Primarie Pd Liguria: vittoria Paita somiglia sempre più a una sconfitta

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 27 Gennaio 2015 - 12:25 OLTRE 6 MESI FA
Raffaella Paita

Raffaella Paita

ROMA – Con i disastri che sta provocando, la vittoria di Raffaella Paita nelle primarie liguri somiglia sempre più a una sconfitta. I disastri sono sotto gli occhi di tutti, per la sinistra ( o quello che ne rimane ) , per il Partito Democratico ( in cui quello che rimane della sinistra, per quanto disorientato, non si riconosce più ), per la regione ( Genova in particolare, che dubita ormai della propria egemonia ) , ma anche per il paese ( l’uscita di Cofferati ha assunto una valenza che va ben al di là della palude ligure ) e per chi ancora crede ciecamente nella rappresentanza.

Non s tratta di colpevolizzare la protagonista del disastro, che di suo ci ha messo e continua a metterci parecchio: le responsabilità investono i suoi sponsor, i ranghi locali del PD e soprattutto la segreteria nazionale che – nascondendosi dietro una contraddittoria neutralità – ha di fatto abdicato al potere-dovere di governare un disastro annunciato. Non poca parte della responsabilità va infine attribuita a chi , proclamandosi – a scelta – disgustato, indifferente, contrario a un meccanismo sgangherato come quello delle primarie liguri, ha voluto risparmiare i due euro e la passeggiata sino al seggio in una domenica di sole.

Visto come sono andate le cose, la ‘delfina’ del presidente in carica avrebbe fatto un migliore uso della propria discussa vittoria se l’avesse messa a disposizione del partito in vista di una ripetizione, sotto migliori auspici, della consultazione pre-elettorale. E’ accaduto il contrario: è stato il PD che – preso velocemente atto della propria sconfitta – si è messo a disposizione di Raffaella Paita, nel nome “dell’unità del partito”, come se questo fosse il bene supremo al quale tutto si può e deve sacrificare.

Conseguenze: un candidato irrinunciabile ma irrimediabilmente azzoppato, anche se frettolosamente incoronato dal nostro premier ; una elezione inquinata già all’origine, dal più che prevedibile incremento dell’astensionismo ; la ricerca frenetica e surreale di una figura salvifica che ci tragga tutti fuori dall’incredibile pasticcio delle primarie liguri.

Presi dal panico, i partiti si alleggeriscono non solo delle strutture, ma anche dell’inutile zavorra dei valori, delle tradizioni , delle ideologie che ne costituivano il patrimonio principale, persino delle figure storiche più rappresentative, rendendosi identici , confondendosi o nascondendosi l’uno dietro l’altro. Non è un caso che non sappiamo neppure – oggi – da quale coalizione siamo , per così dire , governati.

La ridda dei nomi ottiene solo un risultato, a suo modo positivo: convincerci che quella figura salvifica non esiste nella nostra regione ( forse non esiste nemmeno in natura ) e che mai prima d’ora era stato possibile constatare come la disaffezione dalla politica generi il deserto delle vocazioni autentiche o, peggio, produca un sottobosco convulso di mediocri aspirazioni .

E’ forse da questa disaffezione che occorre partire, affrontando il deserto con l’ostinazione della volontà , sostituendo al disgusto della politica un nuovo gusto del fare politica, tutti insieme, in ogni momento della nostra vita e non solo in occasione del voto.

Persino il voto, infatti, nel generale processo di mercificazione dal quale siamo stati sedotti e travolti, è diventato un bene suscettibile di scambio, di essere venduto e comprato, sul mercato o sottobanco, a scapito di quelle libertà politiche cui dovrebbe consentire di esprimersi .

Se il voto continua nonostante tutto a essere espressione fondamentale della libertà politica di un cittadino, dobbiamo sempre ricordare che esso non esaurisce il suo dovere di partecipazione.

Cantava Giorgio Gaber, che

“La libertà non è stare sopra un albero,
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione”.

Il partito è morto: viva il partito. Come diceva Rodotà, presentando a Genova il suo libro sulla solidarietà, “ …non si rimettono insieme i cocci di un vaso che si è irrimediabilmente rotto.”

Occorre ripensare il vaso, o i vasi, non solo come contenitori di consenso, ma come espressione essi stessi di interessi concreti in cui la nostra comunità, o una parte significativa di essa, siano in grado di riconoscersi: si tratti dei collettivi che raccolgono i precari o gli esodati, dei movimenti per la casa, di quelli per l’acqua come bene comune, delle associazioni come ‘Libera’ che si propongono una migliore utilizzazione dei beni confiscati alle mafie o la riconquista all’uso pubblico dei litorali marini o – perché no – la difesa delle api in via di estinzione .