Chi può sparare a chi? Solo Tex lo sa

Pubblicato il 3 Marzo 2009 - 15:43| Aggiornato il 16 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Se uno mi rapina, in casa, negozio o in strada, gli posso sparare? Sì, no, forse. La risposta è sommamente incerta, nei fatti. Ma l’incertezza non è nelle leggi, è nella testa e nelle voglie di quella che chiamiamo “gente”, cioè tutti noi. Perchè più o meno tutti vogliamo, fortemente vogliamo, due certezze, due garanzie, due diritti che insieme non stanno.

Eppure li pretendiamo in coppia.

Giorni fa due suicidi, raccontati da giornali e tv e poi narrati e discussi a tavola e in famiglia bluffando con noi stessi. Dichiarando, attestando ciascuno, organo di informazione o privata opinione, un “punto” ideologico e culturale prima di vedere la “carta” dei fatti. Al tavolo di gioco un bluff ogni tanto e ben piazzato aiuta la brillantezza e la performance, al tavolo della convivenza il bluff come metodo porta prima o poi al rovesciamento del tavolo. Due suicidi, uno a Roma, attribuito dalle cronache e dall’umor popolare sostanzialmente a magistrati troppo buoni.

Troppo buoni verso i due rapinatori uccisi sei anni fa dal gioielliere oggi suicida. Ecco infatti il ritratto di un pover’uomo turbato, piegato, spezzato dall’accusa di omicidio volontario. Fino a perdere equilibrio, ragione e togliersi la vita. L’altro suicidio a Napoli, un primario “suicidato”, secondo narrazione e sentimento comune, da giudici troppo cattivi. Cattivi per aver indagato, perquisito la clinica privata dove operava.

Ma allora, come li vogliamo i magistrati: cattivi, anzi cattivissimi verso i ladri, oppure no? Così come vogliamo uno Stato-Bancomat, capace di stare lontano da noi e dai nostri affari finchè gira il “contante” e tutto va bene, e insieme pronto ad elargire a chiamata quando va male, altrimenti si leva il grido immancabile “Lo Stato ci lascia soli”, così vorremmo i giudici, la polizia e noi stessi come Tex Willer. Che spara sì, ma a colpo sicuro, colpisce sempre i cattivi.

E chi sono i cattivi? Tex Willer lo sa per natura e sceneggiatura. Noi ci siamo dotati di un altro metro di giudizio: la morale di prossimità. I cattivi sono gli altri, quelli dell’altra tribù, quelli che non ci danno ragione. Per cui al ladro puoi sparare certo, ma se era un bravo ragazzo del quartiere mica tanto.

La morale di prossimità non conosce confini politici. La adotta la sinistra quando invoca il giudice vendicatore degli illegali e delle illegalità che vengono dalle corporazioni che formano il blocco sociale dalla sinistra rappresentata. La invoca la destra quando adotta e sventola il dogma per cui la difesa della “roba” individuale è la legge e il valore supremo.

Nella realtà può accadere che una vittima di rapina si limiti a difendersi, così come può accadere che spari alla schiena a chi scappa disarmato. E può accadere che uno stimato professionista sia stritolato dalla vergogna di essere indagato anche se innocente. Come può accadere che ceda alla vergogna perchè innocente si sentiva ma non era.

Ma la realtà non ci interessa, il nostro ragionare e argomentare e sentire è sempre un dibattito, feroce, sul “rigore che c’era o non c’era”.

L’arbitro in realtà non lo vogliamo, a meno che non sia un notaio del nostro arbitrio. Per cui in questo bar sport cui si è ridotta e accomodata la pubblica opinione non resta che schierarsi e bearsi nell’una o nell’altra bugia. La prima dice che sparare si può e si deve, sempre. E poi lamentarsi, inventarsi vittime e con loro identificarsi. La seconda dice che chi spara al ladro è sempre un fascista nascosto che viene allo scoperto.

In fondo neanche Tex Willer ci piacerebbe davvero, lui dà spesso ragione agli indiani, agli “altri”. Noi agli indiani, agli altri , da noi stessi, non concediamo nemmeno il beneficio del dubbio.