Lucio Magri: sulla sua lapide cancellate “depressione”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 30 Novembre 2011 - 13:46 OLTRE 6 MESI FA

Lucio Magri

ROMA- Ho avuto tanti anni fa il piacere di conoscere Lucio Magri e ho provato l’altro giorno il dispiacere di leggere che era morto. Dispiacere che è diventato fastidio nel leggere qua e là della sua “depressione” come causa e ragione ultima e vera della scelta di Magri di andare in una clinica Svizzera a scrivere volontariamente la parola fine sul libro della sua vita. Fastidio per questo pressante e molesto bisogno di spiegare e rendere “commestibile” una lucida scelta inscatolandola nella confezione della sconfitta psichica, della “malattia” anche se non conclamata. Non frequentavo Magri da tanti anni ma ho qualche ragione per dire che la sua, almeno ai suoi occhi, gli unici abilitati a guardare la sua di vita, non è stata una “resa” ma una “soluzione”. La soluzione razionale a un problema e non l’arrendersi alla sua irresolubilità.

Ricordo Lucio Magri quando parlava di politica, l’anima, il cuore e la spina dorsale della sua vita. Sempre partiva dalla “analisi di fase”, cioè dall’individuazione e definizione dei fattori, dei vettori economici, sociali, culturali e storici di quel che stava accadendo. Senza la “analisi di fase” nel suo mettere in ordine il mondo non era possibile ordine e quindi neanche comprensione a azione. Ricordo Lucio Magri quando giocava a poker: più che non sopportare la sconfitta trovava irrazionale e quindi irritante perdere. Perdere per lui a quel gioco di carte significava non aver avuto il controllo razionale del flusso delle carte stesse. Credo che Lucio Magri a 79 anni della sua vita abbia compiuto l’ennesima “analisi di fase” e abbia dedotto che la vita biologica c’era ancora ma che nessuna “fase nuova” poteva per lui ancora profilarsi e aprirsi. Credo che abbia contato e constatato che era rimasto senza carte della vita in mano e che quindi abbia deciso di alzarsi dal tavolo. Alzarsi dal tavolo, non rovesciarlo come fa il classico suicida. Non rovesciarlo d’impeto, rabbia e disperazione. Ma alzarsi dal tavolo come comanda la inesorabile e pur dignitosa regola del gioco quando le carte sono finite.

Lucio Magri era un uomo che idolatrava la conoscenza. E, se esiste qualcosa che risponde al nome di felicità, la conoscenza non è amica della felicità. L’io autocosciente, se è davvero tale, sa che la progressiva sottrazione di ragioni di vita è già annullamento della vita stessa. L’io autocosciente, se è davvero tale, sa che il sapere e il conoscere hanno anche un prezzo, una conseguenza: il non poter aver fede nella felicità. Se la conoscenza e il sapere sono la fede, l’unica vera fede della tua vita, allora puoi essere razionalmente portato, puoi in tutta ragione giungere a conoscere che il tempo, il tempo biologico residuo non muterà “la fase” né smazzerà altro mazzo di carte. Non è stato suicidio di un depresso, è stata scelta di un orgoglioso.

A nessuno, tanto meno a chi scrive, sta condividere o giudicare. Però capisco, credo di capire la scelta di Magri. Capire, verbo usato nell’accezione superbamente razionale del razionalmente comprendere. Credo di capire, non l’emozione forte che ha portato Magri alla sua scelta, ma il pensiero lungo e meditato che lì lo ha condotto. E per quel poco che posso saluto la realtà del Magri che ho conosciuto provando a cancellare dal suo epitaffio l’invenzione per nulla pietosa del “depresso” che non ce la faceva più. Potessi scrivere sulla sua lapide scriverei: ce l’ha sempre fatta a credere di farcela e per questo un giorno disse io mi fermo qui.