I 25 anni di Visco, i 18mila euro dei gioiellieri, i 18 mesi di Letta

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Giugno 2013 - 16:33 OLTRE 6 MESI FA

Assemblea della Banca d'ItaliaROMA – Un ritardo “tecnologico, geopolitico e demografico” di 25 anni, un quarto di secolo. Qualcuno riesce a immaginare, qualcuno si sforza di capire cosa vuol dire? Immaginazione e sforzo latitano a giudicare da come rapidamente le parole del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, sono scivolate via come goccia sul vetro. Vetro infrangibile e opaco quello della vita pubblica italiana. Nelle stesse ore, negli stessi giorni dei 25 anni perduti di Visco, la in fondo monotona notizia dei gioiellieri che da noi dichiarano in media al fisco di guadagnare 18 mila euro l’anno, 1.500 al mese. E i 18 mesi, limite o auspicio, assegnati di vita al governo Letta. E la tenzone molto teatrale cui tutti partecipano, compreso Grillo, sul presidenzialismo sì o no. Voi direte: che c’entrano queste cose l’una con l’altra? C’entrano perché il fisco storto, i governi strani e il buttar la palla sempre nella tribuna delle grandi riforme son tutti figli diretti e legittimi, insieme a tanta altra prole, dei 25 anni perduti. Perduti a starsene…in ritardo con il resto del mondo.

Tecnologico, geopolitico, demografico…proviamo a tradurre in una vita concreta di un immaginario italiano. In questi 25 anni è nato probabilmente in un ospedale, forse di quelli che funzionano bene o forse di quelli che funzionano bene con costi sproporzionati al bene salute che arrecano o più probabilmente di quelli che non funzionano né sotto il profilo sanitario e neanche sotto quello economico. Ce ne sono troppi e di troppo piccoli di ospedali in Italia, la tecnologia clinica ha mostrato come sia inutile e dannoso ricoverarsi troppo. ma noi italiani gli ospedali ce li vogliamo tenere tutti, più piccoli sono e magari trovatelli sotto casa, più ci fanno tenerezza. Comunque, in ospedale, il nostro italiano immaginario sarà nato circa un volta su quattro, se non su tre, con un cesareo. Che costa di più ma fa la vita più comoda al medico e illude la gestante. Perché noi vogliamo l’ospedale pubblico ma dentro sia fatto l’interesse privato.

Poi il nostro italiano immaginario in questi 25 anni è andato a scuola. Scuola dove gli insegnanti, una volta ottenuta abilitazione e cattedra, ritengono finito il loro compito, esaurito il loro dovere e iniziata la stagione dei diritti acquisiti. Così pian piano diventano meno colti e preparati, insegnano poco e male. Certo sono poco pagati. Ma guai a volerli pagare se non per anzianità. Se vuoi fare selezione e diversità di stipendi si offendono e ribellano come un sol uomo. E’ andato a scuola il nostro italiano, protetto dai genitori che vigilano perché non sia stressato, selezionato, impegnato. Genitori, docenti e studenti hanno in questi 25 anni raggiunto un accordo storico: scuola a bassa difficoltà e a basso impegno. Con modalità diverse l’Università confermerà il patto. In 25 anni l’intero sistema formativo ha dequalificato i suoi addetti e i suoi utenti. Ma guai a chi ce la tocca la scuola così, siam tutti pronti a difenderla con le unghie: i sindacati, gli studenti organizzati e quelli sciolti, le famiglie, i comitati, i quartieri…

Quindi il nostro italiano immaginario va a lavorare, o ci prova. Difficile che lo assumano. E come potrebbe farlo un sistema di imprese che da 25 anni almeno nella gran parte non ci mette capitale di rischio nella sua di impresa? In Italia si fa impresa o con i soldi pubblici o con i soldi delle banche, di soldi propri non ce n’è o comunque non si rischiano. Per cui, quando Stato e banche non finanziano più perché hanno i guai loro, l’impresa langue, muore e non assume certo. Ma un’impresa che vive solo di finanziamento pubblico o di solo capitale bancario non è impresa che investe in tecnologia e quindi…E quindi va in ritardo sul resto del mondo e il nostro italiano immaginario di questo quarto di secolo non trova lavoro o addirittura lo perde.

