Renzi, se ora si butta a sinistra…si butta

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 4 Giugno 2015 - 13:27 OLTRE 6 MESI FA
Renzi, se ora si butta a sinistra...si butta

Renzi, se ora si butta a sinistra…si butta

Come, con troppa ingenuità per essere proprio tutta genuina, rileva e stupisce Michele Serra su l’Amaca de La Repubblica, con lo stesso Istituto Cattaneo ci puoi fare il vino e l’acqua elettorali. Con le stesse analisi e gli stessi flussi del voto espresso alle Regionali si può arrivare alla conclusione, matematica, che il Pd ha perso quasi la metà dei suoi voti passando da un abbondante 40 per cento alle Europee ad uno striminzito 25 per cento domenica scorsa. Ma con le stesse cifre e flussi puoi arrivare alla conclusione, matematica, che il Pd ha perso solo un 10 per cento dei voti fermandosi domenica scorsa a un robusto 37 per cento.

Michele Serra invoca un calcolo “condiviso”. Cioè? Una mediazione tra 25% e 37%, facciamo 31 a metà strada e non se ne parla più? Un po’, anzi molto, dell’ognuno calcola la cifra che gli conviene e ognuno ha la “pezza d’appoggio” numerica per sostenerla si spiega. Alle Regionali, in generale alle amministrative, a differenza della politiche ed europee, è pieno di liste civiche. Liste civiche che affiancano, sostengono quelle di partito. E queste come le conti? A chi le sommi? A chi le sottrai?

Ad esempio se sottrai i voti della lista Zaia al conteggio dei voti leghisti togli alla Lega quasi mezzo milione di voti. E poi è politicamente scorretto non conteggiare i voti della lista Zaia nel calcolo generale dei consensi leghisti. Ma lista Zaia in Veneto possono averla votata anche elettori che in altre circostanze passate e future non hanno votato e non voteranno Lega. Analogamente i voti di liste civiche pro Emiliano o De Luca si sommano o no ai voti delle liste Pd? Sì, perché in buona parte sono elettori di quell’area. No, perché in Campania e Puglia elettori di centro destra possono credibilmente aver votato soprattutto il candidato presidente.

Ecco dunque la vertiginosa realtà, nel senso che dà le vertigini, di un Pd che, conti alla mano, ha ottenuto il 25% ma anche il 37%. Dipende se sommo i no le liste civiche a sostegno. Per paradossale che sia, meglio abbandonare i numeri per capire o almeno dai numeri distanziarsi un po’.

Per capire che il Pd di Renzi non ha certo vinto stavolta, proprio no. Ma non è stato neanche sbaragliato, sconfitto, demolito, contraddetto e punito dall’elettorato. Con metafora calcistica, ha fatto zero a zero. Renzi dice: zero a zero fuori casa, punto guadagnato. Chi scrive pensa: zero a zero in casa, due punti perduti. Purtroppo però, purtroppo per Renzi e per il paese tutto, si sta affermando una vulgata, una narrazione, uno storytelling che non discute la natura del pareggio e al sua qualità. Narra invece dell’elettorato di sinistra, quella vera e tosta, che punisce il Pd, anzi il Pd di Renzi.

Lavoratori dipendenti inorriditi dal jobs act e poi insegnanti di scuola pubblica pieni di programmato rancore per la cosiddetta buona scuola hanno usato le urne di maggio per fargliela pagare a Renzi. Fosse così, fosse così lineare, Pastorino candidato in Liguria di tutte le sinistre vere, dure, pure, organizzate e non, candidato nelle condizioni più favorevoli del mondo per uno di sinistra che è sinistra senza se e senza (un’antagonista, Paita, che più debole non si può, sotto schiaffo addirittura per presunte responsabilità nell’alluvione e per denunciati brogli alle primarie e una Regione storicamente prodiga di voto a sinistra), non avrebbe raccolto la miseria di un 10% striminzito.

