Scontri 14 novembre. Rabbia, scudi e manganelli: l’equivoco della barricata

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 15 Novembre 2012 - 14:26 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un equivoco si aggira per l’Europa, nuovo di zecca come la crisi sociale e politica dell’intero continente e vecchio come il mondo: l’equivoco se dietro la barricata da assaltare ci sia poi un giardino in cui ristorarsi o un burrone in cui nell’impero dello scavalco buttarsi. Chi davvero era in piazza l’altro giorno, in piazza e in corteo e in sciopero e in protesta? Chi marciava “contro” e contro continuerà sempre più a marciare? E contro cosa davvero, contro che si sciopera, marcia, protesta, lotta?

Proviamo a cercare il “chi” al netto dei ragazzi greci, nazisti di Alba Dorata, con la svastica sulla maglietta e lo slogan “Roma come Atene” che il cronista de La Stampa ha visto e racconta in mezzo agli studenti in corteo e davanti alla sinagoga a vomitare i loro “Heil” nella sopravvenuta disattenzione (?) dei manifestanti filo palestinesi. Al netto, consideriamo i nazisti greci e quelli nostrani pure in piazza come escrescenze inevitabili ma pur sempre e solo escrescenze di un fenomeno sociale che sta montando e che, come ogni piena di fiume insegna, trascina con la sua corrente di tutto, letteralmente di tutto: fascismo consapevole e inconsapevole compresi, fascismo pulsante di oggi non reperto inerte di quello che fu.

Proviamo a cercare il “chi” al netto dell’ideal tipo dello studente o lavoratore manifestanti entrambi che La Repubblica vuol raccontare come tutti calibrati e composti cittadini in ricerca di equità e riforme, se non fosse per i “violenti”. Al netto, consideriamo questa narrazione come una licenza appunto narrativa che ci si prende per far quadrare, coincidere, la realtà che si ha in piazza con lo schema che si ha in testa.

Al netto degli “alba dorata” e dei “violenti”, al netto pure degli antagonisti di professione che questo fanno da tre o quattro decenni, al netto anche dai Centri Sociali e della No Tav, al netto dei riformisti immaginari e politicamente corretti appunto immaginati, chi marcia “contro”? Un sacco di gente ma non proprio tantissima. Un sacco che è lontano da contenere un paese, ma un sacco che pian piano si riempie. Un sacco di gente giovane e soprattutto giovanissima, ma non solo. Un sacco di gente convinta di avere diritto ad esigere che lo Stato, i governi, insomma la mano pubblica dia loro una mano, qui e subito.

Un sacco di gente che non è piovuta da Marte: fanno parte integrante della “civiltà” europea l’idea e la pratica che l’individuo venga aiutato, seguito, accompagnato dalla culla alla tomba da una qualche forma di Stato sociale. E’ la nostra “civiltà” ed è almeno per questo verso migliore di altre culture e prassi della convivenza civile. Quindi questo sacco di gente non abbaia alla luna, parla la lingua della civilizzazione europea. Però ormai troppo spesso non sa di cosa parla e questo è un grosso, maledetto problema. Appunto, l’equivoco della barricata.

Un sacco di gente chiede lavoro. Lavoro che nessuno può creare per legge o decreto. Ma questo appare a un sacco di gente come frase vuota e nemica. Un sacco di gente vuole lavoro e basta, essere assunta dallo Stato? Benissimo. In aziende pagate con i soldi dello Stato? Ottimo. E comunque i governi devono pensare a far circolare denaro: se non saranno assunzioni, saranno almeno contratti, lavori, incarichi, supplenze, consulenze. Insomma qualcosa, qualunque cosa ma i governi si muovano. Quando in Italia sindacati e politici dicono “politica industriale” e “piani industriali” intendono tutti che il governo e lo Stato ci mettono i soldi. E così pensa debba fare anche quel sacco di gente che vuole lavoro e marcia “contro”. Dalla loro hanno un grande argomento: più o meno si fa così da 30/40 anni. Quale crudeltà sociale spinge a smettere adesso? Se smetti di fare come si è sempre fatto sei un “macellaio sociale”.

Per metterci i soldi, finanziare aziende, anzi pagarle di sana pianta, assumere direttamente o indirettamente, far girare denaro pubblico a risvegliare ovunque i redditi tramortiti governi e Stati però quei soldi li debbono avere. Ma è un po’ difficile averli se ogni anno chiudi il bilancio, cioè già ne fai girare e ne mandi in giro di soldi pubblici, più di quanti ne incassi. E se, a furia di far deficit annuali, hai di debito due milioni di miliardi. Se stai messo così per assumere, finanziare, ristorare redditi hai bisogno di qualcuno che i soldi te le presta. Ma nessuno te li presta più a poco prezzo se non si fida che tu possa restituirli. E se tu continui a far deficit e debito nessuno si fida più o alza il prezzo della sua diffidenza, si chiama tasso di interesse. Tutto questo a quel sacco di gente che marcia “contro” più o meno non gliene può fregare di meno: ha fame e ha fretta.

