Foffo, Prato: quei padri senza una parola giusta in bocca

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 14 Marzo 2016 - 08:55 OLTRE 6 MESI FA
Foffo, Prato: quei padri senza una parola giusta in bocca

Foffo, Prato: quei padri senza una parola giusta in bocca (nella foto Ansa, Valter Foffo)

ROMA – Manuel Foffo e Marc Prato, quelli che hanno torturato con trenta coltellate e a colpi di martello Luca Varani, lo hanno lasciato morire dissanguato e hanno voluto vivere questa esperienza, rafforzata dall’assunzione prolungata di cocaina ed altro, per “vedere effetto che fa” ammazzare un essere umano. Poteva essere Varani o un altro, faceva lo stesso…”effetto” da provare. Manuel Foffo e Marc Prato hanno entrambi un padre ed entrambi i genitori hanno voluto parlare, parlare alla gente. In televisione a Porta a Porta o sul proprio profilo Facebook Valter Foffo e Ledo Prato hanno di loro scelta e volontà parlato, senza riuscire ad avere una parola, una sola parola giusta sulle labbra.

Se veniste a sapere che vostro figlio ha appena finito di ammazzare, meglio massacrare, una persona infliggendole tre ore di tortura in un appartamento, voi, neanche 24 ore dopo, andreste a parlarne in televisione? Se sì, se la vostra risposta è sì allora fate parte di un mondo che può spiegare a chi non capisce, proprio non ce la fa a capire. Spiegare a quelli che vivono in un mondo altro da quello in cui abita Valter Foffo.

Andare nel talk-show televisivo la sera dopo che tuo figlio ha straziato un altro essere umano…Può essere una manifestazione di freddezza, controllo dei nervi e delle emozioni, iper controllo. E certamente è cosa lecita. Ma voi l’avreste fatto? Provate a immaginare soltanto per un momento: la notizia, lo squarcio tragico del figlio assassino, no, non solo assassino, aguzzino, torturatore. Provate a immaginare il vostro sgomento, no, non solo sgomento, annichilimento. Provate a immaginare: la perdita subitanea della voglia di respirare, parlare, vivere perfino, sopravvivere a quel che è accaduto neanche 24 ore prima.

Invece Valter Foffo non è ridotto al silenzio dell’enormità della tragedia che frana su di lui. E’ in grado di intendere e volere, va lucidamente a parlare in televisione. E allora voi pensate lì in televisione vada per frasi sconnesse dal dolore, dalla pena. E invece no, non pronuncia frasi lessicalmente sconnesse.

Dice del figlio Manuel “un modello” e lo ripete più volte “un modello”. “Un ragazzo buono, forse eccessivamente buono…contro la violenza, un autodidatta…dal quoziente intellettivo superiore alla norma”. Lo ascoltano tra le centinaia di migliaia, due che scrivono sui giornali, Massimo Gramellini su La Stampa e Stefano Cappellini su La Repubblica. Entrambi rilevano ciò che è evidente: papà Foffo ha per il figlio carnefice parole da spregiudicato avvocato difensore e solo quelle. Parole che sfidano e sferzano il plausibile e il decente: “un modello, un ragazzo modello…contro la violenza” detto mentre il sangue della vittima è ancora letteralmente sull’arma che, tra l’altro, gli ha reciso le corde vocali così che non disturbasse lo spettacolo della sua agonia con grida, dire questo è uno sberleffo alla realtà e uno schiaffo a chi ascolta.

Altre parole di Valter Foffo, per ricordare che “Manuer è stato molto tubato dalla morte dello zio” e per attribuire tutta, l’unica e sola responsabilità del macello umano fatto dalle mani di suo figlio alle “potentissime droghe”. Come se aver assunto droghe sia alibi, esimente, lasciapassare, anzi, diciamola tutta, assoluzione. E concludere le sue parole in tv senza neanche una parola di rimbrotto alla prole o di qualche pietà per la famiglia della vittima.

