriente? Bernardo valli su La Repubblica propone una lettura in chiave di omogeneità etnica nazionale appena raggiunta dopo la caduta del regime sovietico e quindi oggi difesa come mito e feticcio. Forse c’entra qualcosa e anche più di qualcosa la storia profonda di queste terre e popoli quasi sempre legata a organizzazioni statuali o para statuali sempre comunque basate sulla unica legittimazione della terra e del sangue. Insomma la grande nazione, polacca o ungherese che sia, è sempre stata la grande tribù, polacca o ungherese che sia, e mai la monarchia e la rivoluzione francesi o il parlamento e l’impero britannici. E la tribù teme, ha orrore della mescolanza.

Forse…Certo è che vivendo nella nostra realtà, nel sentir comune e pubblico italiani, le porte aperte e gli applausi all’arrivo dei profughi di Vienna, Monaco e Berlino ci hanno sorpreso. Tranquilli, però, qui da noi non si vedranno.