Papa Francesco, demagogia da peronismo? I rischi per noi…

di Marco Benedetto
Pubblicato il 19 Gennaio 2016 - 07:05 OLTRE 6 MESI FA
Papa Francesco, demagogia da peronismo? I rischi per noi...

Papa Francesco ha il senso della folla. Per ingraziarsi i fedeli dice cose di facile presa demagogica che possono essere pericolose

ROMA – Papa Francesco insiste nella demagogia di bassa lega e dice, ignorando la Genesi, che la mancanza di lavoro

“è il dramma dei nuovi esclusi del nostro tempo, che vengono privati dei loro diritti, mentre la giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti”.

Quando mai il lavoro è stato un diritto? A noi hanno insegnato che è un dovere. La Bibbia (Genesi) dice:

“Con dolore [dalla terra] trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. […] Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”.

La cosa che infastidisce un po’ è che, di fronte alle sue prese di posizione tanto demagogiche, ci si aspetterebbe una martellante azione in difesa dei cristiani, martoriati e martirizzati nel mondo. Non saranno tutti cattolici romani ma sono tutti battezzati in Cristo. Eppure il silenzio della Chiesa è imbarazzante. Papa Francesco ne parla ogni tanto ma non con l’intensità che dedica all’alta filosofia giustizialista. Non c’è giorno che dai quattro angoli del mondo non giungano notizie di persecuzioni. Sarebbe bello che ogni giorno Papa Francesco si affacciasse alla sua finestra e esortasse il mondo a difendere i cristiani perseguitati, magari anche accogliendone un po’, fra i tanti profughi, nel suo Vaticano.

I suoi interventi in difesa dei cristiani sono sporadici. Invece predica su altri temi, forse perché sparando nel mucchio pensa di non urtare nessuno.

Che il lavoro è un diritto lo dicono i politici di oggi, inducendo nei giovani e anche nei loro anziani la convinzione che se è un diritto nulla si deve fare per cercarselo, tanto poi Giorgio Napolitano (che lo ha teorizzato ex cathedra da presidente della Repubblica) o Beppe Grillo un posto in comune o un salario di cittadinanza e di sopravvivenza te lo daranno. Nessuno poi ha detto e dice che se è un diritto è comunque un diritto non disponibile altrimenti se è un diritto e basta il suo esercizio diventa un optional e posso anche rifiutarlo.

Non può dirlo il Papa, perché il suo messaggio trascende il contingente della politica, non sai mai quando parla l’uomo e quando parla il rappresentante di Dio. Non può azzardarsi a dire parole inconsulte.

Poi, pensando planetario, Papa Francesco ne ha detto un’altra:

“Oggi è il tempo del lavoro schiavo, quello senza diritti, e della mancanza di lavoro”.

Parole sante, ma viziate dalla parola “oggi”, sono quelle 4 lettere, oggi, che danno un valore devastante e sbagliato al discorso di Papa Francesco. La schiavitù esiste da che mondo è mondo, l’antica Roma si sfaldò per la fine delle guerre che procuravano masse di schiavi motore della economia del tempo, gli schiavi sono proseguiti per mille anni e più oltre Gesù Cristo, nei monasteri i monaci nobili e futuri santi pregavano e studiavano, a zappare la terra ci pensavano gli schiavi, poco più che schiavi erano i contadini per secoli e secoli nell’era cristiana, quella delle radici cristiane dell’Europa. Si dice servi della gleba, ma servo in latino vuol dire schiavo.

La schiavitù non è di oggi, è una cosa bruttissima, si deve combattere sempre e ovunque, dentro di noi innanzi tutto, ma non come male dell’era presente bensì come male eterno, intrinseco alla natura umana. Questo rende la lotta più ardua, non alimenta facili illusioni. Tutta la storia dell’uomo è fatta di una sopraffazione sopra l’altra, di un popolo che arriva dove già un altro si era stabilito e gli dice: da oggi tu sarai il mio servo, il mio schiavo. Pochi secoli fa milioni di europei avidi e affamati si sono rovesciati in America, Nord e Sud, hanno quasi sterminato gli indigeni, hanno portato dall’Africa legioni di schiavi e poi si sono proclamati caposaldo della libertà e della democrazia.

Non è la prima volta che Papa Francesco si abbandona a colpi di demagogia che lasciano perplessi perché potenziali portatori di conseguenze pericolose.

A volte viene il dubbio che subisca l’influenza di qualche consigliere nefasto. Anche se il Papa è una delle persone più autorevoli e importanti del mondo, resta un uomo. Anche se in lui convergono poteri da sovrano assoluto, difficilmente si può pensare che un uomo, di quasi 80 anni, possa governare da solo un impero che non ha uguali per estensione nel mondo. Non era così ai tempi del Papa Re. Accanto al trono papale c’erano cardinali potentissimi e abilissimi che presiedevano alla amministrazione della Chiesa. Meno che mai una gestione assolutamente autocratica è concepibile al giorno d’oggi. Meno che mai nel caso di Papa Francesco, impegnato in una opera di stravolgimento della Chiesa cattolica senza del quale incombe un continuo declino.

Difficilmente si può accettare che il Papa parli come voce diretta di Dio, anche chi non crede non può accettare di far fare al Padreterno figuracce come quella di mandare in carcere Galileo Galilei. Meno ancora si possono attribuire agli atti di gestione del Papa i crismi della infallibilità.

