Banda della Magliana, Emanuela Orlandi e le bufale, Renatino De Pedis è vivo? A Quarto Grado Meluzzi dice..

di Pino Nicotri
Pubblicato il 12 Novembre 2018 - 15:23 OLTRE 6 MESI FA
Banda della Magliana e Emanuela Orlandi, De Pedis (nella foto) è vivo? Meluzzi dice..

Banda della Magliana e Emanuela Orlandi, Renatino (il Dandy) De Pedis (nella foto tessera) è vivo? Meluzzi dice..


Mistero Orlandi: ormai se non siamo alla follia poco ci manca. Nell’ultima puntata di Quarto Grado, su Rete 4, l’ospite Alessandro Meluzzi, pur essendo uno psichiatra e criminologo, nonché Sua Beatitudine Alessandro I vescovo della Chiesa Ortodossa Autocefala, è arrivato a sostenere che Enrico De Pedis – l’ormai famosissimo  “Dandy”, il cosiddetto “boss della banda della Magliana”, assassinato il 2 febbraio 1990 a Roma in via del Pellegrino, sepolto, riesumato e cremato – non è morto ma è vivo e vegeto! Per non tralasciare nulla, specifichiamo che per la precisione Meluzzi con la solita modestia esibita soprattutto nei salotti televisivi si è autonominato Primate della Chiesa Ortodossa Italiana, Arcivescovo d’Italia ed Eparca di Ravenna e Aquileia. 
Nascerà un’altra leggenda come quella che vuole vivo e vegeto anche il famoso cantante Elvis Presley, morto d’infarto nel 1977? Vedremo. Ormai tutto è possibile in questa follia. Che, come si suol dire, ha del metodo.
A dare subito manforte a Meluzzi è intervenuto l’immancabile Pietro Orlandi con una affermazione fantastica: il DNA estratto dalle ossa di De Pedis quando è stato riesumato nel maggio 2012 non combacia con quello dei suoi due fratelli.  Peccato che il DNA del defunto senza mai pace De Pedis NON sia mai stato estratto: ai magistrati per essere certi che la persona sepolta in uno scantinato sconsacrato  della basilica di S. Apollinare fosse lui e non altri è bastato il prelievo delle impronte digitali del cadavere. Nonostante i molti anni passati, la salma era infatti in ottimo stato di conservazione.  E tralasciamo che ai due fratelli dell’asserito “non morto, ma vivo e vegeto”  di sottoporsi ai prelievi per determinare il DNA sia stato chiesto nel 2009 e senza nessun motivo.
“È una ricerca preventiva”, spiegò loro il sostituto procuratore Giancarlo Capaldo, senza però spiegare di cosa fosse preventiva: oltretutto ai due fratelli non era stata mossa nessuna accusa, erano solo testimoni interrogati nel grottesco feulleiton senza fine dei  “grandi misteri” nascosti nella sepoltura del loro fratello. Sepoltura che peraltro di misteri non ne aveva neppure l’ombra fin dal ’95-’97, quando lo aveva già appurato ad abundantiam il sostituto procuratore Andrea De Gasperis.
Perché Pietro Orlandi ha sparato la sua fantasmagorica affermazione? E’ da anni che “qualcuno” a Roma va  mormorando che Enrico De Pedis “è figlio del cardinale Ugo Poletti”. E questo spiegherebbe per i patiti del “grande gomblotto” (con la g) del mistero Orlandi  perché il cardinale concesse il permesso di tumulazione in un sotterraneo di S. Apollinare. In un sotterraneo per giunta sconsacrato, anche se per far colpo si usa scrivere sempre che è stato sepolto NELLA basilica. 
La prima a raccogliere e divulgare la strana voce che “qualcuno” aveva messo in giro  è stata la giornalista Rita di Giovacchino: lei però non credeva affatto che il malcapitato De Pedis fosse un rampollo del cardinale, ma per non far torto a nessuno e tenere comunque alta la suspence  “rivelò” che in realtà era figlio sì di un De Pedis e non di Poletti, ma del De Pedis soprannominato “Caino perché aveva ammazzato il fratello”.  Nessuna meraviglia: di sparate auto referenziali e senza basi è lastricata tutta questa sempre più triste storia del mistero Orlandi, specie da quando per creare sensazionalismo la  si vuole assolutamente legare alla Banda della Magliana e annessi e connessi. 
Un altro cavalluccio di battaglia di Pietro Orlandi è l’insistenza sulla “trattativa” che a suo dire sarebbe stata intavolata dal magistrato Capaldo col Vaticano: lo spostamento dell’imbarazzante salma di De Pedis dalla basilica in cambio della verità sulla fine di Emanuela. Ma questo argomento merita un articolo a parte, per fare chiarezza sino in fondo e una volta per tutte.
Il nuovo capitolo del romanzone senza fine fatto esplodere come un fuoco d’artificio con il ritrovamento di ossa nella Nunziatura Apostolica, cioè nell’ambasciata del Vaticano in Italia (e S. Marino), ha fatto storcere ancor più il naso perfino al giornalista Fabrizio Peronaci: nonostante abbia scritto insieme a Pietro Orlandi il libro “Mia sorella Emanuela – Voglio tutta la verità”, ha ribadito la sua presa di distanza, vera e propria condanna, dall’eccessiva disinvoltura e sicumera del suo coautore. Anche Peronaci si è infatti reso conto di come venga cercato più il clamore sensazionalistico che la verità.
Molto critico anche il giornalista Tommaso Nelli, che nel suo libro “Atto di dolore” ha indicato le piste interessanti affossate dagli inquirenti per fare spazio a quella del complotto internazionale. L’atto di dolore per Nelli è appunto quello che battendosi il petto dovrebbe recitare chi ha voluto imboccare a tutti i costi la pista del grande clamore e cestinare tutto il resto, ben più concreto.  Pur avendo fatto scrivere a Pietro Orlandi l’introduzione al suo libro, le critiche di Nelli non sono affatto leggere.
Il clamore e i sospetti fatti esplodere ad arte con la faccenda delle ossa della Nunziatura, inizialmente spacciate per “un intero scheletro più ossa probabilmente di un’altra persona” – come a dire lo scheletro di Emanuela e qualche ossa di Mirella Gregori – hanno convinto gli inquirenti a verificare anche se per caso non si tratti di reperti presi chissà dove e fatti poi trovare ad arte nella Nunziatura. Ipotesi peregrina, ma non si può escludere un’eventuale trovata – come quella del “flauto di Emanuela” generosamente regalato dal fotografo Marco Accetti – per poter rilanciare il mistero Orlandi dall’oblio nel quale stava inesorabilmente cadendo nonostante le iniziative, sempre più inefficaci perché sempre meno  credibili, di chi ha interesse a tenerlo ancora in cartellone. Dopo il  flop del film “La verità sta in cielo”, di Roberto Faenza su soggetto di Raffaella Notariale, si potrebbe rilanciare con una bella serie televisiva…
 
“Venghino, siòri, verghino: avanti c’è posto”.