Elezioni 2022, fra bugia flat tax remake di Berlusconi, diritti dei trans e tasse: chiediamo solo buon governo

Elezioni 2022, fra bugia flat tax remake di Berlusconi, diritti dei trans e tasse: false promesse da destra, utopie e minacce da sinistra, gli italiani chiedono solo buon governo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 3 Agosto 2022 - 18:06| Aggiornato il 3 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni 2022, false promesse da destra, utopie e minacce da sinistra, gli italiani chiedono solo buon governo

Elezioni 2022, false promesse da destra, utopie e minacce da sinistra, gli italiani chiedono solo buon governo

Le elezioni del 25 settembre porteranno una evoluzione molto importante per l’Italia. La fine del Movimento 5 Stelle sembra scritta nel muro. Per i danni che Beppe Grillo ha fatto all’Italia non sarà mai abbastanza presto.
Nessuno sembra notare l’evento, ormai scontato dai sondaggi. Pesa anche la scarsa incidenza dei M5s nella conduzione del Paese, connotata solo da episodi perniciosi come il reddito di cittadinanza o il no a trivelle e gasdotti. Sullo sfondo del  mito altrettanto pernicioso quanto fasullo di una decrescita felice verso un nuovo medioevo 
Il potenziale eversivo del grillismo è simboleggiato da slogan come uno vale uno, tradotto nel valore fondante attribuito dallo stesso Beppe Grillo alla ghigliottina dei due mandati no more. È il rifiuto di riconoscere qualsiasi valore alla esperienza, alla competenza.

Meloni e Fdi versione patriottica del grillismo

Gli altri partiti respireranno meglio, felici di spartirsene le spoglie residuali dalla fuga nel non voto.
Ne godranno più di tutti i Fratelli di Giorgia Meloni che del grillismo hanno incorporato alcuni tratti. Fra questi l’anti europeismo. Lasciato così indefinito fa comodo a tutti. A chi vede nell’Europa la causa dei nostri mali e a chi se ne è fatto paladino acritico, tremando al pensiero di quell’altra Europa, quella satellite dell’Urss, che in gioventù auspicavano e per il cui realizzarsi operavano.

Bisogna bene distinguere fra l’ammasso di burocrati che prospera a Bruxelles, Strasburgo e dintorni, replicando, con stipendi moltiplicati, i mostri di Roma, Parigi, Berlino. Con le loro pericolose invenzioni normative. Aperte alle infiltrazioni delle lobby. Lontane dagli interessi dei cittadini. Situazione aggravata dal disinteresse dell’apparato italiano, latitante e negligente.

Berlusconi ne è la prova vivente. Da imprenditore aveva l’Europa al suo servizio. Da primo ministro fu ostaggio anche lui del mepris dei Nord europei. Questo stato d’animo lo hanno giustificato Malfatti e Prodi e, più di recente lo scandaloso balletto di Renzi con Calenda.

Attenzione, non confondiamo fischi con fiaschi. Senza l’Europa saremmo indietro di mezzo secolo

In realtà solo uno scemo o pazzo o criminale può non vedere che cosa sia stato per noi essere parte dell’impero americano e ancor più essere stati tra i fondatori della Unione Europea. Essere parte della Unione Europea è elemento distintivo rispetto ad altre periferie come l’America Latina. Per questo, oltre che per la concorrenza rappresentata dall’euro per il dollaro, gli americani sono ambigui. E Trump ha avuto vita facile nel servire gli ordini di Putin e il parrocchialismo dei suoi elettori applicandosi con impegno a scardinare l’Unione Europea. Incluse le false promesse che hanno illuso i fanatici della Brexit.

Ricordo ancora l’emozione di quel mattino di 65 anni fa. Mi stavo preparando per andare a scuola, la prima media, nella modesta cucinetta di casa mia. La voce retorica e emozionata del radio cronista (c’era solo la radio, c’era solo la Rai) annunciava la firma del trattato di Roma.

Dieci anni dopo, nel 1967, arrivai a Londra per la prima volta. Sullo scenario imperiale di Londra si muoveva un popolo di poveracci. Lavarsi era un impresa, per scaldarsi ci volevano le monetine.Conoscevano solo il pane dei toast, i ristoranti più diffusi servivano uova, salsicce, bacon, fagioli e patatine fritte. Li gestiva una tribù di emigrati da Bobbio. Oggi Londra è una delle città dove si mangia meglio al mondo. E il tenore di vita degli inglesi è ben lontano, in meglio, da quello di allora. Nel 1972 tornato a Londra come giornalista dell’Ansa, andai nel cuore dell’Inghilterra industriale, a Coventry (città martire dei bombardamenti tedeschi) a intervistare dei cantanti emergenti. Mai avevo visto in Italia la miseria di quella casa.

