Parigi macello: è arrivata la guerra, hashtag porte aperte

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 14 Novembre 2015 - 13:00 OLTRE 6 MESI FA
Parigi macello: è arrivata la guerra, hashtag porte aperte

Parigi macello: è arrivata la guerra, hashtag porte aperte

ROMA – Da settanta anni gli europei quando si svegliano al mattino non mettono più in conto la possibilità di essere uccisi mentre vanno o sono al lavoro o mentre pranzano o cenano o mentre sono in strada o a teatro, al cinema, in un negozio o in uno stadio. Da settanta anni gli europei non pensano ogni mattina che può anche essere che non arrivino al giorno dopo. Questa è la pace. La pace che è finita.

E’ arrivata invece la guerra perché questa è la guerra: non sapere ogni giorno se sopravvivi, mettere in conto che ti possono uccidere, magari mai, magari subito. Anche se non sei un soldato, anche se sei giovane o vecchio o donna o uomo o bambino. Ti possono uccidere in un qualunque giorno e in qualunque luogo. Questa è la guerra e la guerra è arrivata in Europa, correttamente il Corriere della Sera titola: “La guerra di Parigi”.

Nella notte della guerra di Parigi spontaneo, vivo un hashtag: porte ouverte. Porte aperte, serviva a comunicare a chi era in strada esposto alla guerra che c’erano case che avrebbero loro aperto la porta e dato rifugio. Hashtag venuto dai cittadini di Parigi, hashtag didattico e profetico suo malgrado. E’ arrivata la guerra e dobbiamo aprire tutti tutte le porte. Dobbiamo fare fronte comune perché siamo tutti in unico fronte.

Non c’è porta o portone dietro il quale barricarsi. Non vale, non viene rispettato, è falso qualunque io non c’entro. Porte aperte per aiutarsi, darsi assistenza, riconoscersi. E porte da aprire, se necessario da sfondare. Le porte del negare, non voler vedere, sottrarsi, sminuire, adattarsi…

Nella notte della guerra a Parigi porte aperte. Ma da mesi e anni occhi chiusi nelle pubbliche opinioni europee. Occhi chiusi, occhi stanchi, occhi renitenti. Occhi che non vogliono vedere la guerra che c’è, non fino in fondo per quella che è. Non vogliono vedere perché una guerra, se c’è, si vince o si perde. Se si perde si paga il carissimo prezzo della sconfitta.

Ma anche vincerla una guerra non è gratis: i governi e le famiglie, i cittadini e i lavoratori europei socchiudono gli occhi, non per cecità ma perché abbagliati, di fronte al prezzo del vincerla questa guerra. Prezzo in soldi e sangue e perfino pensieri. Se l’Europa vuol vincerla questa guerra deve destinare a combatterla parte significativa dei suoi soldi e deve accettare che sia sparso sangue dei suoi figli che la combattano. Umanissima, condivisibile, sacrosanta è la voglia di non vedere il sangue in guerra dei propri figli. Meschina e sempre mascherata da altro e nobile intento il rifiuto anche di un solo euro di tasca propria per armarsi quando c’è guerra.

Il nemico in questa guerra è una ideologia armata. Viene in mente il nazismo per tre motivi. Il primo è che nella storia il nazismo è il termine di paragone più immediato e più spaventoso. E noi siamo spaventati di fronte alla enormità di ciò che accade e ci serve un riferimento storico enorme, enormemente mostruoso.

Ma è il secondo il motivo che più concretamente avvicina il nemico dell’oggi al nazismo. Quelli che in un arco di novemila chilometri da Casablanca a Peshawar  sotto varie sigle e organizzazioni tagliano teste, scacciano popolazioni, riducono in schiavitù gli infedeli, abbattono aerei, macellano città sono tutti sotto una unica bandiera, hanno un comune ideale: ammazzarci, ammazzare noi per quello che siamo.

