Da Berlusconi a Fassino e Fini. Altro che Machiavelli: la democrazia è più spietata, le bugie sono pane quotidiano

di Marco Benedetto
Pubblicato il 16 Ottobre 2010 - 15:39 OLTRE 6 MESI FA

Fni e il saluto romano. Parigi val bene una messa?

Dar la colpa di tutto quel che c’è di male in Italia a Berlusconi è uno sport di metà di noi, al punto che si può e si deve cominciare a dubitare che sia proprio così. Tutto francamente no. Ma che Berlusconi abbia introdotto nella vita pubblica italiana l’uso sistematico e spudorato della bugia, anche nelle minime banalità è incontrovertibile, anzi è talmente scoperto che è quasi simpatico. Gli esempi si sprecano.

Dalla prima Tribuna politica della Rai monocanale siamo ormai abituati a sentire fatti deformati, promesse impossibili, bugie clamorose. Però i vecchi lo facevano per argomenti di rilievo e con un certo stile, anche perché la Tv offriva poche occasioni e i giornali erano di poche pagine.

Che i politici siano costretti a mentire pubblicamente può anche essere un fatto positivo. Rispetto al passato, la loro vita e la loro attività sono esposte all’esame dei cittadini ora per ora e per questo sono costretti a mentire, perché sono continuamente sotto pressione dei giornali delle tv dei siti internet.

Ai bei tempi, nessun giornale si sarebbe permesso di mettere in piazza le boccaccesche notti del capo del Governo. Se ne parlava, diceva della storia di quel politico democristiano con quella cantante, di quel presidente della Repubblica e di quella soubrette, saperne faceva la differenza tra cittadini comuni e addetti alle segrete cose.

Ai miei esordi nella professione, sentii per un’estate parlare dei figli di un Presidente che viaggiavano negli scompartimenti dei treni riservati ai parlamentari, per un’altra estate di un aereo militare che aveva portato a Roma vini e champagne dalle cantine della Marina alla Spezia, altro che le spigole del generale Roberto Speciale. Era vero o no? Non si saprà mai. Erano tempi, quelli, in cui c’era sempre un procuratore generale pronto ad avocare le inchieste più fastidiose, che poi di solito prendevano la salubre strada del binario morto.

Per questo credo sia meglio oggi, dove c’è poco rispetto per i potenti e i loro talvolta segreti, talvolta tenebrosi, sempre rivelatori di debolezze che ce li fanno apparire simili a noi comuni mortali, quasi essi sono.

Un conto era quando Machiavelli “temprando lo scettro ai regnatori” svelava “alle genti [ …] “di che lacrime grondi e di che sangue”: era una rivelazione per pochi intimi, di cose talmente grandi da essere lontanissime dalla gente comune, che ne subiva capricci e avidità senza potere fiatare.

Oggi noi possiamo esprimere il nostro gusto e il nostro disgusto votando, e la spietata macchina della democrazia, che si avvale della libertà di stampa come strumento di conoscenza di tutti, anche dei più ignoranti, dei più sprovveduti, cerca di farci sapere tutto quel che è possibile. Sempre resteranno angoli bui, sempre andranno sotto i riflettori vittime innocenti di una curiosità morbosa: meglio che si eserciti verso le prestazioni notturne di un deputato che verso il sangue che sgorga da una testa mozzata.

Sempre ci sarà gente che non capisce, che è ingannata, che è condizionata dai venditori di false promesse e dalle loro bugie: è la democrazia ed è meglio finir male perché ingannati da una impossibile speranza che trascinati nell’abisso dall’egotismo incontrollato di uno che ti comanda solo perché è nato così.

Conseguenza di tutto ciò è lo sforzo dei potenti , non solo politici, ma finanzieri, industriali, artisti, per costruire e difendere la propria. Augusto imperatore era bruttarello ma con gli anni diventò sempre più giovane e bello, grazie al botox di marmo dei suoi scultori. Anzi, anche i suoi successori per secoli continuarono a chiamarsi Augusto, tanto che è probabile che nelle profonde campagne dell’impero, contadini e schiavi morissero convinti che ci fosse anche l’immortalità tra le cose che facevano la differenza la loro e l’imperatore.

Oggi non perdonano i giornali, le foto anche in posa e soprattutto la tv non perdona, non sfugge alla sua spietata crudeltà nemmeno uno dei suoi principali artefici in Italia, sempre lui, Berlusconi: lucido da scarpe e sangue di bue nei capelli, lifting e botulino, diete e chissà cosa d’altro non riescono a nascondere il torace ipergonfiato, l’espressione persa e lo sguardo cattivo del vecchio.