La memoria corta di italiano e inglesi

Anche gli inglesi, come molti italiani, dimenticano cosa ha voluto dire Europa per il loro benessere. Hanno votato Brexit, sostenuti dai russi e dal cinismo di una classe di giovani conservatori arroganti quanto arruffoni. Se ne accorgeranno nel friggere.
Tra questo e sostenere che l’Europa sia il prequel del Paradiso terrestre indubbiamente ce ne passa. Però vorrei vedere Orban il giorno che gli dicessero che è fuori dall’Europa.
Un tuffo nel Danubio lo salverebbe dal linciaggio. Solo i (post) fascisti e comunisti italiani prendono sul serio questo abile negoziatore, incrocio tra figli della steppe e mercanti mitteleuropei con una spruzzata di Attila e di Sublime Porta.

Elezioni 2022, un’altra occasione perduta

Tutto ciò premesso, viene la bocca amara constatando che i partiti italiani, a questa tornata delle elezioni 2022,  perderanno ancora una volta, l’ennesima da quando esiste l’Italia unita, l’occasione per soddisfare la fondamentale aspirazione dei cittadini. Che è avere dallo Stato una buona amministrazione, essere trattati da cittadini e non da sudditi, in un clima di stabilità. Non è una novità, così è stato sempre, lo certifica la Bibbia: “Senza una direzione un popolo decade, il successo sta nel buon numero di consiglieri” (buoni, aggiungerei) si afferma nei proverbi,
La memoria collettiva degli italiani è molto limitata. I più pensano di essere stati nei secoli scorsi principesse e duchi. Invece eravamo l’ottanta su cento di noi contadini analfabeti, sottoposti a un trattamento semi feudale fino a mezzo secolo fa.
Solo con la Repubblica, nel 1946, le donne hanno avuto il diritto di votare. Solo con l’integrazione nel sistema occidentale e nel mercato comune europeo siamo diventati quello che siamo.

Anzi siamo già nella fase due. Sono gli immigrati, novelli iloti, a fare per noi il lavoro meno gradito. E sono gli stessi iloti a integrare il vuoto demografico che si apre col benessere, condizione preliminare per evitare la (in)felice decrescita nel medio evo. Quegli immigrati non piacciono a tanti di noi perché ci ricordano come noi eravamo. Ancora 70 anni fa le rimesse dei nostri emigrati costituivano una voce importante nel conto positivo della nostra bilancia dei pagamenti.

Nel tempo, integreranno quella base di popolo che chiamiamo italiani. Ma che è dalla notte dei tempi un melting pot o accozzaglia di razze sovrapposte e integrate ad ogni invasione o arrrivo di schiavi e di loro sparpagliamento nei 330 mila la quadrati che fanno l’Italia.

Che Italia affronta le elezioni 2022

Non esiste l’Italia diceva Metternich. Come non esiste l’uomo italianissima. Cosa hanno in comune un veneto con un calabrese? Ma anche un veneziano con un vicentino? E un cosentino con un reggino? Un siciliano con un piemontese? Un genovese con un ligure? Io sono genovese di nascita, mezzo piemontese di discendenza, guai se mi si dice che sono ligure.

Ci unisce solo la lingua appresa dalla Rai piuttosto che da Dante e Manzoni. Certo non la storia né le origini. Chi è venuto giù dalle Alpi, chi dall’Oriente attraverso il mare. A sottomettere quei pacifici pastori e contadini che erano arrivati qualche migliaio di anni prima e di erano dispersi per tutta l’Europa.

Chi è  l’italiano che alle elezioni sceglierà ancora una volta il partito dell’odio?

Cosa c’è di italiano nel popolaccio che la Meloni aizza in una delle punte di odio che anima il suo partito? Tacito li definiì “Plebs sordida ac theatris sueta”. Oggi non si va quasi più a teatro, ma ci la tv e  i video su internet. L’odio sociale che agita la Meloni, la porta a minacciare i pensionati che avendo guadagnato d più e versato più contributi godono anche di pensioni più alte. Ma chi accetta come fondamentale per il nostro futuro quel mito dello jus scholae?
Per diventare cittadini italiani non c’è e non ci sarà bisogno dello jus scholae. Non piace perché puzza di inghippo.

Senza pensare al superlavoro per le Procure sulla scia del caso Perugia-Juventus. Diventare cittadini già si può oggi con un credo semplice esame è una serie di basici requisiti. Quel che serve per giustizia e umanità è lo jus soli: chi nasce in Italia è italiano, come in America.

