Primarie e governo al veleno. Bersani e l’errore di sinistra

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 30 Novembre 2012 - 14:53 OLTRE 6 MESI FA

ROMA -Due miti l’un contro l’altro ed entrambi a reciprocamente sostenersi: il mito degli “usurparti contro gli invasori”, insomma è casa mia e fuori gli estranei anche un po’ barbari, e il mito della “vittoria scippata”, inssoma se votavamo tutti vincevamo noi. La narrazione mitica, iperbolica e infondata dei “bersaniani” contro i “renziani” e viceversa. Ci sarà veleno domenica intorno e dentro i seggi delle primarie del centrosinistra. Aveva detto bene Pierluigi Bersani a suo tempo: “Se le facciamo bene non ci ammazza nessuno”. Le stavano facendo benissimo, poi è scattata una sorta di antichissima “impossibilità di essere normali”. Non sorprendente in un paese avvelenato, non sorprendente in una sinistra sempre attenta ed efficace nella “guerra civile” nel suo stesso campo. E quindi ci sarà veleno, proprio lo stesso tipo e qualità di veleno che potremmo ritrovare il prossimo anno, nel governo del centro sinistra diventato appunto governo dopo le elezioni.

Di che veleno stiam parlando? Di quello sotto il cui effetto la diversità alla fine chiama scomunica, di quello distillato dai “non possumus”. Dell’abito mentale, della cultura per cui Prodi quando governava poteva cadere per una frasetta o no nella semestrale o trimestrale mozione parlamentare che accompagnava il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Un governo poteva cadere se non c’era la parolina che dubitava o peggio dell’opportunità di dare ai soldati paga e benzina e si dibatteva se e quanto questo fosse “di sinistra”, o meglio quale fosse il confine oltre il quale la sinistra non era più tale. Nella realtà? No, nella mozione.

E’ lo stesso veleno quello che sta corrodendo il peraltro magnifico edificio delle primarie. Bersani ha avuto il merito e il coraggio di averle volute contro il parere di mezza “nomenklatura” abbondante del partito. Bravo Bersani, però il segretario ha sopravvalutato il partito e forse un po’ anche se  stesso. Ad un certo punto non c e l’hanno fatta più a reggere. Per fortuna del paese e della politica le primarie del Pd, l’unica cosa seria e vera che c’è, stavano diventando il confronto e la conta tra socialdemocrazia e liberal democrazia. Confronto non tra due parolone astratte ma confronto che la gente, almeno l’elettorato progressista, capiva eccome se capiva. Ma all’idea che l’ipotesi liberal democratica potesse prevalere o comunque potesse insediarsi nel Pd non come “ospite in salotto” ma come membro della famiglia, allora il Pd non ce l’ha fatta. Ha dovuto e voluto gridare all’infiltrazione, all’invasione. E ha scelto di mettersi in quarantena, in politica quarantena.

Lo strumento inventato per la quarantena dal Pd è il “corpo elettorale del primo turno”. Corpo quasi mistico, anzi senza quasi a sentire come al vertice e alla base del Pd difendono l’immodificabilità di questo “corpo”. In soldoni: al primo turno hanno votato in tre milioni e centomila, al secondo potranno, devono poter votare in tre milioni e 150 mila al massimo. Se il “corpo” diventasse di tre milioni e mezzo o quattro sarebbe “sacrilegio e profanazione”. Quindi niente appelli a nuovi elettori, chi li fa è “scorretto”. Niente nuove registrazioni se non autorizzate, timbrate e dotate di “giustificazione” per non essersi presentati il 25 novembre. Grottesco ma logico: se, come fa Miguel Gotor uno dei consiglieri più vicini a Bersani, pubblicamente chiami “accoliti” quelli che stanno con Renzi, vuol dire che li disprezzi, la lingua italiana non mente. E se Giuliano da Empoli, uno dei consiglieri più vicini a Renzi, pubblicamente dice: “Dopo il dibattito in Rai siamo andati a dormire che eravamo in Usa, poi ci siamo svegliati in Bulgaria”, vuol dire che il veleno è corso. E soprattutto che si è fatto, compiuto il solito, storico, ripetitivo, quasi automatico errore.

Errore tattico e sarebbe il meno: a tre giorni dal voto denunciare ai “probiviri” il candidato Matteo Renzi? Per multarlo? Ammonirlo? Squalificarlo? Assegnare la vittoria a tavolino? Ogni esito della “denuncia” raggiunge, tocca e non sfiora il grottesco e il paradossale. L’unico effetto reale della denuncia partita da Bersani e Vendola e anche Puppato e Tabacci e anche tutto il cuore e l’istinto del Pd consiste nel fornire a Matteo Renzi un alibi per la sconfitta. Un alibi che conferisce dignità perfino eccessiva alla astuzia, politica sveltezza di mano e di mente di Renzi.

Errore strategico e questo è drammaticamente il più: l’ipotesi, la cultura, la proposta liberal democratica in un Partito Democratico può risultare vincente o sconfitta, può essere battuta o accolta. Ma qui si è alla quarantena e al lazzaretto, l’unico luogo in cui mettere quell’ipotesi nella città del Pd. Ipotesi liberal democratica spinta fuori, tenuta sull’uscio, che può entrare solo con la “giustificazione”. E allora non è più Partito Democratico, non è Pd, è rispettabilissimo Ds, Democratici di Sinistra. E Democratici di Sinistra più Sinistra, insomma Vendola e anche con l’aggiunta degli Arancioni non fanno un governo che tiene. Che tiene di fronte alla difficoltà e durezza del mondo esterno e che tiene sul cosiddetto fronte interno. Questa miscela, questa e solo questa con gli ingredienti del ’96 e del 2006 rifanno gli esiti degli anni immediatamente successivi, rifanno governo della sinistra che implode.

E’ molto di sinistra, anzi è l’errore di sinistra, ma non per questo non è un errore. Si vuole che sia “tafazzismo”, cioè inconveniente che occorre a simpatici, in fondo teneri sfigati inconsapevoli. Purtroppo a cantar la canzone che fu di Jannacci “Voto anch’io, no tu no! Ma perché? Perché no!” stavolta è un partito quasi tutto intero conseguente e coerente ideologo del percuotersi gli attributi come forma preziosa di profilassi contro il contagio esterno. Un partito, non un elettorato. Per farli coincidere è stato circoscritto e “circonciso” il corpo elettorale del primo, sacro, turno.