Fiat, Termini Imerese, i sindacati e la memoria corta

di Marco Benedetto
Pubblicato il 15 Gennaio 2010 - 13:16| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Scajola e Marchionne

Dobbiamo tutti ringraziare la memoria corta dell’Italia. Oggi sono i sindacati che più di tutti noi devono gratitudine alla superficialità e alla approssimazione dominanti. Se i lavoratori siciliani e in genere i dipendenti della Fiat avessero voglia di sfogliare le collezioni dei giornali o semplicemnente fare una piccola ricerca su internet, avrebbero davanti grande come un monumento le colpe di quelli che ora li mandano a scioperare e a perdere quattro preziose ore di paga.

Era tutto già scritto sul muro e più modestamente su questo umile sito quando, solo otto mesi fa, si affacciò l’ipotesi di un ingresso della Fiat nella casa automobilistica americana Chrysler. Già allora era chiaro il copione del film: al primo stormire di fronda, al primo scricchiolio di crisi, a pagare il prezzo delle ambizioni napoleoniche delll’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne sarebbero stati i lavoratori.

Non che il disegno complessivo della Fiat non fosse logico: molto di più della Chrysler aveva senso l’acquisizione della Opel, che avrebbe dato vita a un colosso europeo. L’iniziativa della Fiat non andò in porto un po’ per colpe torinesi, perché l’offerta di Marchionne fu giudicata dalla General Motors, proprietaria di Opel, troppo bassa; soprattutto fallì perché nei tempi del negoziato si inserirono i sindacati e il governo tedesco i quali privilegiarono la difesa dell’occupazione locale in un anno di elezioni.

La conquista italiana della Chrysler andò invece avanti, per le stesse ragioni per cui era fallita la Opel: perché in America Fiat avrebbe potuto fare meno tagli, proprio come era nel disegno del presidente americano Barack Obama, il cui partito, il democratico, ha tra gli operai di Detroit uno dei suoi collegi elettorali più forti. Allora l’operazione venne presentata come una versione della conquista dell’impero, settant’anni dopo e ancora oggi il trionfalismo prevale.

Solo Bob Lutz, grande vecchio dell’auto americana, ha espresso di recente dei dubbi, ma può anche essere invidia perché al posto di Marchionne vorrebbe esserci lui. Resta il fatto che sulla Chrysler ci si sono già scornati i tedeschi, ma può darsi che questa volta gli italiani ce la facciano. Quel che era chiaro fin da allora, tuttavia, e sta penosamente diventando evidente a tutti, è che qualunque operazione del tipo Opel o Chrysler comporta razionalizzazioni, riorganizzazioni, tagli: sono fatti inevitabili, come quella di dimagrire e non fumare per ridurre i rischi di infarto.

Però qui è importante il ruolo del sindacato: nella discussione preventiva, nel chiedere l’attenzione del governo, nel prevedere le crisi quando sono prevedibili e cercare di ridutrre preventivamente i danni. Cosa hanno fatto invece i sindacati italiani? I vertici dei vertici sono andati in Abruzzo a celebrare il primo maggio in una patetica scimmiottatura di Berlusconi & Bertolaso.

Un sindacalista italiano ha addirittura preso l’aereo per andare, novello Fantozzi, a spiegare ai colleghi americani quanto buono e umano sia Marchionne: quei poveretti del sindacato di Mirafiori, che hanno fatto un po’ di confusione come ai vecchi tempi, sono stati trattati poco meno che da terroristi. Ora ai lavoratori della Fiat tocca lo sciopero: sforzo inutile perché giustamente la Fiat si muove secondo un disegno trasparente e anche giusto, con uno stato d’animo aggravato dal comportamento della Regione Sicilia, che dei soldi ha bisogno per le sue operazioni clientelari: cosa che permette a Marchionne di rimangiarsi le poche promesse fatte.

Il governo? Sottozero: a parte la retorica d’occasione di Berlusconi al momento dell’accordo e un po’ di facile demagogia, il ministro Claudio Scajola non ha fatto nulla di quel che aveva promesso e oggi il governo se ne sta ben defilato.

Non si poteva evitare tutto questo?