L’Italia vive in un paradosso: meglio gli italiani vivono più sono infelici e si lamentano.
E sono pronti a votare per un imbonitore che prometta il meglio. Per metà si accontentano di sognare di stare meglio, l’altra metà ci mette anche un po’ di invidia e rancore per chi sembra stare meglio.
La promessa di un futuro migliore: migliore in che cosa e di quanto non è stato mai specificato. Guai a chi fa promesse troppo precise.
Così è stato negli ultimi 100 anni, secolo che ho vissuto in diretta in questi ultimi tre quarti, da testimonianze di famiglia per il primo quarto.
Così è sempre stato.

Con Berlusconi qualcosa è cambiato, in peggio. Siamo passati agli spot tv applicati alla politica. Ricordo, alla sua prima “discesa in campo”, averlo sentito promettere una clinica svizzera per tutti noi. Qualcosa mantenne, alzò le pensioni. Salvini cerca di imitarlo con la flat tax al 15%. Commovente la sua insistenza quando tutti, Meloni inclusa, gli hanno detto che non si potrà mai.

Quel che è patetico è che si tratta di un remake. A inventare la flat tax fu Berlusconi, esattemente 20 anni fa. Ovviamente non ne fece nulla, ma gli italiani hanno la memoria corta.

D’altra parte, impostare la campagna elettorale, come ha fatto Letta, oltre che su aborto, trans e immigrati, sulla promessa di una tassa di successione, è da aspirante suicida.

Franza o Spagna pur che se magna

L’esacrato slogan “Franza o Spagna purché se magna” definisce i due livelli della vita di un Paese in tutto il mondo. Sopra la classe dominante, sotto noi gente comune. Che quelli rubino e facciano gli affari loro, noi gente qualunque ci accontentiamo.
Non a caso allo Uomo Qualunque era intestato il movimento politico che nacque nella Roma appena liberata in una Italia a metà ancora sotto il fascismo. Svanì in pochi anni, molti meno di quanto sia durato il grillismo.

Il fascismo perse otto decimi dei consensi non per la mancanza di libertà politica e di opinione, bene borghese sotto ogni regime, ma per i morti, le devastazioni e la fame portati dalla guerra.
Alla guerra seguirono i 20 anni di crescita del “miracolo”. Non fu certo merito nostro né dei nostri governanti. Possiamo dire grazie agli accordi di Yalta in cui Usa e Urss si spartirono il mondo. Per nostra fortuna ci toccò di stare con l’America.

Caduto il muro di Berlino, l’Italia poté finalmente realizzare il sogno inseguito per quasi un secolo e diventare un Paese socialista. Le basi furono poste dal fascismo,  con le sue norme e la sua vocazione. Il binomio Italia proletaria e fascista non era solo uno slogan. E non lo inventò Gramsci.
Resta il fatto che ci guida un mix di comunismo e pauperismo cattolico (in suo nome i preti hanno anche falsato il senso del Padre Nostro: non della pagnotta per sfamarci ogni giorno parlava Gesù, ma del pane del domani, la sua Eucarestia). Ci governano da 20 anni. Da allora l’Italia non cresce più.

Differenza fra le elezioni del 1976 e quelle del 2022

La differenza fra l’ultimo PCI è la sua attuale mutazione Pd non è da poco. Berlinguer sapeva bene che per ottenere il nostro voto non poteva prometterci che ci avrebbe fatto vivere come nel paradiso dei lavoratori perché in troppi avevano ormai preso visione di cosa si trattasse. E poi gli americani non l’avrebbero mai permesso. La geniale trovata della questione morale poteva piacere a Washington, capitale di uno dei Paesi più corrotti al mondo sempre in cattedra sul tema. E piacque agli italiani orma disgustati da un trentennnio di impunità democristiana, per metà del tempo condivisa con i socialisti.

Solo la Dc, nel 1948, sfiorò il 50 % dei consensi. Il Pci arrivò sopra il 30%, a quota 34. La trionfante Meloni spera in un 24%. Le dà la certezza la somma con Lega e Forza Italia. È la formula della coalizione che rischia di farcela trovare a Palazzo Chigi. A questo ci ha portato il progressivo tradimento della volontà popolare come espresso nel referendum Segni 30 anni fa.

Del marchingegno elettorale elaborato dai partiti toccheremo con mano la devastante efficacia. Aggravata dal taglio imposto dai grillini e subito dal sistema con spirito da vittime rassegnate.
Alla fine vincerà Berlusconi. Non nei voti ma nello stampo in cui si è modellata la campagna elettorale.
Quello degli spot e degli slogan. Con la differenza che pannoloni, dentifrici e detersivi sono multati se ingannano. Nella politica italiana tutto è lecito.