Per la Grecia un piano Marshall?

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 10 Luglio 2015 - 14:17 OLTRE 6 MESI FA
Per la Grecia un piano Marshall?

Tsipras

ROMA – No: i famigerati banchieri non sono cattivi (né possono essere ‘buoni’). Semplicemente essi fanno il loro mestiere o – per dirla con Max Weber – obbediscono alla loro specifica vocazione, che è quella di far fruttare il denaro, perché ne produca sempre di nuovo da reinvestire, e così via.

A essere cattivi ( o irresponsabili, che – per una morale laica è la stessa cosa) sono coloro che hanno affidato a dei banchieri la gestione della politica economica della Comunità. O meglio: l’assenza della politica (di una vera politica, quella non a caso ‘inventata’ dalla Grecia ) ha consentito che un’idea grande e generosa – come quella che ha permesso la nascita della Comunità Europea – si traducesse nella contabilità micragnosa che governa, o sgoverna, un super-condominio o nell’oppressione luciferina che una banca esercita sul cliente in difficoltà, dando l’impressione che proprio dal perdurare di quel sistema di oppressione derivi il potere di vita o di morte di cui la banca dispone nei confronti dei suoi clienti.

Non c’è stato un commentatore – da destra o da sinistra – che sia sfuggito a questa logica, sia nel sostenerla apertamente (tanto ti ho prestato, tanto devi restituirmi, naturalmente con gli interessi) , che nel contestarla sostenendo pur sempre la tesi di quella che pudicamente si chiama ‘ricostruzione del debito’.

In entrambi i casi si rimane nella logica contabile del dare-avere, che mette sempre sullo stesso piano creditore e debitore. E’ l’esito che ancora Max Weber profetizzava per l’Occidente, sempre più prigioniero di una razionalità che rinveniva in se stessa – e nella propria gelida burocrazia – il proprio fine ultimo. Quello dei banchieri, appunto.

Ma, se solo si prova a uscire da questa logica e da quella dei cosiddetti ‘aiuti umanitari’– che ne costituisce una superfetazione e non la vuol superare ma solo integrare con un appello alla carità – ci si apre un mondo diverso e più corrispondente alla visione che della Comunità Europea ebbero i suoi padri fondatori.

In quel mondo (per niente ‘ideale’, descritto dallo Stesso Adam Smith, teorico della ‘simpatia’) l’interesse economico va a braccetto con la solidarietà e la compartecipazione. In quel mondo, del tutto laico, l’aiuto al fratello in difficoltà lascia da parte – almeno per il momento – ogni recriminazione sul ‘di chi è la colpa’, dando la precedenza a un impulso che non è semplicemente e genericamente ‘umanitario’, ma è il riflesso, la conseguenza stessa di una identificazione e di una autentica condivisione.

La situazione della Grecia oggi corrisponde in tutto e per tutto da quella di un Paese uscito da una guerra rovinosa. Non si tratta ora di discutere se, come, in che misura aiutare. Si tratta – piuttosto di capire che cosa serve a quel Paese per rientrare o entrare per la prima volta nel novero delle nazioni che nella cooperazione hanno trovato la ragione prima di una inedita prosperità nella pace. Il benessere è un ‘bene comune’, per cui non si può prosperare davvero in solitudine o a danno di altri.

Soccorre l’esempio – troppo spesso citato ma mai davvero seguito o imitato – del famoso ‘Piano Marshall’ ideato e voluto dagli Stati Uniti dopo la fine della seconda guerra mondiale, per ricostruire le economie, ma anche le società dei paesi europei : dei vincitori come dei vinti.

A spingere gli Stati Uniti verso l’adozione di quell’iniziativa, non furono né un generico sentimento umanitario, né un calcolo finanziario basato sulla sola prospettiva del ritorno diretto dei capitali impegnati.

C’era da un lato il calcolo positivamente egoistico degli americani, che vedevano nella nuova Europa non solo un partner strategico importante agli albori della guerra fredda (e quindi nel Piano Marshall uno strumento economico per contenere l’avanzata del comunismo), ma anche un mercato e un partner economico irrinunziabili per un paese che usciva dalla guerra nel pieno delle forze e al culmine della vitalità espansiva.

Il ‘Piano Marshall’ non fu quindi un piano di finanziamento di Paesi stremati dalla guerra e destinati a esserlo ulteriormente dal crescere inarrestabile del debito, ma uno strumento che coniugava gli interessi economici e quelli geo-politici degli Stati Uniti, combinandoli con quelli paralleli dei paesi aiutati.

Si trattava non di trasformare i paesi europei in debitori ‘in aeterno’ del potente alleato americano, ma di aiutarli a diventare – allo stesso tempo – importatori di beni, capitali, risorse, culture industriali tipicamente americani, e partner commerciali di altrettanti prodotti e valori, economici e non, di cui gli Stati Uniti di quella stagione si sentivano a loro volta ‘ in debito’.

Su questa linea, dunque, il Piano Marshall si realizzò attraverso la costante direzione congiunta da parte degli Stati Uniti e del paese assistito, esercitata da commissioni ‘miste’ che decidevano volta per volta quali dovevano essere gli obiettivi cui indirizzare gli aiuti americani. Aiuti che non furono solo finanziari, ma furono anche tecnici, amministrativi, commerciali e in senso lato ‘culturali’ mirati al raggiungimento di fini specifici: ricostruire l’industria manifatturiera, riordinare la burocrazia, semplificare i rapporti tra Stato e cittadini, dare nuovo spazio e significato alle relazioni industriali, aumentare l’efficienza della macchina burocratica, combattere la corruzione e dotare il paese di efficienti sistemi di comunicazione.

Tutto questo avveniva non solo nell’interesse dei singoli paesi, ma in quello, complementare, degli stessi Stati Uniti.

Basterebbe oggi sostituire gli Stati Uniti con la Comunità europea, per trovare le stesse ragioni che giustificarono allora la scelta del Piano Marshall , decretandone il successo, riconosciuto ancora oggi , a quasi settant’anni di distanza.

La Comunità deve aiutare la Grecia nel proprio interesse e non solo in quella della Grecia. Deve contenderla all’influenza della Russia di Putin. Deve farne l’occasione per un ripensamento della propria funzione e dei propri obiettivi, largamente perduti di vista, se non addirittura traditi dalla logica brutale che affida al denaro e alla sua perversa magia la crescita di una intera comunità continentale.

La Grecia può e aspetta di essere aiutata in una molteplicità di modi, che vanno dall’incremento del turismo alla ricostruzione dello Stato, del sistema bancario e di quello sanitario, dell’industria, dei traffici marittimi e dell’agricoltura.

Aspetta, in fondo, di venire rimessa sulla strada della modernizzazione e non costituire – come è stata in passato – l’avamposto di quell’Occidente che sembra oggi volerla invece ridurre a variabile impazzita di un sistema di per sé sul punto di collassare.