La riforma della struttura del bilancio dello Stato

di Marcello Degni
Pubblicato il 2 Gennaio 2010 - 12:53| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Mentre tutti parlano di riforme, ciascuno pensando a una cosa diversa, le riforme dal basso, quelle relative a norme, regolamenti, procedure, proseguono, senza che il grande pubblico, cioè gli elettori, ne sia consapevole.

Blitzquotidiano ha già pubblicato due articoli sulla riforma del bilancio dello Stato italiano: La riforma della legge di contabilità, prime considerazioni in itinere; Contabilità e bilancio dello Stato: una norma depotenziata.

Seguirà un quarto e ultimo articolo.

Un aspetto cruciale del progetto di riforma riguarda la struttura del bilancio che, attraverso lo strumento della delega, istituzionalizza l’articolazione in missioni e programmi di spesa. Il programma di spesa diventa, a regime, l’unità di voto parlamentare, che sostituisce l’attuale UPB, introdotta nel 1997.

E’ evidente l’importanza della nuova articolazione del bilancio, che proponendosi di individuare il nuovo livello della sanzione parlamentare dovrà esprimere, insieme ad una maggiore aggregazione, un adeguato livello di significatività. Il programma di spesa viene identificato come “aggregato diretto al perseguimento degli obiettivi definiti nell’ambito delle missioni” che rappresentano le “funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa”.

La Camera ha colto la necessità di analizzare in modo ponderato questo elemento introducendo una delega specifica (art. 40) per il completamento della revisione della struttura del bilancio. I decreti legislativi dovranno essere adottati entro due anni sulla base dei criteri: di revisione delle missioni (in correlazione con i ministeri ed enucleando quelle trasversali); di revisione dei programmi (da definire in modo omogeneo, evitando ove possibile la condivisione tra più ministeri, affidando ciascun programma di spesa ad un unico centro di responsabilità amministrativa, raccordando i programmi alla classificazione COFOG di secondo livello); di raccordo tra gli stanziamenti e la legislazione di spesa; di previsione della nuova legislazione in base ai programmi; di articolazione delle unità elementari di entrata in articoli e delle unità elementari di spesa (azioni) per raccordarle alla classificazione COFOG ed economica di terzo livello.

La corretta individuazione del programma di spesa nell’ambito della missione di ciascun ministero (e dei programmi trasversali, comuni a diverse attività) assume particolare rilievo nella decisione parlamentare, in cui la funzione allocativa del bilancio prevale su quella connessa all’equilibrio complessivo, che si è evolutivamente spostata nella sfera dell’esecutivo.

La scelta del programma dovrebbe essere effettuata ad un livello né troppo basso, che individuerebbe una microspesa, né troppo elevato, che ingloberebbe un insieme di attività, la cui attuazione concreta lascerebbe all’esecutivo eccessiva latitudine. Il punto di identificazione ottima del programma dovrebbe dipanarsi quindi sul crinale della decisione politica, da un lato, e della struttura amministrativa preposta alla realizzazione, dall’altro.

Ciò consentirebbe di contemperare la pulsione decisionale del policy maker con la valutazione dei risultati conseguiti dalle scelte del passato e delle risorse impiegate, scoprendo al margine la componente discrezionale della spesa. Dai principi direttivi emerge un complesso lavoro da svolgere, per rendere stabile la sperimentazione avviata nella precedente legislatura.

L’auspicio è che la riorganizzazione superi i limiti attuativi della riforma del 1997, che non hanno saputo dare contenuto alla intuizione della distinzione tra bilancio per la gestione e bilancio per la decisione. La integrazione della competenza con la cassa, portato della legge del 1978, resta nell’immediato immutata nel testo approvato al termine della prima lettura, nonostante la introduzione, a livello dell’Unione europea, del criterio della competenza economica per il consolidamento dei conti.

La competenza giuridica differisce sensibilmente dal sistema europeo, molto più vicino ad una contabilità per cassa (o meglio, con riferimento alla spesa, alla fase della liquidazione, in cui, con precisione, è stato individuato soggetto creditore e quantum da corrispondere). La gestione dei residui presenta delle opacità forti, che tendono ad appannare i contorni del programma, per il decisore e per il dirigente amministrativo preposto alla sua realizzazione.

Ancora una volta il dominus resta la Ragioneria Generale che, regolando lo smaltimento, imprime alla decisione di spesa una evidente torsione finanziaria. Alcuni emendamenti presentati alla Camera prevedevano il passaggio al sistema della cassa che avrebbe introdotto un potente elemento di trasparenza nella gestione delle risorse, implicando una profonda riorganizzazione dell’amministrazione. La scelta è stata, anche per questa riforma, quella di prevedere una nuova delega (art. 42), di durata triennale.