Tanta fame e fretta che marciando “contro” va a sfasciare la cucina, la pentola e pure il frigorifero. Per trovare quei soldi che i precari e i disoccupati e i mal pagati chiedono allo Stato, alla mano pubblica si possono alzare le tasse. Lo può fare Obama in America dove le tasse sono in media al 25% del reddito. Non lo può fare Hollande in Francia dove le tasse sono quasi come da noi. Anche se socialista Hollande può solo alzare la bandiera della tassa al 75% sopra il milione di euro, bandiera nobile che porta pochi soldi. Infatti Hollande i 20 miliardi appena decisi per tentare di rianimare la sua industria li trova dai tagli alla spesa, non dall’aumento delle tasse. Non si possono alzare le tasse in Italia, nessuno può alzarle ancora.

Quindi, come ancora oggi ha ripetuto Mario Draghi, i soldi per qualunque cosa, crescita economica compresa, insomma per quel che vuole il sacco di gente che marcia “contro” si possono e si devono trovare solo tagliando la spesa pubblica. Anzi, se non piace la parola “tagliare” e in effetti a quel sacco di gente non piace, i soldi si trovano togliendo di qua e portando di là. E qui l’equivoco della barricata si manifesta in tutto il suo splendore. Si può marciare per chiedere, esigere soldi pubblici per assumere o far assumere precari e contemporaneamente marciare risolutamente contro la diminuzione degli elefantiaci organici della Pubblica Amministrazione? Si può stare davvero dalla parte dei disoccupati e dei mal pagati e insieme stare con le Province che pur di non sparire minacciano di prendere in ostaggio bambini-scolari e lasciarli in classe senza riscaldamento? Si può davvero volere lavoro quando si rifiuta valutazione e competenza? Non si potrebbe, eppure è proprio questo quel che fa quel sacco di gente.

Non da sola, non da solo quel sacco di gente incorre e si culla nell’equivoco della barricata. C’è un sindacato o una forza politica o un giornale o uno speciale tv che trovi il coraggio civile di dire ai minatori del Sulcis che le loro miniere sono e saranno a perdere e che quindi non è il caso di farla “romantica” sulla figura dell’uomo che lavora sotto terra ma è il caso di farla concreta trovando a questi uomini e donne in carne e ossa una pensione o un lavoro sopra la terra? C’è qualcuno che trova l’onestà civile di dire a chi marcia “contro” che le banche e la finanza andrebbero imbrigliate da regole imposte da governi forti ma che se le chiudi le banche o le tratti come il bancomat che prendi a bastonate poi il giorno dopo muori di fame? C’è qualcuno, tanto per stare nell’orto di casa, che riesca a dire che una crisi dell’editoria non è più compatibile con retribuzioni più vicine ai 10mila al mese che ai 5mila e che però fatto questo non hai nemmeno cominciato a creare occupazione vera nel settore?

Chi lo dice che è contraddittorio e bugiardo volere insieme che più o meno tutti i cinquantacinquenni di oggi riescono ad andare in pensione entro i sessanta e volere che lo Stato che spenderà per questo 10 miliardi poi ne trovi altri di miliardi per i giovani senza lavoro? Chi lo dice a quel sacco di gente che marcia “contro” che lo Stato e il governo “cattivi” spandono ogni anno sul paese 400 miliardi di spesa pubblica, senza contare pensioni e stipendi. E che quei 400 miliardi, buona parte di quei 400 miliardi è l’unica posta che può essere dirottata verso il lavoro che non c’è, la ripresa economica e tutto quel che si chiede. Dirottata, cioè tolta a chi già nel mare di quei 400 miliardi si bagna, ivi compresa molta di quel “sacco di gente”. Che di questo si sia inconsapevoli a 16 anni è quasi ovvio, che lo si resti quando si è partito politico, sindacato, ceto dirigente è quasi mostruoso.

In Italia è forte l’equivoco della barricata, più che altrove. Vero è che di soli tagli si muore di recessione. Ma altrettanto vero è che purtroppo chi guida la marcia “contro” non marcia per la crescita e neanche per il lavoro. Marcia per il ripristino della assistenza e della rendita. Marcia perché venga difeso in eterno lo Stato delle mance, dei contributi, dei “tavoli” dove si patteggia sempre un accordo il cui conto viene messo a carico del debito. Marcia, inconsapevole ma deciso, perché non un euro di quei 400 miliardi diventi occupazione e salario entrambi produttivi, marcia perché quei 400 miliardi diventino 500 e i 100 in più ce li metta…chi? Ancora le tasse?

A Sergio Marchionne giustamente e aspramente si rimprovera: facesse ogni tanto invece che piani e sermoni anche una macchina, un’auto nuova e fatta bene. Sacrosanto, vale per la Fiat. Ma una “auto nuova e che si venda” dovrebbe essere anche l’obiettivo e il cruccio dei sindacati e pure degli studenti e pure dei professori e pure dei precari e pure di tutti coloro che riuscissero a domandarsi per un momento cosa c’è dietro la barricata che assaltano. Una volta abbattuta l’austerità, ripristinato il deficit, fatto fuori Monti e la Merkel e magari anche il resto, cosa c’è dietro, oltre la barricata conquistata? Un prato verde dove ognuno pascola libero l’erba che naturalmente abbonda oppure…Oppure una riedizione ingigantita alquanto di quanto stava per accadere appena 12 mesi fa: c’erano in cassa neanche tre mesi per pagare stipendi e pensioni. Chi marcia l’abbiamo capito, contro cosa marcia purtroppo pure.