“Tossici” da soldi pubblici e suicidi: politici dal “dio voto” al cacca party

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 3 Ottobre 2012 - 14:56 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Veronica Cappellaro, presidente della commissione cultura alla Regione Lazio, al giornalista che le chiedeva delle spese dei consiglieri serenamente replicava: “Qual è il politico che paga di tasca sua, lei ne conosce?”. La signora Cappellaro, eletta dal popolo nelle liste del Pdl, di politici che pagano di tasca loro in vita sua non ne ha mai visti ed è abbastanza inutile farle presente che i politici che non pagano mai anzi pagano tutto con i soldi pubblici abitano, anzi colonizzano la politica e il paese da una ventina di anni. Prima non c’erano o erano infima minoranza. Prima c’erano i politici che prendevano mazzette e tangenti, molti ma una netta minoranza del totale. Prima c’erano i politici che prendevano illegalmente soldi per il partito: molti con il consenso di quasi tutti. Prima c’erano i politici che senza se e senza ma rubavano e basta: pochi ma c’erano. Però i politici che viaggiavano nella vita e nel territorio pagando tutto con i soldi pubblici non c’erano. La Cappellaro e con lei milioni di altri italiani non lo sanno, ma questa specifica “fauna” politica prima degli anni novanta non c’era.

Dove e come sia nata, come e perché sia attecchita, quali siano le sue radici ce lo spiega Carlo Taormina, avvocato difensore di Franco Fiorito: “Piaccia o no, il soldi pubblici una volta entrati nella disponibilità di un partito politico diventano soldi privati”. E’ la tesi solitaria di un avvocato difensore, difensore di uno che è in galera con l’accusa di essersi messo in tasca centinaia di migliaia se non milioni di soldi pubblici destinati ai gruppi politici in Regione? Proprio no. A suo tempo è stata la tesi, anzi la certezza di Umberto Bossi: “Con i soldi della Lega ci facciamo quel che ci pare, anche buttarli dalla finestra”. E Bossi prima della “caduta”, quella politica non quella sanitaria, aveva platea e consenso quando diceva così.

Dicevano e pensavano così non certo solo i leghisti, così pensavano tutti e peccato che questa considerazione faccia rima con il “così facevano tutti” a suo tempo pronunciato da Bettino Craxi, con le notizie, anche spiacevoli, non è saggio polemizzare. Così pensavano, e in maniera appena appena riformata lo pensano ancora, perché un comandamento regnava sovrano nei “cieli della politica”. A destra, a sinistra, al centro, in ogni dove. Era il comandamento secondo il quale la volontà popolare, insomma i voti presi alle elezioni, faceva dell’eletto in qualsiasi istituzione un potere “sovrano”. Cioè, tradotto in volgare, uno che fa quel che gli pare e poi se la vede con l’unica cosa che conta: gli elettori.

Maestro e cattedra di questo pensare fu Silvio Berlusconi e la destra politica fu accademia e palestra di questa equazione bugiarda, di questa imitazione pagliaccia, di questa contraffazione “cinese” della democrazia. Berlusconi e la destra predicarono e quindi attuarono la democrazia dell’asso pigliatutto: chi viene eletto dal popolo fa come gli pare, poi si vede. Quindi, da qui, anche e soprattutto con i soldi, il passo è relativamente breve. L’elettore mi vota, io prendo i voti, questo mi conferisce potere “sovrano”, io sono lo Stato, i soldi pubblici sono soldi statali, quindi miei. Non avessero fatto letteralmente “carne di porco”, fino a che non hanno fatto “carne di porco” e fino a che non si sono azzannati in famiglia Pdl per l’osso e la cotenna, avrebbero continuato a considerare normale, anzi giusto e comunque giustificato dai voti ottenuti l’inesistenza del “politico che paga di tasca sua”.

Il caso ma forse non solo il caso vuole che la giovane Cappellaro che non ha mai visto un politico che paga di tasca sua sia anche la stessa che si è trovata, per caso ma non per caso, alla festa della cacca romana. C’è un filo tra l’idea politica, anzi tribale, che chi vince si “pappa” tutto il bottino e l’attività politica prevalentemente al ristorante di un intero ceto. Allevato e cresciuto all’idea che il politico eletto paga niente, abituato ai rimborsi gonfiati per le campagne elettorali, ai rimborsi per i collaboratori, alle indennità di presenza e assenza, ai conti pagati a piè di lista, ai rimborsi per i chilometri percorsi e anche quelli non percorsi, oggi questo ceto lentamente e inesorabilmente si suicida.

Alla Regione Piemonte tagliuzzano qualche scampolo ma non colgono l’occasione per azzerare, alla Regione Emilia dicono che loro per carità…Alla Regione Lazio la Polverini ci aveva, incredibile, provato a vendere che “era tornata la buona politica” e che ci pensava lei abolendo quattro commissioni. Fanno orecchie da mercante in Campania e in Calabria, fanno gli scemi per non andare in guerra in Veneto e in Trentino. Fanno i furbi quelli delle Province che provano ad esentarsi tutti dal dover chiudere bottega. Così come la maggioranza delle Regioni ha fatto finta di non sentire, è da un anno che dovevano per legge ridurre i consiglieri e i vitalizi. E non sono solo quelli del Pdl, fanno melina per fermare i tagli quelli del Pd e degli altri partiti.

Il fatto è che, oltre a non volere, non possono. Sono un ceto politico nato e cresciuto così: con l’idea e peccato originale che farsi votare è l’unica legge, regola e misura, la chiave per aprirsi da padrone le porte del mondo. E che quindi, una volta presi i voti, prendi anche i soldi. Tutti uguali? Non proprio. Una differenza c’è tra chi prende i soldi per la propria vacanza o la propria casa e chi invece li prende i soldi per continuare a prendere i voti e quindi ancora i soldi. Una differenza, ma non tale da poter distinguere su un punto di fondo: dai soldi pubblici sono tutti tossicodipendenti. E per questo non possono “staccare dalla siringa o dalla striscia”. Quindi, come accade in ogni tossicodipendenza grave, color che ne sono affetti fanno di tutto per non andare in astinenza. Figurarsi se li può spaventare il suicidio politico, quello che in ogni Regione, Provincia e Comune stanno attuando.