Tribunale penale internazionale per i crimini contro i beni culturali. Si farà?

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 10 Marzo 2015 - 06:59 OLTRE 6 MESI FA
Tribunale penale internazionale per i crimini contro i beni culturali. Si farà?

Foto d’archivio

ROMA – La stagione dei tribunali penali internazionali sembra destinata a una fine precoce e, tutto sommato, ingloriosa se si guarda ai risultati della loro costosa attività. Con le eccezioni di Norimberga e, più recentemente, dei due tribunali per i crimini commessi nella Ex Jugoslavia e in Ruanda, si deve dare atto che i principali responsabili di gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità non vengono più portati a giudizio; che crimini orrendi continuano ad essere impunemente perpetrati; che si contano a milioni le vittime di quei crimini: genocidio, pulizia etnica, deportazioni di massa, stupri , presa in ostaggio di intere popolazioni.

A questo elenco di orrori si è aggiunta negli ultimi anni, ora in forme parossisticamente iconoclaste, un nuovo genere di crimine contro l’umanità, consistente nella deliberata distruzione di opere d’arte, monumenti religiosi, edifici di inestimabile valore storico-culturale. Non che questo crimine non fosse previsto dal diritto penale internazionale: quello che dovrebbe essere amministrato dalla comunità internazionale vuoi attraverso tribunali appositamente istituiti vuoi attraverso i tribunali nazionali investiti a questo scopo di una giurisdizione “universale”.

Il problema è che la distruzione intenzionale di edifici religiosi, di strutture aventi il fine dell’educazione, dello sviluppo delle arti, dell’avanzamento della scienza o della promozione di iniziative caritatevoli, nonché di monumenti storici od ospedali, è prevista come crimine dallo Statuto della Corte penale Internazionale ( art.8,2,ix) solo se commessa nell’ambito di una guerra vera e propria e purchè non si tratti di obiettivi militari. Purtroppo, gli anni recenti ci hanno abituato a conflitti che non rientrano più nella nozione di guerra elaborata dal diritto internazionale. Quasi mai il conflitto investe due o più stati ‘ufficialmente’ nemici; quasi mai a contendersi il terreno sono due o più eserciti tradizionali; quasi sempre la guerra moderna si rivolge deliberatamente contro le popolazioni civili, terrorizzandole, seminando la morte, costringendole ad abbandonare le proprie case, le proprie tradizioni, la stessa cultura su cui si fonda la loro esistenza.
Contro questo nuovo tipo di distruzione del patrimonio culturale mondiale la comunità internazionale ( espressa ormai dalle nazioni Unite ) si trova quasi sempre impotente o paralizzata dai ‘veti’ di una delle potenze che dalla fine della seconda guerra mondiale dominano il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Siamo convinti tuttavia che la distruzione deliberata di ben facenti parte del patrimonio culturale dell’umanità, quale si sta compiendo in Iraq da parte delle forze dell’Isis ( e quale si era già realizzata all’alba di questo millennio , quando i Talebani fecero saltare con l’esplosivo i mirabili Budda di Bamyian, in Afghanistan ) debba essere riconosciuta al più presto dalla comunità internazionale non come un crimine connesso solo a una condizione di vera e propria “guerra”, ma come un crimine che può essere commesso da chiunque e in qualunque circostanza.

Siamo convinti quindi che la configurazione di questo “nuovo” crimine sia drammaticamente urgente e imponga non solo ai singoli Stati ma anche e soprattutto alle Nazioni Unite di attivarsi per la sua tempestiva individuazione e – si spera – punizione: si tratti dei Talebani, dei militanti dell’Isis, di terroristi ‘solitari’, ma anche delle tifoserie ‘ultrà’ che a ondate investono paesi e città depositari di culture ultra millenarie. Cosa potrebbe succedere – proviamo a immaginare – se l’Isis si impossessasse di Gerusalemme, o se un gruppo di “ultrà” si scatenasse contro la fontana di Trevi, o – poniamo – un gruppo di terroristi collocasse una carica di esplosivo all’interno del Colosseo?

Davvero dovremmo limitarci a pensare che la reazione a tanto scempio sarebbe compito esclusivo di un singolo Stato e dei sui tribunali? Noi crediamo – vogliamo ostinatamente credere – che nessuno Stato avrebbe il coraggio di opporsi alla creazione, sotto l’egida e per iniziativa delle Nazioni Unite, di un tribunale ‘ad hoc’ per la repressione dei crimini contro i beni culturali dell’umanità.

Questo tribunale dovrebbe essere costituito non solo da giuristi, ma anche da esponenti della cultura il cui valore e prestigio siano riconosciuti al livello internazionale. Dovrebbe affiancarlo un ufficio del procuratore, investito dei poteri e dotato dei mezzi investigativi necessari per intervenire tempestivamente nei luoghi in cui si stiano perpetrando crimini aventi a oggetto beni facenti parte del patrimonio culturale dell’umanità.