Grillo. “Io non sono in guerra col Mali”. A casa sua non accende il gas?

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 18 Gennaio 2013 - 14:53 OLTRE 6 MESI FA
Grillo. “Io non sono in guerra col Mali”. A casa sua non accende il gas?

ROMA – Fosse una campagna elettorale in cui la gente si occupa “dei fatti suoi”, delle cose concrete della vita quotidiana e degli interessi immediati della famiglia, cittadini elettori, talk show e blog, rubriche delle lettere e Facebook, mattinate radiofoniche e serate televisive, candidati premier e politici di contorno e compagnia, conduttori e giornalisti dovrebbero in queste ore e giorni parlare, occuparsi, domandare e rispondere soprattutto su quanto sta accadendo in Africa. In Mali, Algeria e anche Libia e anche Egitto, Sudan, Tunisia e Nigeria. Invece Beppe Grillo è praticamente l’unico che ne parla, annunciando con distacco non privo di disprezzo: “Io non sono in guerra con il Mali”. Si chiama fuori e se ne sbatte Grillo da quanto accade in Africa e invita a fare altrettanto. L’unica spiegazione razionale del disimpegno indifferente e disgustato alla Grillo è che in casa sua nessuno accenda mai il gas.

In Africa, dal Mali all’Algeria alla Libia accade che milizie armate stanno costruendo pezzi di uno Stato che loro sognano possa essere chiamato il Grande Califfato. Uno Stato, un Califfato che vada dall’Iran fino alla Mauritania, dal Golfo Persico fino all’Atlantico passando per il Libano, Gaza, l’Egitto, il Sudan, la Libia, la Tunisia, il Ciad, il Mali…Uno Stato, anzi una teocrazia, cioè uno Stato che applica la legge religiosa in ogni dove e in ogni campo. Legge religiosa stringente e obbligatoria, dogma, peccato contro la religione che equivale a reato penale. E il primo e più grave peccato contro la religione di Stato è il non essere fedele. Il Grande Califfato è dunque istituzionalmente ostile ai “non fedeli”, agli “infedeli”. E, poiché quel Grande Califfato che stanno montando pezzo a pezzo con l’assistenza “tecnica ” di Al Qaeda è chiaramente islamico, gli infedeli siamo noi, l’ostilità è contro di noi.

Ostilità non sembri parola vaga perché non lo è: significa colpire in ogni modo gli occidentali, cioè ancora una volta noi. Significa cacciare i cristiani dal Nord della Nigeria, compito che si è assunto una organizzazione il cui nome significa letteralmente “cultura occidentale è peccato”. Perché sia chiaro che non è un dibattito culturale, i cristiani li bruciano, a domicilio o in chiesa. Significa conquistare armi in pugno il nord del Mali, instaurare lì la sharia, la legge islamica, e attaccare verso il Sud, per prenderlo tutto il Mali e con esso prendere tutte le materie prime che il Mali scambia con l’occidente. Significa attaccare, rendere insicure, spingere alla chiusura le “città del gas”, i giacimenti e le installazioni da cui l’Europa e in primo luogo l’Italia importa il gas, sì proprio quello con cui cucini a casa e quello con cui vanno avanti le imprese italiane. Significa creare una corona di spine per l’Europa a presidio di un confine ostile, economicamente, politicamente, militarmente ostile da creare a da far coincidere con la sponda sud del Mediterraneo. Una carta geografica, una mappa di questa parte del mondo, basterebbe guardarla per capire che, per dirla dotta, “la campana suona per noi”. O, per dirla greve, che il Mali è a un palmo dal nostro sedere.

Ma, splendido interprete dell’anima più vera del sentire italiano contemporaneo, Grillo fa sapere di “non essere in guerra con il Mali”. Magari “nel” Mali visto che il governo di quel paese è stato attaccato dai ribelli e visto che i francesi sono andati a impedire che i ribelli islamisti prendessero la capitale. Ma queste son sottigliezze, pulci sulla splendida criniera del cavallo. E poi perché sottolineare Grillo, la sua orgogliosa ignoranza di quanto accade davvero? Non una parola viene ad Berlusconi e non risultano riflessioni pubbliche al riguardo da parte di Monti o Bersani. Vendola se ne guarda, Maroni se ne frega, Ingroia ha nella testa altro da arrestare che il Grande Califfato islamico. Invano attenderete un accenno di Santoro, un minuto del suo prezioso “Servizio Pubblico”, o di Floris o di Vespa o di chiunque in tv tenga allo share. Perché l’elettore non va turbato con storie difficili, complicate che poi difficili e complicate non sono ma soltanto dolorose e faticose. Quindi la politica in campagna elettorale sull’Africa che ci esplodendo in faccia tiene l’acqua in bocca.

E la gente, i cittadini, gli elettori? Se ne fregano pensando che non siano “fatti loro”, in strada e al bar userebbero e usano altro termine al posto di “fatti”, una parola molto simile quanto a numero di consonanti e vocali. E c’è un che di punizione anticipata dell’ignoranza tronfia in questo sbagliare, e di grosso, su quali siano o non siano i “fatti propri”. L’Africa che ci può esplodere in faccia è quella che ci fa il prezzo del gas, dell’energia, hai presente? L’Africa che ci può esplodere in faccia è quella che ci darà il metro dei costi della sicurezza e del deterrente militare, hai presente la sicurezza? L’Africa che è una bomba innescata significa o no immigrazione disperata. Il Mali e l’Algeria oggi di cui tutti ce ne freghiamo significano soldi, soldati, forse sangue e, a chi dovesse interessare, anche libertà di culto e diritti umani.

Quindi ce ne freghiamo e fuori ci chiamiamo dai soldi, soldati, sangue, libertà e diritti nostri. Lo facciamo da ubriachi, come fanno gli ubriachi con i lampioni: i sobri li usano per guardare alla loro luce, gli ubriachi ci si appoggiano per non cadere. E qui in Italia volentieri e in massa ci si appoggia alla teoria e pratica del “a un palmo dal mio sedere nulla mi tocca e importa”. Salvo poi non sapere, non capire, non vedere neanche qual è il palmo e cosa è che insidia il personale “sedere”. E in questa doppia veste, nella veste del gladiatore talpa del proprio sedere, tutto petto in fuori e occhio cieco, Beppe Grillo è davvero uno di noi, tutti noi, il migliore di noi.