Per quello che siamo, come mangiamo, facciamo l’amore, crediamo in un dio, lavoriamo, creiamo arte, preghiamo, pecchiamo, vestiamo…per questo, per tutto questo è per loro lecito, dovuto, perfino santo l’ammazzarci. Essere meritevoli, passibili di morte per quello che si è. Il nazismo appunto aveva portato ai vertici questa ideologia e questa pratica: ammazzare umani di un certo tipo per quel che sono e proprio per quel che sono. I nazisti ammazzavano perché ebrei, omosessuali, comunisti, handicappati, zingari…L’Isis e i suoi satelliti ammazzano perché occidentali, cristiani, infedeli, scostumati, femmine non devote…

La terza affinità col nazismo è il culto della morte. Adorano, implorano, cercano la morte, disprezzano coloro che come noi amano la vita. Quando uccidono e poi si fanno saltare in aria per noi è dramma e tragedia al limite dell’incomprensibile, per loro è liturgia. Per loro, va detto, fare fuori gli ostaggi indifesi uno a uno è come per i cristiani prendere un’ostia a messa o per i laici occidentali conseguire un master. Questo insegna la loro ideologia armata.

Difendersi, prevenire, affidarsi alle polizie? Si deve ma si può fino a un certo punto. Contro chi mette in conto di morire, contro chi si gioca la propria vita non c’è misura di prevenzione che tenga. Nulla ci terrà al riparo da azioni di guerra come quelle di Parigi.

Nulla che non sia la guerra, decisa quanto sofferta, portata là dove è il nemico. Una guerra per sconfiggerlo il nemico, non per frenarlo. Per annientarlo militarmente, non per impedire che si espanda. Nulla che non  sia questo difenderà le città europee.

Roma sarà la prossima ad essere attaccata? E’ il più logico prossimo obiettivo. Però a differenza di Parigi qui il nemico non può contare su antiche e consolidate possibile “retrovie”, insomma cittadini italiani che offrono la logistica all’azione di guerra. Quindi a Roma è più difficile, anche se per il nemico ora Roma è il target più ambito.

Il nemico è una religione, il nemico è l’Islam? Il nemico è un monoteismo teocratico, insomma per dirla in breve una religione che si ritiene unica e assoluta e che vuole coincidere con uno Stato, l’unico Stato dei fedeli, dei puri, dei veri umani. Oggi questo monoteismo teocratico incistato nell’Islam pur non essendo tutto l’Islam e tutto l’Islam possibile. Sta ai musulmani d’Europa, ma non solo d’Europa, occuparsi e preoccuparsi delle condizione di convivenza con i non musulmani. Sta a loro non solo condannare gli atti di guerra ma non partecipare in alcun modo alla guerra, neanche parteggiando in silenzio. Perché in Europa ci saranno delle notti di guerra di Parigi effetti collaterali.

Vinceranno le elezioni che verranno coloro che si mostreranno meno esitanti, reticenti, indulgenti, lenti man mano che la guerra arriva. Anche se non avranno ragione vinceranno loro. E le destre, la Le Pen in testa, sembrano quasi ovunque più attrezzate ad essere meno esitanti, reticenti, indulgenti…Sarà un brutto effetto collaterale perché le destre sembrano, ma non sono.

La guerra contro il nemico la si vincerà non solo perché si hanno più aerei ed elicotteri o se e quando finalmente si avrà la consapevolezza di doverla combattere. La si vincerà perché il nostro modello di vita, diciamo pure civiltà, consente e produce in ogni campo migliore vita agli umani: libertà, benessere, consumi, cultura…Dall’altra parte c’è una colossale decrescita eternamente infelice, così infelice da anelare un paradiso altrove attraverso la porta benedetta di una svelta morte.

Eppur potremmo perderla questa guerra: se ogni europeo penserà ai settanta anni di pace goduta come un diritto acquisito da reclamare e pretendere sì ma per il quale non spendere nulla, per il quale nulla più debba essere fatto e sofferto. Ecco allora potremmo perderla la guerra se dopo le notti di Parigi pensassimo ancora che la pace non va conquistata al fronte.