Spelacchio al Pantheon

di Lucio Fero
Pubblicato il 19 Dicembre 2017 - 15:01 OLTRE 6 MESI FA
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Spelacchio è morto. L’ironia del web: “Portatelo al Pantheon” (foto Ansa)

ROMA – Spelacchio al Pantheon, prendiamola a sorridere (ridere è parola grossa) che è Natale. Spelacchio al Pantheon, rubiamo l’arguzia ad anonimo autore del link sul web. Il link tra due cronache miserelle, quella degli eredi e rampolli e contemporanea progenie di casa Savoia e quella dell’abete rosso della Val di Fiemme che non ha retto l’impatto con la Capitale. Il link colto e indicato dall’anonimo dalla battuta pronta è il grottesco. Ci sta, eccome se ci sta. Un link sia pure tra storie tra loro incommensurabili ci sta. Ed è un link che si coglie solo buttandola a sorridere.

Spelacchio albero di Natale comprato per Roma a festa illustrare è ufficialmente morto. Ne dà notizia accorata ma sperando non ne persista memoria di tutta la vicenda un ufficio della burocrazia capitolina. Botanicamente era ovviamente morto quando l’hanno tagliato. Ma esteticamente gli abeti rossi resistono due mesi. A Roma però no. Forse il trasporto, forse l’installazione, chissà. Più probabilmente Spelacchio si è adattato all’ambiente. Ed è stato da subito miserello, spoglio…Spelacchio appunto.

Ora a Piazza Venezia ne restano le spoglie e l’arguzia su web ha coniato il surreale ma non tanto: no, il dibattito no sulle spoglie al Pantheon. Pantheon nel quale i Savoia contemporanei (non tutti ma quasi) con supremo sprezzo del ridicolo esigono siano traslate le spoglie di Vittorio Emanuele III.

Posteri di quel re ingombrano le cronache di questi giorni esigendo sia tributato a Vittorio Emanuele III l’omaggio postumo della nazione con la traslazione nel mausoleo dei grandi della patria. Grande della patria il sovrano che per calcolo o pavidità si rifiutò di fermare la marcia su Roma dei fascisti, avallando così il colpo di Stato? Grande della patria il sovrano che non batté ciglio di fronte all’omicidio Matteotti e all’instaurazione della dittatura? Grande della patria il sovrano che controfirmò le leggi razziali, accettò l’alleanza con Hitler e la guerra al suo fianco. Grande della patria il sovrano che fuggì da Roma l’8 settembre 1943 lasciando senza indicazioni, ordini e quindi abbandonando esercito, capitale e patria?

Grande è solo la pretesa di discendenti piccoli piccoli di casa Savoia. Personaggi non a caso soprattutto di gossip, figurine televisive, protagonisti e interpreti di storielle, la Storia non è la loro dimensione. A casa Savoia nessun trono fu tolto, furono le scelte e gli atti di quel sovrano a togliere ai Savoia regno e legittimità. Anche prima che a farlo fosse un referendum in cui gli italiani scelsero la monarchia. E a Vittorio Emanuele III nessun grazie e onore è dovuto, anzi.

E’ stata una scelta gentile di Mattarella consentire al rientro in Italia delle salme del re e della moglie. Ma, col senno di poi della reazione di buona parte della famiglia vivente, è stata troppa grazia per una dinastia oggi piccola piccola. Piccola di spessore culturale e civico.

Spelacchio è anch’esso prodotto di qualcosa di piccolo piccolo nelle competenze tecniche e nell’agire quotidiano: la burocrazia capitolina. Ci vuole, ce ne vuole per comprare a 50 mila euro un albero di Natale e ritrovarsi in piazza uno…Spelacchio. Ce ne vuole tanto di “non mi compete” e di trasandata gestione delle cose pubbliche.

Vicende incommensurabili tra loro quella di una dinastia inconsapevole della Storia e astiosa quanto supponente nella sua persistente alterigia e quella di un abete spelacchiato a far l’albero di Natale a Piazza Venezia. Eppure un link c’è: in entrambi i casi l’enormità della presunzione unita alla piccolezza dei presuntuosi. In fondo, una prima volta in tragedia e l’altra in commedia, c’è una costante italiana: l’Italietta che gonfia il petto e resta in mutande per lo sforzo. Buttiamola a sorridere, che è Natale.