Adesso fanno finta di nulla, ma i vari Civati e Vendola avevano previsto per Pastorino minimo il 15, probabile il 20, possibile anche oltre. Non la narravano giusta prima, non la narrano giusta dopo. I voti in più, i cambi di voto vanno in favore della Lega. E se il popolo democratico e di sinistra dei lavoratori e insegnanti per dispetto e stizza corre a votare Salvini, forse tanto legato, tanto cuore, anima e sangue della sinistra questi elettori non erano e non sono.

Eppure nel Pd contro il Pd, in quella che impropriamente si chiama minoranza Pd ma è altro e ostilissimo partito al Pd di Renzi, corre la stessa narrazione. Quella per cui l’elettorato ha detto a Renzi: fermati, fermati sulla scuola, sul mercato del lavoro, sull’abolizione del Senato, magari torna indietro sulle pensioni e tornerà il sereno, tornerà al Pd l’elettorato ora corrucciato e neghittoso.

Una falsa lettura, una falsa pista, l’indicazione entusiasta a riprendere lunghe passeggiate nel vicolo cieco del paese dove nulla si cambia e nulla si fa se qualcosa nel cambio non ci hanno guadagnato tutti, quindi ovviamente un paese dove nulla si fa se non spesa pubblica. Ma fino a che sono affari del Pd, che il Pd se li sbrighi e attirino l’attenzione dei politologi, della compagnia di giro dei talk, dell’informazione politica. L’attenzione della gente è un’altra cosa.

Eppure son fatti nostri: se Renzi, come annunciano i numeri in Parlamento, risicati per lui, come ricostruiscono i giornali, come informano “quelli informati”, adesso si…butta a sinistra. Allora Renzi si butta e basta, si butta via. Se Renzi rinuncia per impraticabilità di campo alla sua riforma della scuola significa che il timido e un po’ sbilenco tentativo di porre le basi per una scuola che serva agli studenti e non non ai professori viene anche questo asfaltato.

Se Renzi si ferma sull’abolizione del Senato significa che il faticoso e contorto tentativo di avere istituzioni che non spartiscano un potere immobile viene asfaltato. Se Renzi cambia l’Italicum e si torna a leggi elettorali per cui vincono tutti e nessuno governa, significa che vince il grande partito di coloro che pensano l’Italia sia così com’è quasi perfetta e da conservare, il gran partito di coloro che pensano non occorra cambiare proprio nulla se non l’afflusso ovunque di soldi pubblici. Da trovare con le tasse, con il debito o con tutti e due.

Se ora Renzi si butta a sinistra (ammesso che sia solo e soltanto e davvero sinistra la conservazione gelosa dell’esistente acquisito e il rifiuto di ogni riforma) diventa politicamente un Letta qualsiasi. Un gestore di equilibri e tradizioni. Uno che sta lì in attesa che il centro destra si riorganizzi e rivinca come quasi sempre nella storia italiana. Uno che sta lì in attesa che la destra rivinca o, se la storia italiana dirazza dalle sue consuetudini (ma neanche tanto a ben pensarci), uno che asfalta la strada dove cammina M5S.

Se Renzi si butta a sinistra, se dà soddisfazione e campo al sindacato Cgil unico al mondo tra i sindacati che vive con non celato fastidio l’aumento dei posti di lavoro conteggiato dall’Istat, se Renzi riporta all’onor del mondo i mini Tsipras italiani alla Fassina/D’Attorre, allora Renzi si butta via e al paese non serve più.

La sinistra cui Renzi deve guardare, quella da rinforzare è quella che aumenta l’occupazione (e peccato se i dati Istat disturbano la narrazione del popolo lavoratore tutto contro il governo), quella che incrementa il salario (gli 80 euro e i bonus per i figli), quella che abbassa le tasse (cosa ancora non fatta) e che affama la “Casta di territorio” e cioè la politica a livello locale. E che cerca di dare a chi va a scuola la possibilità che la scuola gli fornisca competenze da competenti. Se non può farlo, se Renzi non può, Renzi non serve.