I principi direttivi individuati prevedono l’affiancamento, a fini conoscitivi, di un prospetto di competenza (necessario per identificare le scelte allocative); la rilevazione delle posizioni debitorie e creditorie dello Stato e delle informazioni necessarie al raccordo del bilancio con il conto consolidato delle pubbliche amministrazioni; l’individuazione di un sistema di controlli preventivi sulla legittimità contabile e amministrativa della obbligazione assunta dal dirigente e del suo obbligo di predisporre un piano finanziario di ordinamento e pagamento delle spese, nonché della definizione dei limite alla assunzione di obbligazioni in relazione alle diverse tipologie di spesa.

Il testo che emerge dalla prima lettura riapre quindi il cantiere del bilancio, delineando innovazioni profonde che si dovranno dispiegare nel prossimo triennio, con l’obiettivo di giungere ad una armonizzazione delle metodologie per l’insieme degli enti appartenenti alla pubblica amministrazione. Un progetto ambizioso che potrà essere realizzato se l’approccio burocratico e la diffidenza tra i livelli di governo cederà il passo alla sperimentazione ed alla leale collaborazione.

Sotto questo profilo il baricentro della tecnostruttura sulla Ragioneria Generale, pur integrata dalle intese con gli enti territoriali e dal ruolo attivo della Conferenza Permanente prevista dalla legge 42 del 2009, potrebbe essere un limite al pieno dispiegamento delle potenzialità delle nuove disposizioni. Alcune proposte emendative avevano individuato nell’ISTAT, configurabile come tecnostruttura della Repubblica, il baricentro del sistema informativo della finanza pubblica, affidandogli il governo della banca dati delle amministrazioni pubbliche (Art.13).

Peraltro i criteri di nomina del Presidente (Art.5), che prevedono il parere vincolante delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti, tendono a collocare l’Istituto al di fuori della orbita governativa, rendendolo una tecnostruttura utilizzabile da tutte le amministrazioni pubbliche. Il testo approvato dalla Camera non modifica l’assetto originario, lasciando al ministero dell’economia il ruolo di gestore della banca dati.

Vengono introdotti soltanto alcuni temperamenti, non privi di ambiguità, come la possibilità per la Commissione tecnica paritetica e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di accedere direttamente ai dati “necessari a dare attuazione al federalismo fiscale”, che costituiscono una apposita sezione della banca dati delle amministrazioni pubbliche.

Questa idea di segmentazione delle informazioni, di convenzioni da stipulare per ottenere l’accesso ai dati, contrasta con la loro connotazione interamente pubblica e con il livello delle attuali tecnologie informatiche che consentirebbero, in piena trasparenza, di rendere disponibili sulla rete l’insieme delle informazioni, in formato elaborabile, al livello più dettagliato. Dietro questa eccessiva articolazione si intravede lo zampino delle burocrazie, centrali e locali, che fanno della gestione delle informazioni strumento di piccolo potere.

Il percorso quasi parallelo che il disegno di legge ha percorso al Senato rispetto alla legge 42 del 2009 aveva lasciato aperti numerosi aspetti relativi al coordinamento tra i due testi, che la Camera ha colmato eliminando i criteri di delega sulla armonizzazione dei sistemi contabili degli enti territoriali (art. 2) riconducendoli direttamente alla legge sul federalismo fiscale, che è stata in proposito novellata (art 2 della legge 42/09). Particolare rilevanza assume la riformulazione della lettera h) dell’art.2, comma 2, che prevede: l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale europea; l’adozione di un bilancio consolidato con aziende ed enti esterni; l’affiancamento di un sistema di contabilità patrimoniale a quello di contabilità finanziaria; il raccordo dei sistemi contabili degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo per la verifica della procedura dei disavanzi eccessivi; il raccordo con le contabilità delle amministrazioni pubbliche gestite con criteri civilistici; la definizione di indicatori di risultato uniformi.

Un mosaico molto complesso, in cui ogni tessera richiede un grande sforzo di trasparenza, cooperazione, approfondimento e sperimentazione. L’adeguamento dei sistemi contabili delle amministrazioni pubbliche centrali viene disciplinato attraverso un apposito comitato (comitato per i principi contabili), che predispone i decreti legislativi i cui criteri sono analoghi a quelli definiti nella citata norma della legge 42 del 2009.

Alla armonizzazione dei sistemi contabili degli enti territoriali provvede invece la Commissione tecnica paritetica sul federalismo fiscale, integrata da due rappresentanti dell’Istat. I due organismi devono procedere “in reciproco raccordo”. Uno spartito complicato, suonato da molteplici orchestre. Evitare dissonanze non sarà semplice.