Vecchia Italia: 150 compleanni. E sarà anche l’ultimo. I nuovi connotati del paese

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 8 Aprile 2010 - 20:27| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Lungo la via Aurelia, quando i romani vanno al mare verso l’Argentario, incontrano un confine fatto di nulla, la cui cancellata memoria è solo indirettamente impressa su alcuni cartelli stradali che segnalano “Pescia Romana”, oppure “Pescia Fiorentina”. A cavallo del Po c’è un ponte tra i tanti, quello di Pontelagoscuro. E’ un altro confine, quello che i veneti e gli emiliani scavalcano miliardi di volte senza ovviamente sapere e pensare che di confine si tratta. E altri confini ci sono nei passi appenninici che i liguri e i piemontesi “bucano” correndo in autostrada, confini fatti di aria. Come quelli tra l’ultimo fiume del Lazio e il primo della Campania, una sponda è “romana”, l’altra “partenopea”. E ancora per ogni dove in Italia, sono confini al tempo stesso tracciati e ignorati da molti decenni, da intere generazioni. Confini che non sono frontiere perchè, al di qua e al di là, nulla è diverso, non cambia nulla. Dal 2012, al di qua e al di là di quei confini, cambierà molto, molto sarà diverso: nel 2011 l’Italia celebra i suoi 150 anni di Stato unitario, il centocinquantesimo compleanno sarà anche l’ultimo. Dopo, dall’anno dopo, quel che chiamiamo Italia cambia i connotati.

Varcando in una direzione o nell’altra quei confini, si entrerà in terre italiane. Terre al plurale, perché in ognuna di queste “terra” cambierà, sarà diversa la Sanità pubblica, cioè quanto si paga per averla e quali servizi e prestazioni la pubblica Sanità offre. Sarà diverso il fisco, perché ci saranno tasse diverse. Diversa la scuola, diversa nei suoi programmi e forse anche nel metodo e criterio del reclutamento degli insegnanti. Diversa la sicurezza, non solo nelle divise dei vigili urbani. Diversa forse anche la giustizia, perchè il Procuratore Capo di ciascuna “terra” potrà e dovrà indicare ai “suoi” magistrati quale griglia di reati principalmente indagare e quali perseguire sì, ma “dopo”. Sarà presto, tra un paio di anni al massimo tre, un’Italia tutta nuova e diversa, un’Italia mai vista da 150 anni.

 

Berlusconi, Bossi, Tremonti

 

Si chiama federalismo, Bossi e Calderoli si apprestano a scriverne le tavole della legge. Anzi la legge c’è, mancano le regole della concreta applicazione. Una cosa però è già chiara: allo Stato centrale, all’Italia che c’era resterà la politica estera e quella della Difesa. Il resto alle Regioni, ciascuna con la sua sanità, la sua scuola, la sua polizia, le sue tasse, la sua legge elettorale. E perfino con la sua regionale giustizia se avrà seguito la ferma richiesta dell’attuale ministro dell’Interno Maroni. Richiesta di “abolizione della obbligatorietà dell’azione penale”. In soldoni vuol dire che oggi i magistrati italiani hanno in teoria l’obbligo di aprire indagine in presenza di qualsiasi “notizia di crimine”. Domani, abolita l’obbligatorietà, ogni “terra” potrà “consigliare” ai suoi giudici quale reato la preoccupa e inquieta di più e quindi stabilire, diciamo così, qual è il “reato dell’anno”.