Stessa cosa è accaduta a Guido Bertolaso, dopo lo scandalo che ha associato la sua Protezione civile alle malversazioni della cricca di Angelo Balducci e Diego Anemone. Prima era una specie di eroe dei due mondi, dopo ha capito che era meglio tacere, in mezzo si è intorcinato in una serie di contraddizioni e circonvoluzioni che hanno fatto crollare il mito, anche perché, per quanto ci abbia provato, non è stato capace di eguagliare il suo campione.

Ecco che la parola ha la sua rivincita sul fotogramma, perché le immagini restano, le parole volano. Berlusconi, ancora una volta, è il paradigma di questo cinismo, basta rivedere le sue dichiarazioni senza conseguenze, se non valanghe di voti, di ogni tornata elettorale. Ma tutti gli altri ci si sono messi d’impegno a imitarlo, in questa nuova evoluzione del messaggio politico. Il biblista Robert Eisenman sostiene che San Paolo esportò il cristianesimo dalla Palestina, facendone una religione mondiale capovolgendo valori e significati dell’ebraismo; Eisenman ha scritto un libro di mille pagine per confrontare parole e frasi e dimostrare l’ardita creazione.

Berlusconi non è San Paolo, anche se per un certo periodo amava vantare un numero variabile di zie suore. Né, vista anche la fine che avrebbe fatto Paolo, aspira al ruolo Piero Fassino, che pure a scuola dai gesuiti a Torino deve avere appreso qualcosa dell’arte di giocare con tesi e antitesi e che proprio in questi giorni ha dato prova di una sicura quanto inutile abilità nel mescolare le carte, che ai miei occhi lo ha avvicinato troppo alla marea dei politici dai quali invece spiccava, non solo per la esagerata statura.

Eppure il capovolgimento delle parole e del loro valore è pratica quotidiana e diffusa. L’altro giorno è bastato che qualcuno, non si sa bene nemmeno chi, riconoscesse la congruità tra il valore presunto della casa ex Colleoni poi An poi offshore di Montecarlo e quello dichiarato probabilmente per pagare la tassa di successione nove anni e una bolla mondiale dei valori immobiliari prima della vendita al compratore mascherato: nel turbine dei ragionamenti storpiati, dei passa parola, delle approssimazioni, la congruità ha fatto un balzo in avanti di nove anni, ed è stata applicata al prezzo finale di vendita.

Alla base c’era una frase un po’ infelice di un’agenzia sulla cessione della casa ad Alleanza nazionale, forse, chissà, corretta secondo un manuale di diritto, ma capace di indurre in equivoco con il gioco di parole perché nel sentire comune con la cessione c’è anche un prezzo pagato, mentre con l’eredità c’è solo una tassa, e l’eredità è del 1999 e la cessione è del 2008.

Tanto però è bastato per fare scattare entusiasmo e immediati propositi di querele e vendette, come nel caso in cui alla domanda dove vai la risposa corretta fosse porto pesi. Un bel pezzo di manipolazione propagandistica da parte di Gianfranco Fini e dei suoi. D’altra parte gli ultimi tempi ci hanno fatto vedere ben altro da parte di Fini, compresa l’abiura del fascismo e del duce, che in questo ha superato il già imbattibile capolavoro compiuto dai comunisti dopo la fine dell’Urss.

Ultimissimo capolavoro di funambolismo concettuale è stato quello di Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, imprenditrice e padrona in tutte le accezioni del termine, una traccia di accuse e sospetti sulle pagine dei giornali di sinistra. Bravissima a trasformare una incauta e spavalda minaccia di un giornalista dei Berlusconi al suo addetto stampa in una specie di attentato dinamitardo, è stata poi altrettanto rapida a liquidare il suo addetto stampa, quanto meno incauto anche lui a sollevare un caso sapendo di avere a sua volta proferito avventate parole con giornalista di campo avverso.

La rapidità di azione e reazione distingue l’imprenditore di successo dal comune mortale. Il padre di Emma, Steno, fondatore dell’omonimo gruppo industriale, dopo avere dato impulso nel1993 e buttato anche parecchio denaro in un giornale, la Voce (riesumando una testata dell’epoca fascista), alternativo alla Gazzetta di Mantova, diventato per il padronato locale troppo comunista dopo il passaggio al gruppo Espresso, si sfilò prima che fosse troppo tardi, nell’agosto (mese ideale) 1999, abbandonando al loro destino 19 giornalisti e 22 poligrafici. Grazie alla abilità della giovane Emma, la partita è ormai chiusa e il nome Marcegaglia è diventato, come quello dell’ex camerata Fini, sacro alla stampa di sinistra.

La democrazia è bella, la trasparenza è indispensabile, dobbiamo solo ancora abituarci alla fine della divinità dei potenti come un fatto naturale, senza disgusto. Altrimenti l’ultima conseguenza della trasparenza sarà l’astensione dal voto e la morte, per altra strada, della democrazia.