Giustizia privatizzata in nome di spending review e Severino?

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 28 Gennaio 2013 - 11:59| Aggiornato il 8 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La crisi della giustizia statale sembra ormai irreversibile. L’era Berlusconi aveva concentrato l’attenzione sulla Giustizia (quella penale in particolare) individuata come la grande avversaria e addirittura la concorrente più temibile della politica. Oggi, avviata ( forse) a conclusione quell’era sciagurata, il tracollo del sistema giudiziario e le misure con le quali ancora ci si illude di poterlo fronteggiare nascondono a fatica un diverso e forse più condiviso disegno: quello di una rapida, indolore privatizzazione della giustizia.Lo Stato, infatti, sembra avviato a ritirarsi da quel campo – una rotta, più che una ritirata – incoraggiandone più o meno apertamente l’occupazione da parte dell’iniziativa privata.

Secondo la nuova geografia giudiziaria, gli uffici abbandonano gran parte del territorio e si asserragliano nei grandi centri, allontanandosi sempre di più da una diretta, facile accessibilità da parte dei cittadini, già in tutti i modi scoraggiati dal ricorrere alla Giustizia dello Stato. I recenti ‘tagli lineari’ operati dalle gestione Severino su basi brutalmente statistiche, all’insegna di un aumento dell’efficienza e della produttività del servizio ‘giustizia’, si sono caratterizzati esclusivamente in negativo: nessun incremento della spesa (al contrario: la riforma pretende di attuarsi, come al solito, a costo zero per lo Stato); drastica eliminazione degli uffici periferici , giustificata dall’esigenza di ‘meglio distribuire’ i giudici.

Ma, in contrasto con questa promessa, il Governo sta per attuare un altrettanto drastico ‘taglio’degli organici, in contrasto con ogni ragionevole pretesa di efficienza. Meno 10 magistrati a Genova, meno 13 a Palermo, meno 20 a Torino in seguito all’accorpamento. Allo stesso tempo si procede a una massiccia riduzione degli uffici dei giudici di pace (nella misura dell’80%).

Anche in questo caso il cosiddetto accorpamento sarà fatto coincidere con una riduzione degli organici dei giudici di pace, sui quali continua a gravare , tuttavia, la gran parte del contenzioso civile e penale ‘minore’, quello che coinvolge direttamente il cittadino come utente del ‘servizio giustizia’. ‘Servizio’ in alternativa al quale si presentano più che volenterosi sostituti, tralasciando la funzione paradossalmente ‘regolatrice’ svolta dai poteri criminali insediati sul territorio.

Da più parti – governative o di opposizione, quale che sia l’attribuzione dei ruoli – viene sempre più incoraggiato il ricorso a forme di giustizia privata che nel nostro Paese non conoscono ancora una significativa né abbastanza diffusa tradizione: l’arbitrato, la conciliazione, la mediazione. Sembra che lo Stato, nel dichiarare la bancarotta di fronte al problema dell’amministrare giustizia, spinga sempre più i cittadini a rivolgersi al forme di giustizia privata anomale e poco familiari allo stesso legislatore  che pure le incoraggia fortemente .

Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma che introduceva la conciliazione obbligatoria nel nostro sistema processuale civile. Nel frattempo, sono sorti dappertutto nel Paese (specialmente al Sud) organismi privati per la conciliazione delle controversie di ogni tipo ‘in migrazione’ dai tribunali ordinari.

È fiorito il business delle scuole di formazione per mediatori, più numerosi di quanto non siano le richieste di mediazione. La stessa avvocatura – alle prese con una crescita esponenziale e incontrollabile dei propri iscritti – è alla ricerca di sbocchi professionali indirizzati allo svolgimento di funzioni conciliative o arbitrali. È da segnalare, in questo senso, perché indicativa di un comune convergere verso forme di giustizia ‘amministrata’ al di fuori dei Tribunali, l’iniziativa di alcuni ordini degli avvocati presso Tribunali minacciati di soppressione. Come risposta a quella minaccia – in via di attuazione – gli avvocati propongono in sostanza di fronteggiare la più che probabile perdita di contenzioso, attraverso l’istituzione di Camere Arbitrali dell’Avvocatura destinate ad assorbire quel contenzioso in procinto di ‘emigrare’verso più lontane sedi giudiziarie.

Non crediamo che questa tendenza alla privatizzazione – se controllata e opportunamente gestita dal potere politico – sia in sé negativa. Crediamo, al contrario, che essa possa costituire un valido supporto alla prospettiva di una nuova giustizia ‘alternativa’ . A una condizione, però: che non la si sottragga al controllo e alla garanzia costituita da una Magistratura cui spetta il compito – istituzionale – di attuare i principi costituzionali di eguaglianza, rispetto dei diritti di difesa, imparzialità e supremazia della legge.