Se lo perde il lavoro, se la sua azienda non ce la fa, arrivano sindacati e mano pubblica che quel posto di lavoro, o meglio il suo simulacro, lo tengono in vita come uno zombie. Spendere per fare in modo che l’italiano che ha perso il lavoro vecchio diventi capace di fare un lavoro nuovo? Ma che, sei matto? Cassa Integrazione e mobilità lunga, lunga fino a che si può. Magari fino alla pensione che tanto lontana non era, fino all’anno scorso a 59/60 ci si andava. Ed era la pensione il vero fine dell’attività lavorativa, il fulcro dell’impegno delle forze produttive. L’imprenditore cercava e trovava soldi pubblici, il sindacato cercava e trovava accordi per mandare in pensione. Un modello lungo almeno 25 anni.

C’erano, ci sono poi quelli fuori dal modello: i professionisti, il lavoro autonomo. Da noi se apri un negozio, un attimo dopo che lo hai aperto non stai tentando un’impresa commerciale, sei già arredo urbano, presidio sociale, identità di quartiere, insomma qualcosa che deve essere protetto. Da noi se un’azienda assume, un attimo dopo l’assunzione l’assunto ha gli stessi diritti e protezioni sociali di uno che in azienda lavora da venti anni. Non sfugge la ragione per cui abbiamo avuto in questi 25 anni più punti commerciali e più lavoro autonomo di ogni altro paese europeo e nordamericano e non sfugge neanche la ragione per cui a tempo indeterminato nessuno assume più. Da noi, da 25 anni e più, vige un sistema fiscale dove il lavoratore autonomo tratta e si fa il “prezzo”£ della tasse che paga mentre il lavoratore dipendente non tratta e paga alla fonte. Non sfugge la ragione per cui sono lavoratori dipendenti e pensionati a pagare il più delle tasse.

Alla nascita, a scuola, sul lavoro, in pensione, davanti al fisco come davanti alla competenza: da 25 anni ci rifiutiamo in massa di cambiare. Dovremmo studiare di più, con più fatica e selezione. Ma la cosa ci fa orrore. Dovremmo rischiare di più capitali e portafoglio di famiglia in innovazione tecnologica. Ma non ci passa neanche per la testa. Dovremmo pagare più tasse sui consumi e sul patrimonio e molte meno tasse sul salario e sul profitto. Ma se uno ci prova sul serio a farlo siam pronti a tagliargli le mani. Dovremmo capire che la tecnologia contemporanea ci sta tagliando fuori se non lavoriamo meglio e con più produttività ad altri e diversi prodotti. Capire che la geopolitica, il mutamento del mondo, dice che non sta scritto da nessuna parte il potersi continuare a permettere il welfare, i diritto e la qualità della vita e del reddito di cui disponiamo. Non siamo condannati a perderli ma non sono un diritto, tanto meno acquisito. Dovremmo capire che se uno va in pensione a 60 anni scarsi e incassa pensione per 25 anni è ovvia conseguenza quella che suo figlio abbia contratti di lavoro precari e sotto pagati. Dovremmo…

E invece continuiamo a barare. Magari fosse solo col fisco come fanno gioiellieri, bar, discoteche, centri benessere…Bariamo con noi stessi: ci raccontiamo e facciam raccontare che adesso l’Europa ci dà il via libera per tornare a fare come prima, come sempre, come nei 25 anni in cui il mondo ci ha salutato. Bariamo con noi stessi noi e barano con noi quelli al governo e all’opposizione. Il metodo Letta, il metodo per i prossimi 18 mesi è quello di…durare 18 mesi e poi si vede. Un ritocco là, una speranza qua, la certezza fondata che potrebbe andar peggio. Eccolo il governo: tenere il paese a galla, con il mento appena fuori dall’acqua. Grazie se ci riesce, ma di insegnarci a nuotare questo metodo di governo neanche si sogna. Perché per insegnare a nuotare occorre ammettere che se non si nuota si va a fondo, e non per colpa della piscina, del mare o del vento contrario. Barano perfino con loro stessi, da Berlusconi a Grillo passando per Letta: ci puoi scommettere che molti in in buona fede pensano che eleggendo direttamente il presidente della Repubblica la ruota torna e girare e molti in altrettanta buona fede pensano che eleggi il capo dello Stato nell’Italia che c’è ne vien fuori una specie di dittatura. Non è vera, non è automatica né l’una né l’altra cosa, il presidenzialismo sì o no è solo un modo per non parlare, non sentire, non v4edere, non far sapere dei 25 anni buttati, dei 25 anni di distacco dal mondo. Se l’Italia ne prendesse atto davvero forse le verrebbe un colpo. Quindi, meglio parlar d’altro, come si fa in presenza di vecchietti cagionevoli di salute e irritabili d’umore.