Mamma Corona e Antonio Conte fratelli di lacrime e fiele

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 28 Gennaio 2013 - 12:29| Aggiornato il 7 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La recentissima cronaca ci ha dato modo di assistere a due “lectio magistralis”, a due illustri lezioni da parte di altrettanti maestri del costume nazionale, diciamo pure della cultura popolare e non solo. Due maestri non c’è dubbio, due cattivi maestri e non c’è speranza. E’ l’Alto Magistero del violento che fa la vittima a toglierla ogni speranza e a decretarne la fine.

La prima maestra di vita, prima in ordine di apparizione nel week-end è stata Mamma Corona. Mamma che merita la maiuscola perché davvero una grande mamma, come nella tradizione italiana, e anche un po’, anzi parecchio di più della tradizione. Cosa è andata a dire Gabriella Corona, mamma di fabrizio, alla televisione? Già, alla televisione perché passato e sepolto è il tempo in cui la mamma di un condannato, ricercato, latitante e quindi detenuto si doleva e macerava in silenzio e anche un po’ si vergognava.

No, oggi le mamme combattono per i loro figlioli e Mamma Corona non è da meno. Va in tv e dice che Fabrizio è “un capro espiatorio” per distogliere niente meno l’attenzione degli italiani dalle tante schifezze italiane. Ma lo sa Mamma Corona cos’era, che vuol dire capro espiatorio? Probabilmente no, capro espiatorio è infatti un innocente sacrificato alla divinità perché questa perdoni le offese ricevute, plachi la sua ira e dia pace alla comunità. Ora nel caso di Fabrizio Corona non si vede, non c’è traccia di innocente, di divinità e neanche a ben guardare di comunità. E poi non ci sarà un tantino di megalomania in questa idea che oscuri poteri usano il figliolo per distrarre gli italiani da ciò che non va in Italia? Megalomania, dilatazione dell’ego, chissà da chi “avrà preso” Fabrizio…

Ma queste sono sottigliezze, appunti pignoli alla grande lezione e orazione di Mamma Corona. Che così solennemente prosegue: “Mio figlio deve pagare, ma per quello che ha fatto, non per quello che non ha fatto”. Applauso in studio e conduttrice solidale con la rivendicazione di questo elementare diritto. Quale? Quello per cui ciascuno si giudica da solo i propri figli e gli affari suoi e miglior giudice non c’è. Cosa “ha fatto” o “non ha fatto” Mamma Corona non dice ma di una cosa è sicura, è lei che lo sa e lo stabilisce, altro che estranei tipo un Tribunale.

Riconosciamo alcuni tratti della cultura di casa Corona. Fabrizio ha spiegato che lui non è fuggito dall’arresto, si è “allontanato”. E in una memorabile dichiarazione di qualche tempo fa aveva spiegato che lui non “estorceva”, invece “lavorava”. E’ qui il nocciolo del Corona-pensiero Mamma e figliolo: se uno sta “lavorando” non si può, è da infami metterlo in galera. Corona Fabrizio è sempre rimasto sinceramente stupito che qualcuno voglia condannarlo e perfino incarcerarlo perché faceva foto e poi si faceva pagare per non pubblicarle. Sinceramente stupito perché questo “è lavoro”. E’ pazzo Fabrizio Corona, vive e viene da un altro pianeta? No, tutt’altro: la cultura e il costume dello “sto lavorando!” e quindi sono esentato, assolto e sciolto dall’ osservanza di qualsiasi regola la trovi, formato mignon, ogni giorno in quella macchina, camioncino o camion fermo in seconda terza fila con le quattro lucette lampeggianti che blocca la strada e il prossimo. Format mignon ma la cultura e il costume sono quelli.

Infine Mamma Corona raggiunge l’acme, la quasi perfezione quando si appella “a Napolitano e a tutti i politici…”. E’ pluripartisan e istituzionale Mamma Corona, lei “non fa politica”. Pensa, è certa che le sentenze e i processi sono cose che se vuoi, se hai buona volontà, se conosci qualcuno, se qualcuno si muove, insomma si possono aggiustare. Vogliamo rimproverare a una Mamma l’ignoranza del fatto che i presidenti della Repubblica, tanto meno i politici, non possono e non devono “fare qualcosa” per modificare le sentenze? Vogliamo fare le pulci a dolore di mamma? Non sia mai, però Mamma Corona con questa storia dell’appello ai politici esplicitamente vuol mostrare non di non sapere ma proprio di sapere.

Sapere che sentenze, reati, Tribunali e galera si “aggiustano”. Mamma Corona questo non se lo inventa, lo ha visto succedere. Ma non è turbata, anzi. Lo accetta, lo perora, ne fa l’elemento cardine della sua lectio magitralis su come uno che spillava soldi, anzi li “estorceva”, se la possa e se la debba cavare.

Il secondo maestro di vita fa in scena sabato sera, in scena e in televisione ovviamente. Antonio Conte cui hanno, niente meno, negato un rigore è squassato da morale indignazione. Comunica che “va a letto con cattivi pensieri”, cioè fa sapere al paese che sta mostrandosi evidente la congiura De Laurentis/Lotito/Galliani contro la Juventus. Proclama che “non accetta”, stabilisce che “non è calcio”. Il tutto dopo aver eccitato alla rivolta i suoi giocatori in panchina e sul campo.

Non è la prima volta che Antonio Conte offre di queste magistrali lezioni da “uomo di calcio”. Cardini della lezione sono: quel che vedo io è quel che è successo, l’esatta interpretazione di quel che è successo è la mia, se succede agli altri di non aver un calcio di rigore è successo e pazienza, se succede a me è complotto. In effetti su una cosa Conte ha ragione, su quel “non è calcio”. Infatti il calcio prevede un arbitro. Senza un arbitro a calcio non si può giocare ma questo “l’uomo di calcio” Conte se lo dimentica, anzi sembra ignorarlo.

Passione agonistica? No, cultura e costume. Conte ha un’attenuante, gigantesca attenuante: vive e lavora in un ambiente dove la protesta rabbiosa, scomposta e soprattutto immotivata è la regola. In Italia e solo in Italia ad ogni fallo di gioco fischiato i giocatori e gli allenatori protestano vivacemente e a prescindere. E la cosa, nella sua violenza vittimista, è accettata. Dagli arbitri, dalle televisioni, dal pubblico. Accettata perché provare ad intimidire e sceneggiare il sopruso subito noi italiani lo consideriamo un diritto elementare e naturale che non va represso.

Grande attenuante ma fine delle attenuanti per Antonio Conte: ogni volta la sua sceneggiata sale di un gradino, anzi due. anzi tre nella scala dell’isteria e della presunzione. Tralasciando che in quel suo pugno eternamente sbattuto sul tavolo si esibisce un “machismo”che, come spesso accade, più è “macho” e più gli capita di cantare in falsetto.