Alcoa, No Tav, Gabanelli e Lusi: fuoco e fiamme a “loro insaputa”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 28 Marzo 2012 - 14:04 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Spiace avvicinare sia pure per vaga assonanza gente che si suda la vita e rischia il lavoro con i teatranti della No Tav. E dispiace rilevare un’involontaria coincidenza tra una rispettabile giornalista come Milena Gabanelli e un molto meno rispettabile parlamentare e “tesoriere” come Luigi Lusi.  Ma le “coincidenze” appunto sono tante, di tempo, di modo, di gesti e pensieri: in una sola giornata, nella stessa giornata tutti e quattro gli attori hanno diversamente recitato la medesima “piece”, il medesimo copione: quello del dire e del fare a loro “insaputa”. O meglio, del dire e del fare senza sapere fino in fondo quel che facevano.

Gli operai dell’Alcoa protestavano e manifestavano in piazza nella disperata difesa della loro fabbrica che va a chiudere. Per fortuna un mezzo risultato l’hanno ottenuto: lo stabilimento resta “acceso” fino a fine anno, se gli impianti fossero stati spenti prima come voleva la multinazionale dell’alluminio nessuno più dopo di loro avrebbe sostenuto i costi della “riaccensione” e la fabbrica sarebbe stata di sicuro chiusa per sempre. Impianto acceso fino a fine anno e cassa integrazione straordinaria, non hanno salvato il posto di lavoro ma hanno guadagnato tempo, cioè vita per loro e per le loro famiglie. Ma mentre protestavano e manifestavano gli operai dell’Alcoa hanno bruciato in pubblico falò le schede elettorali. Un gesto simbolico, ed è proprio il simbolo scelto e il consegnarlo alle fiamme che indica come gli operai dell’Alcoa non sanno o peggio non vogliono sapere che significa quello che fanno. Bruciare le schede elettorali, cioè dire e gridare che se la politica, la collettività, lo Stato non garantiscono loro un posto di lavoro, allora la politica, la collettività, lo Stato non meritano un voto elettorale.

Non è solo sbagliato o eccessivo, è proprio un pensiero distorto e a suo modo malato. La politica, la collettività, lo Stato devono garantire ai cittadini lavoratori un ospedale, una scuola, un sostegno economico mentre cercano un lavoro o se lo perdono. Ma un posto di lavoro non è la conseguenza di un voto, un posto di lavoro non è la remunerazione di un consenso elettorale. Non fosse altro per l’ottimo motivo che non esiste al mondo una collettività, una politica, uno Stato che può garantire un posto di lavoro. Quando la politica promette impiego sicuro in cambio di una scheda elettorale o mente o fa mercimonio di se stessa. Quando i lavoratori reclamano lo scambio: io ti voto, tu mi dai il posto, allora avallano un “mercato” che è peggiore perfino del mercato che cancella occupazione. Quei lavoratori disperati che bruciano la scheda elettorale santificano intorno a quel falò il voto di scambio, la clientela come sistema, il voto come moneta per comprarsi un trattamento di favore. Bruciano le schede elettorali anche quelli che si sono fatti la casa abusiva, succede ad esempio ad Ischia e in mezza Campania. E questa non è democrazia e neanche giustizia sociale, è un misto tra baratto e ricatto. Bruciando quelle schede come lavoratori quegli operai si sono umiliati come cittadini. Lo hanno fatto a loro insaputa, accecati dalla disperazione, ma lo hanno fatto.

I teatranti No Tav per l’ennesima volta hanno tentato sul palcoscenico di Milano di impedire a Giancarlo Caselli di parlare. Il magistrato Caselli, “colpevole” di aver condotto indagini ed emesso provvedimenti cautelari non sul movimento No Tav ma su alcuni con nome e cognome che hanno commesso reati sotto la bandiera No Tav. Ma “l’insaputa”, l’ignoranza molesta e tronfia dei teatranti No Tav è stata quella di proclamarsi niente meno che i “nuovi partigiani”. Nel loro delirio i teatranti si sentono in guerra di “liberazione” contro dittature paragonabili al nazismo e al fascismo, contrabbandano i loro scontri con la polizia con la scelta di chi rischiò e perse la vita contro le SS e i repubblichini di Salò. Spacciano droga ideologica pessimamente “tagliata”, sono dei “puscher” di odio di infima qualità. La loro “insaputa” è un misto di ignoranza e protervia. Purtroppo sanno quello che fanno, anche se inconsapevoli di quel che dicono. Sono in grado di volere, di intendere sono incapaci.

Milena Gabanelli definisce una “vigliaccata” l’ultima riforma delle pensioni. Non un errore, una “vigliaccata”. E così la Gabanelli si inserisce nella pessima tradizione e cultura secondo le quali chi fa o pensa una cosa sulla quale non sei d’accordo, la fa e la pensa perché è “infame”. La vigliaccata infame è secondo la Gabanelli la pensione calcolata secondo il sistema contributivo. Con tutta evidenza la Gabanelli non sa di cosa parla e parla ad insaputa della riforma che scomunica e di ogni sistema previdenziale. Lo dimostra e lo attesta quel che la Gabanelli ritiene il suo asso nella manica: la richiesta perentoria al ministro Elsa Fornero di rinunciare, quando andrà in pensione, alla sua parte di pensione calcolata con il sistema retributivo e non contributivo. La Gabanelli pensa così di aver colto il ministro in castagna, di accendere una luce sdegnata su un privilegio. Non sa la Gabanelli che una parte della pensione calcolata con il retributivo è “privilegio” di milioni di italiani, tutti quelli che hanno cominciato a lavorare prima del 1995, Gabanelli compresa se versa i contributi all’Inpgi, ente autonomo di previdenza dei giornalisti.

Luigi Lusi a margine di un ossessionante pedinamento della cronista del Tg7 ha mormorato: “Qualcuno ha usato le mie carte di credito”. A sua insaputa ovviamente. Probabile infatti a chi non capita di vedersi usate le carte di credito da qualcun altro senza accorgersene negli estratti conto? Lusi, una “insaputa” ribalda e sfrontata. Gabanelli, una “insaputa” ideologica e comiziante. I teatranti No Tav, una “insaputa” ignorante e violenta. Gli operai Alcoa, una “insaputa” disperata e non senza alibi ma una “insaputa” in-civile. Spiace accostarli tra loro e di certo Gabanelli e operai patiscono una coincidenza di tempo e di modo. Ma la coincidenza c’è: in una sola giornata quattro “insapute” italiane sparse per ogni dove.