Riforma costituzionale: condivisa o meno, non è un colpo di stato

di Marcello Degni
Pubblicato il 31 Luglio 2014 - 08:00| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Riforma costituzionale: condivisa o meno, non è un colpo di stato

Riforma costituzionale: condivisa o meno, non è un colpo di stato (foto Lapresse)

ROMA – La riforma costituzionale in discussione in Senato può essere condivisa o meno; ma parlare di svolta autoritaria o, addirittura, di colpo di stato, è del tutto fuori dalla realtà.

Veniamo al merito. Ai tre punti principali. Si supera il bicameralismo perfetto; si irrobustisce il potere del governo nella funzione legislativa; si semplifica l’articolazione dei livelli di governo abolendo le province e le competenze legislative concorrenti tra stato e regioni . Ci sono poi molte altre questioni importanti, ma in qualche modo “minori”, dettate in alcuni casi dalla contingenza del momento e su cui possono essere trovati, con una ragionevole mediazione, concreti punti d’incontro. In caso d’insanabili dissensi sugli aspetti non cruciali si potrebbe peraltro soprassedere, lasciando immutato il testo originario che, rispetto a possibili modifiche estemporanee, contiene la saggezza dei Padri Costituenti.

Sulle tre questioni fondamentali l’impianto della riforma appare condivisibile. Il superamento del bicameralismo perfetto non richiede particolari commenti. E’ auspicato da tutti, se ne parla da decenni, e l’obiezione di una più ponderata legislazione, che si garantirebbe attraverso la seconda lettura, cade, non tanto per la necessità (reale) di prendere decisioni rapide in una società in forte movimento, quanto dall’osservazione della pessima qualità delle leggi approvate negli ultimi trent’anni. In altre parole le norme lacunose, oscure, incoerenti, che richiedono ritocchi a ridosso (alcune volte anche prima) dell’approvazione, non dipendono dal numero delle camere che le esaminano, ma dalla capacità del decisore e dalla struttura del procedimento legislativo.

E su quest’aspetto la riforma interviene in modo molto netto. La norma più importante è la seguente: “Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge, indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo, sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale”.

Si costituzionalizza, in pratica, l’idea della “corsia preferenziale”, tante volte evocata ma mai normata, in particolare nella sua sede naturale, che sono i regolamenti parlamentari. In questi (soprattutto in quello della Camera) sarà necessario intervenire, per disciplinarne l’attuazione, delimitarne i contorni e introdurre i necessari contrappesi. Il tema, che esisteva già nel sistema proporzionale, è ancora più evidente da quando, nel 1996, è stato introdotto il sistema maggioritario. Il corpo elettorale, da allora, sceglie contestualmente sia la rappresentanza, sia il governo; e il programma elettorale della coalizione, o del partito, vincenti diventa il programma di governo. I vari segmenti (disegni di legge) del programma devono avere un percorso parlamentare certo, ferma restando ovviamente la possibilità della camera di integrarli e modificarli. E’, in termini più generali, quello che si provò a realizzare, con scarsi risultati, con i provvedimenti collegati alla decisione di finanza pubblica.

Si tratta di una norma autoritaria? Francamente, non mi sembra. Piuttosto sembra una norma razionalizzatrice, che potrebbe rappresentare la chiave per la semplificazione del procedimento legislativo. In questi anni l’uso abnorme del decreto-legge ha dominato la prassi legislativa, con effetti molto negativi sul quadro normativo e la stessa delega legislativa, anziché concentrarsi sulla produzione di corpi normativi unitari e omogenei, è stata spesso trascinata dal processo di destrutturazione normativa.

Il canale preferenziale per l’attuazione del programma di governo consente la riconduzione degli altri strumenti legislativi (decreto-legge, decreto legislativo e disegno di legge) alla originaria fisiologia costituzionale, con indubbi vantaggi per i cittadini, che sono in genere i destinatari finali delle norme. I regolamenti parlamentari potranno disciplinare in modo più stringente il vaglio preliminare di questi provvedimenti e nella stessa direzione potrà agire il capo dello stato nella preliminare autorizzazione.

Infine il Comitato per la legislazione, organismo “vintage” del sistema maggioritario, istituito nel 1997 alla Camera, «composto di dieci deputati, scelti dal presidente della Camera in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni», con il compito di formulare pareri sulla qualità dei testi, con riguardo alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione, potrà forse finalmente, a vent’anni dalla sua istituzione, esprimere qualche giudizio positivo.

Alla luce di queste considerazioni l’ostruzionismo feroce messo in campo in Senato non è comprensibile. In particolare quello di SEL, che peraltro esiste in Senato solo perché apparentata alle ultime elezioni con il PD. O meglio, si può spiegare solo con argomenti ultronei (le soglie di sbarramento nella legge elettorale, l’esigenza di contrastare l’effetto calamita esercitato dal PD, che ha attratto recentemente alcuni importanti dirigenti); argomenti legittimi, ma che non dovrebbero rilevare in una riforma costituzionale.