La gente pensa ai figli disoccupati e precari e non a Berlusconi? Una proposta per dare un lavoro a tutti, anche se Tremonti si opporrà

di Marco Benedetto
Pubblicato il 10 Luglio 2010 - 21:03| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Ho avuto per la prima volta negli anni ’50 la nozione che ci fosse una sensibile divergenza tra le aspettative giustificate dal diploma o dalla laurea e la possibilità di trovare un lavoro adeguato.

Lo spazzino, si sfogò con mia madre, mentre trasferiva nel sacco di tela semimpermeabile beige stinto e tutto macchiato dal secchio davanti alla porta di casa la poca produzione di rifiuti di una famiglia in quegli anni difficili: “Ho il diploma di geometra e faccio lo spazzino”.

Mi restò impresso nella memoria di bambino e mi torna in mente ogni volta che sento parlare di disoccupazione giovanile, che credo sia uno dei tanti imbrogli, ma forse uno dei più grossi, che i politici, tutti assieme, e i giornalisti, per pura mancanza di spirito critico, hanno perpetrato ai danni degli italiani.

Si sente dire spesso in questi giorni, dal grande popolo che vota, che la maggior parte dei temi di politica alta che agitano, dividono e tormentano l‘Italia, intorno a Berlusconi e non solo lui, non sono di alcun interesse di fronte all’angoscia dei figli che non trovano lavoro.

Si va poi in giro per l’Italia, non solo nelle fabbriche o nei campi, ma nelle località turistiche delle nostre riviere, dal quasi germanico nord al più profondo sud e dappertutto si trovano stranieri, non a fare i muratori o gli operai, lavori indegni ormai per un italiano, ma a fare i camerieri, lavori che una volta erano considerati da elite per l’integrazione data dalle mance.

Mi dice un amico che senza polacchi e romeni la macchina organizzativa di Padre Pio non girerebbe e se è per questo non girerebbe nemmeno la struttura turistica della Puglia e di tutto il Meridione. Mi dice un altro che una ragazza, rigorosamente italiana, ha lasciato il lavoro, stagionale, al bar di uno stabilimento balneare perché “non ce la faceva più”, troppa fatica.

Devo dire che non c’è niente di male nel fatto che ciascuno di noi voglia costruire per i propri figli un futuro migliore del suo. Chi ha lasciato gli anni migliori in un lavoro faticoso, pagato poco, di poca soddisfazione, è giusto che abbia fatto studiare i propri figli, per fargli fare il salto di piano, il salto di classe.

In questo, peraltro, è l’essenza del sogno americano. I posti più importanti e meglio pagati negli Usa sono occupati da figli di muratori e sarte, lo stesso Obama impersona un altissimo esempio.

Lo stesso si può dire che è accaduto per i figli degli italiani emigrati in Germania a fare i muratori, i pizzaioli, gli operai, i cui figli sono impegnati a far carriera nelle aziende tedesche.

Alcune importanti differenze vanno sottolineate.

La prima è che nessuno ha detto a quegli emigranti e ai loro figli che far carriera è un diritto, che non fare più l’operaio o il meccanico o il macellaio e diventare invece impiegato, ovviamente di concetto, è qualcosa di garantito. Provateci, gli è stato detto, se lavorate tanto e siete bravi nessuno vi fermerà. Anche da loro i figli dei padri ricchi e potenti godono degli immancabili privilegi di cui godono da noi, quindi questa obiezione non vale.

La seconda che Stati Uniti e Germania sono i due più grandi mercati del mondo, sono i due cuori dell’economia del mondo, hanno la più grande forza industriale e quindi l’offerta di lavoro più ricca del mondo. Perciò sono in grado di assorbire nuove forze a tutti i livelli, quello operaio e quello impiegatizio contemporaneamente.

La terza è che il concetto di precarietà, che implica non solo l’incertezza del proprio futuro ma anche la sanzione del lavoro fatto bene e fatto male, è diffusa in tutto il mondo, certamente più in America che in Germania, ma da noi è stata proprio sradicata da generazioni di politici di tutti i colori, da almeno un secolo per quanto riguarda il settore pubblico.