Da Chiamparino a Tremonti, via Lega: le mani dei politici sull’economia

Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, è un piccolo fenomeno della sinistra, perché è stato capace di reggere alla crisi del suo partito, oggi confluito nel Pd, ottenendo una valanga di voti. A un certo momento era stato anche dato come possibile segretario ma poi, dando prova di una non rudimentale saggezza, si era sfilato.

Forse ha avuto successo per meriti non suoi: Torino è migliorata nonostante i politici e grazie alla riconversione e al risveglio dell’ex indotto Fiat, grazie al torrente di milioni di euro per le Olimpiadi invernali e Chiamparino ha il merito di non aver fatto nulla per contrastare il trend. Non è una regola solo italiana: la Merkel insegna: meno fai, meno scontenti, non governi ma ti vogliono bene.

La valanga di voti ottenuti dimostra anche che Chiamparino è stato bravo a far dimenticare ai suoi elettori moderati di tutte le classi le sue origini comuniste. Anche se Torino ha avuto in passato sindaci espressi dal Pci, oggi non è più l’aria neppure tra gli operai di Mirafiori.

Ma è rimasto un politico e, per quanto abile, è pur sempre un politico e i politici ragionano con logiche che sono diverse da quelle economiche e industriali.

Tremonti e Berlusconi
Tremonti e Berlusconi

Non è che una sia migliore e l’altra peggiore, semplicemente sono diverse, tendenti a fini diversi. Un capo d’azienda non può essere un buon capo di Governo (e Berlusconi, con tutta l’eccezionalità che lo caratterizza, non sfugge). E un politico non può occuparsi di imprese, se non negli ambiti della politica. Quando le due cose si mescolano, vengono i brividi.

C’è un’intervista di Chiamparino a Repubblica che conferma i timori. Riguarda gli equilibri di potere dentro una banca, la Intesa San Paolo, in cui il Comune di Torino, attraverso il gioco delle fondazioni, ha voce in capitolo.

Scrive Andrea Greco su Repubblica: «Da mesi sotto la Mole si ritiene che i milanesi siano troppo forti nella prima linea e la scadenza di primavera è un’occasione importante per cercare un equilibrio»; poi passa dal discorso indiretto al diretto e cita testualmente Chiamparino: «Gli accentramenti di poteri non sono mai utili al funzionamento di un organismo diffuso sul territorio. L’equilibrio previsto fra le due anime del gruppo deve continuare a esserci effettivamente, e sottolineo effettivamente».

Poiché i politici sono anche bravi a vestire di nobili parole anche i concetti più semplici come raccogliere un mazzo di fiori, dal contesto si capisce che il territorio c’entra poco nel probabile regolamento di conti futuro. C’entra piuttosto la defenestrazione di un altro dirigente della banca, per nulla torinese ma milanese, invece e soprattutto marito di una importante esponente del partito di Chiamparino.

Non c’è nulla di sorprendente in questo, se non il fatto che parole come quelle del sindaco siano cadute nell’indifferenza generale. Forse è proprio vero che i giornali non li legge più nessuno e nemmeno i siti internet che scrivono di queste cose, o semplicemente che dopo tanta indignazione nel passato per cose anche minori di questa, ormai ci siamo mitridatizzati.

Allo stesso modo, nessuna reazione finora si è registrata di fronte alla reazione stizzita di Giulio Tremonti, ministro delle Finanze, al rifiuto delle due più grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, di subire i suoi Tremonti bond.

Lì si è visto chiaramente che nella faccenda dei bond c’è dell’altro, che non ha nulla di economico ma è ancora una volta una questione di controllo e in particolare proprio di quelle due banche che in una certa misura sono anche un focolaio di resistenza, non solo al potere di Berlusconi ma al potere politico in generale. E quindi tutti zitti. In fondo, Passera e Profumo, sono, come direbbe Scajola, due gran rompic…

Tremonti gode della fiducia illimitata della Lega, e l’immediata mappatura del potere della Lega nelle fondazioni bancarie pubblicata a giro di posta da Libero è un chiaro segnale: voi rifiutate i bond di Tremonti e pensate a rafforzare il vostro capitale chiedendo soldi al mercato e in primo luogo ai soci. Ma per quel che pesiamo tra i soci, noi cercheremo in tutti i modi di impedirvelo, così dovrete andare a Canossa dal ministro.

All’estremo opposto dello schieramento politico rispetto al partito di Chiamparino, la Lega, è partito che con truculenti eccessi dà voce ai sentimenti di una parte importante degli italiani del Nord e con gente di primissimo ordine dà risposta alle esigenze di buona amministrazione di una parte ancora più rilevante di italiani.

Anche gli uomini della Lega ragionano secondo gli schemi dei politici, il cui mercato è fatto di voti e il cui strumento per ottenere voti è la gestione del potere. Le banche non sono escluse, quando nel loro azionariato pesano enti pubblici locali, in cui pesano i partiti.

Il rapporto è meno diretto di una volta, quando il presidente popolare ed ex democristiano di una banca veronese poteva bloccare, finanziando altri acquirenti, la vendita del giornale di Verona e di quello di Vicenza a un gruppo editoriale per lui troppo di sinistra, e poteva anche negarsi al telefono all’allora presidente del consiglio Romano Prodi, che militava nel suo stesso partito e che faceva il tifo per i compratori romani (altra grave loro colpa). Quello era un potere vero, che poteva determinare la fortuna o la rovina di un imprenditore locale.

Oggi le quote dei vari potentati locali si sono diluite nei grandi azionariati delle grandi banche, ma per quanto ridotte, pesano sempre più della polvere dei piccoli azionisti. Anzi, mentre i partiti rivendicano la vicinanza al territorio, che vuole dire la storia di sempre in termini di potere creditizio locale, oggi il gioco si è allargato e, fa capire la Lega, fa intuire Chiamparino, non è più limitato al territorio, ma è esteso ai grandi affari nazionali.

Al peggio non c’è mai fine, diceva un vecchio giornalista siciliano. Per questo non bisogna mai rassegnarsi né abbassare alla guardia. E neppure lasciarsi  distrarre dalle frivolezze.

Gestione cookie