A stretto giro Foffo padre verrà ripagato da Foffo figlio, più o meno con la stessa moneta in forma di parole. Giunge notizia che Manuel Foffo avrebbe raccontato al magistrato: “Volevo uccidere mio padre, per questo, da questo è nato tutto…”. Già, davvero un “quoziente intellettivo superiore alla norma” come ha detto papà: una bella autodiagnosi di sdoppiamento delle personalità, bipolarismo indotto da infantile e profondissimo trauma da castrazione da parte delle figura paterna e si è a un passo dallo “ad uccidere non è stato il mio vero io”, caso mai l’ergastolo datelo a lui, al mio alter ego cattivo, non vorrete mica punire me?

L’altro genitore, Ledo Prato, non ha avuto molte parole per suo figlio e nemmeno per la vittima e neanche per nessuno che non fosse se stesso. “Ho trascorso tutta la vita a trasmettere valori positivi…non sempre riusciamo, qualche volta sì, qualche volta no, come dimostra questa tragedia…posso farcela, lo devo alla mia famiglia, ai miei parenti, ai miei tanti amici…Sono sempre io, nonostante tutto…Ci accingiamo con passo lieve ad attraversare questa tempesta…”.

Dunque per Prato papà è successo un guaio, questo sì. E pure grosso, ma quel che gli preme, che vuole pubblicamente comunicare è che lui ce l’ha messa tutta, se poi non è andata…e poi lui è forte, supererà anche questa. Magari il “passo lieve” una nota letteraria e psicologica di troppo?

Prato papà però ha anche altre parole, due per la stampa “che ha ridotto a brandelli tre famiglie”. La stampa? Magari a dare una robusta mano a fare a brandelli Luca Varani e la sua famiglia sono stati Foffo e Prato figli ma questo appare a Prato papà marginale, molto marginale, meritevole di omissione. Per Ledo Prato la stampa è colpevole di “verità di comodo”. Per suo comodo la stampa ha inventato un omicidio, la tortura, l’agonia, il sangue, l’arresto, la confessione? Anche sulla bocca di Prato papà tante parole, non una, non una sola di quelle giuste.

Dalle parole, dalle pubbliche parole di queste due padri è nato l’improprio e fuori fuoco dibattito se ci siano colpe dei padri che possano esser ricadute sui figli. No, questo non c’entra nulla ed è fuorviante. Nemmeno una microscopica particella della crudeltà assassina di Manuel e Marco va attribuita ai loro genitori, sappiamo che non c’è alcun deterministico nesso causa-effetto tra la famiglia di provenienza e le azioni degli individui. E comunque non sappiamo realmente che famiglie siano state quelle di Manuel e Marco, non interessa e non è affar nostro, affar pubblico saperlo.

Quel che sappiamo, con tutta evidenza, è che due padri investiti da una immane tragedia hanno reagito l’uno cercando d’istinto e di ragione di scaricare di ogni responsabilità il figlio assassino, anzi più che assassino. Anche a costo della frase “un ragazzo modello” che ha lo stigma dell’immoralità pronunciata lì e a quel fine. L’altro ha reagito scaricando se stesso di ogni responsabilità. Entrambi trovando altri colpevoli: le droghe potentissime, i mass media avvelenatori.

Non una sola parola giusta hanno trovato i due padri degli assassini quando hanno voluto parlare alla gente. Hanno trovato le parole della gente quando chiede “giustizia” e intende che il Tribunale deve dar ragione a loro, altrimenti è “infamia”. Hanno trovato le parole della gente quando la responsabilità è sempre di altri e mai di noi stessi. Hanno trovato le parole, temiamo, di due cittadini più usuali e comuni di quanto amiamo pensare. Hanno trovato le parole usuali dei talk-show e pure dei comizi politici e pure delle liti stradali e pure degli azzeccagarbugli e pure dei narcisi.

Le parole del modo, qui e adesso, sempre più diffuso di essere padri, genitori, cittadini. In tutte e tre le accezioni, immaginari. Padri, genitori, cittadini immaginari perché programmaticamente, orgogliosamente, stolidamente, voluttuosamente allergici e impermeabili ad aogni responsabilità.