Qualche erroretto Papa Francesco lo ha commesso, in alcuni casi lo si si è già visto, di altri, come la demagogia a tutti i costi, gli effetti si vedranno col tempo. Il più mediaticamente noto errore di Papa Francesco è stata la scelta di Francesca Immacolata Choauqui e del suo sponsor mons. Vallejo Balda, cosa che con grande umiltà lo stesso Papa Francesco ha riconosciuto.

Ma anche il fatto che di tanti direttori di giornale nel mondo Papa Francesco abbia scelto come interlocutore il direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, riflette una visione diciamo così un po’ provinciale del suo lavoro.

Certo Scalfari è il più grande direttore di giornale di questo secolo in Italia e fra i maggiori in Europa ma questo può interessare uno storico di giornalismo non il Sommo Pontefice.

Certo Repubblica è letta a Roma e in Vaticano più del New York Times e avere alleato il proclamato ateo che l’ha fondata può essere utile nei giochi di palazzo.

Ma che Papa Francesco telefoni a Scalfari e induca il suo co-Papa Benedetto XVI a aprire un epistolario con Piergiorgio Odifreddi non può essere casuale. Nulla da eccepire nemmeno per Odifreddi ma dal Papa della Chiesa Universale mi sarei aspettato qualcosa di meno casalingo, come il direttore del New York Times, il giornale più autorevole del mondo, a cavallo fra etnie e religioni differenti, proprietari cattolico, protestante di origine israelita, europei, africani, asiatici, ebrei ci scrivono.

Se la scelta degli interlocutori di Papa Francesco può confinare con il folklore, la scelta dei temi è più inquietante perché va di pari passo con la discreta ma inesorabile ascesa di sacerdoti che non vengono da lontano ma quasi dal nulla, come marginali diocesi in Calabria. Può essere anche una scelta coraggiosa e originale per rompere il piombo che ingabbia la Chiesa di Roma. Se però poi per trovare spazio sui giornali, tanto acritici quanto smaniosi di forti emozioni, uno spara parole in libertà allora l’effetto può avere conseguenze non auspicabili.

La riflessione che viene da fare mettendo assieme tutti questi dati è che lo stesso Papa Francesco può essere terreno fertile per il seme della demagogia non a causa di sprovvedutezza, inesperienza, ingenuità ma perché anche lui la pensa così. Jorge Bergoglio Papa Francesco è nato in Argentina nel 1936 e aveva 10 anni quando Juan Peron andò al potere. Il fascismo di Peron non pagò dazio perché evitò scelte di campo non per astuzia, come Francisco Franco, ma perché ormai la guerra mondiale era finita. Inoltre il fascismo di Peron, che doveva sterilizzare il terreno ai comunisti, ne assorbì parte delle pulsioni. Lo fece al punto che dal peronismo derivò quella spinta verso il terrorismo che ha martirizzato l’Argentina e con cui anche Bergoglio dovette fare i conti negli anni in cui fu superiore dei gesuiti.

Il peronismo ha permeato la cultura politica e economia in Argentina e viene considerato all’origine di molti suoi mali. Forse il suo ciclo si è concluso nel 2015, dopo oltre 70 anni, con la elezione del primo presidente non peronista, Mauricio Macri. Il Giustizialismo che è la matrice del peronismo non è quello che si è inteso dire in Italia dopo Mani Pulite. La parola non deriva dal potere o strapotere dei giudici ma dalla giustizia sociale. In nome della giustizia sociale a favore delle masse dei descamisados, tanto poveri da non possedere nemmeno la camicia, invece della strada dello sviluppo economico fu scelta la scorciatoia delle elargizioni demagogiche.

Per questo quando Matteo Renzi parla di “giustizia sociale” dà un po’ i brividi anche se c’è da sperare che non abbia mai approfondito molto la materia.

Papa Francesco è un’altra cosa. Ha letto molto, è coltissimo, è gesuita. Soprattutto è cresciuto negli anni del giustizialismo con cui la Chiesa, prima di rompere su aborto e divorzio, con Peron andava d’accordo. Ancor più è vissuto e ha operato in quella Argentina peronista e giustizialista. Per questo desta allarme quando lancia messaggi come quelli sul diritto al lavoro e sulla schiavitù. In prima battuta nessuno gli può dare torto. Pensare a tanti giovani disoccupati fa male, pensare alla schiavitù ancor di più.

Come gli si può dare torto quando Papa Francesco parla di “sfruttamento” che “vige nelle civilissime società occidentali come in quelle dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina”, e  di aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, “che in certi paesi dell’Europa tocca il 50 per cento” (qui forse la spara un po’ troppo stile Istat):

“Cosa fa un giovane che non lavora? Cade nelle dipendenze, nelle malattie psicologiche, nel suicidio, e non sempre si pubblicano le statistiche dei suicidi giovanili”.

“È il dramma dei nuovi esclusi del nostro tempo, che vengono privati dei loro diritti, mentre la giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti”.

Sembra una predica domenicale  di prima che le chiese si svuotassero di fronte a tante esagerazioni in stile Savonarola. Si può anche capire: il Papa cerca consensi, cerca nuovi proseliti. Ma è il Papa, non un parroco di periferia.

Come l’ha detta Papa Francesco non è corretto e può essere pericoloso.