Sono molti a sperare e credere che questa sia la soluzione e insieme la modernità. Giulio Tremonti spera e crede che, ciascuno con il suo fisco, ogni “terra” spenderà di meno e meglio e quindi ci saranno insieme più soldi e meno tasse per tutti. Luca Ricolfi, commentatore de La Stampa, spera e crede che questa sia la risposta alla “modernizzazione mancata” dell’Italia. Insomma la strada finalmente per l’Italia riformata nei connotati, strada mai trovata finora nè dalla destra nè dalla sinistra. Dario Di Vico, commentatore del Corriere della Sera vicinissimo alla sensibilità dei cosiddetti “Piccoli”, imprenditori, artigiani e contadini, ci spera e ci crede molto anche lui. A nome e per conto dei “Piccoli” di ogni “terra”. Anche se scrive: “La tesi leghista è che con la globalizzazione la modernità è come se avesse operato una inversione ad U, non marcia più a braccetto con lo sviluppo, anzi lo minaccia. Bisogna dunque rallentarla con ogni mezzo, proteggere le comunità e ogni tipo di tradizione che può fare da argine, compresa quella religiosa. L’Italia dunque come un grande museo no global”. Una contraddizione insomma c’è: la via italiana alla contemporaneità, la strada per non essere più un paese vecchio, passa per un rifiuto della modernità e un recupero del paese antico.

Altri ci credono meno, anzi nulla. Scrive Francesco Merlo su Repubblica: “Berlusconi e Bossi hanno messo l’Italia su un tavolo di anatomia patologica per segarla a pezzi… La grande riforma costituzionale affidata a Bossi e Calderoli potrebbe diventare la realizzazione della famosa battuta di Metternich sull’Italia espressione geografica: nessuna consistenza reale, istituzionale, politica, ma solo espressione geografica…”. Comunque la sentiate venire, comunque arriva: non si polemizza con le notizie, l’Italia sarà presto federale.

E in mezzo, al centro, a Roma? In mezzo, al centro, a Roma ci sarà Berlusconi. Forse anche presidente della Repubblica. Una Repubblica molto diversa, molto più piccola e dimagrita nelle funzioni e nei poteri: a Bossi, Calderoli e Maroni non costerà nulla intestarla a Berlusconi.

Ci sarebbe poi, c’è ancora l’opposizione, la sinistra, l’Italia che non è Lega e neanche Pdl. La Lega di Bossi, per non aver incidenti e complicazioni sulla strada veloce del federalismo, è disposta a dare a Pd, Idv e chiunque voglia una parte in commedia. Scriva l’opposizione insieme a Calderoli forse una nuova legge elettorale, quella “centrale” s’intende. E scriva pure quale “forma di governo centrale” vuole: premierato, presidenzialismo… Purchè non si metta di traverso e chiami ad un referendum per confermare o smentire il federalismo. Federalismo è ormai parola buona e vincente, lieta novella annunciata, però con i referendum non si sa mai. Su questa storia “presidenziale” c’è artigianale confusione in giro. In Francia il capo dello Stato viene da elezione diretta dal popolo, ma la Francia si “tiene” perché è un paese tutt’altro che federalista. Oppure c’è il modello americano, paese federalista eccome. Ma negli Usa il presidente non nomina e controlla il Congresso, cioè il Parlamento, non può neanche metterci piede se non invitato. E non dà indicazioni alla magistratura.

Confusione a parte, cosa può e deve fare l’opposizione? Tuffarsi nel federalismo e provare a nuotarci dentro o scoprire e denunciare che la somma federalismo più un uomo solo al comando è miscela che si mangia la democrazia? Il Pd, tanto per cambiare, di preciso non sa. Quel che si sa è che l’Italia, presto anzi domani, per sopravvivere e prosperare nel terzo millennio, smonta ciò che è stato costruito in tre, quattro secoli in Europa quale antidoto ad un’organizzazione della cosa pubblica su base locale e territoriale, smonta lo Stato unitario e le sue economie di scala sociali, finanziarie, culturali e produttive. Il “Territorio” si prende la sua rivincita sullo Stato. Può finire a sinfonica armonia tra comunità contigue oppure a tribù golose e gelose dei propri confini e identità. Comunque sia non sarà un lifting quello dei nuovi connotati del paese: ne uscirà un volto giovane e vispo o una faccia sbilenca e deforme. Pronostico? Non una “tripla”, la X non c’è: vittoria clamorosa o sconfitta devastante, lo saprete, comincerete a saperlo dal 2012, varcando su e giù per l’Italia quei confini ridiventati frontiere.