Berlusconi e Marchionne contro le sentenze: lo Stato di diritto va loro stretto

di Pino Nicotri
Pubblicato il 19 Agosto 2013 - 04:22 OLTRE 6 MESI FA
Berlusconi e Marchionne contro le sentenze: lo Stato di diritto va loro stretto

Berlusconi, con la figlia Marina

Una notizia buona e una cattiva. Cominciamo da quella buona. Marina Berlusconi ha deciso e dichiarato ufficialmente che NON intende darsi alla politica e succedere quindi al padre nel regno del partito di famiglia che difende in parlamento e nel governo le aziende, gli affari e i privilegi della famiglia Berlusconi.

La notizia è più che buona, ottima. Non perché ci evita il supplizio di un altro Berlusconi “sceso in campo” con l’annesso insopportabile circo di nane, ballerini, Minzolini, Signorini, avvocati supponenti e famigli vari. Ma perché ci evita il grave problema non molto democratico e la figuraccia internazionale della nascita di una dinastia che da imprenditoriale si fa anche politica restando imprenditoriale! E restando anche molto ma molto chiacchierata… Se passassimo finalmente dal diluvio di gossip e dall’idolatria berluscona in servizio permanente anche quando si tratta di melma ai problemi italiani e alla loro soluzione sarebbe decisamente meglio.

Forse ai Berlusconi è venuto in mente il precedente degli Agnelli, i dinasti targati Fiat. Tentò di darsi alla politica in grande stile Umberto Agnelli, fratello di Gianni, con esiti assai poco brillanti, e si diede alla politica la loro sorella Susanna, che diventò dal ’74 all’84 sindaco di Monte Argentario, località assai ben frequentata, per essere infine scalzata dalla sete di abusivismo dei privilegiati di Monte Argentario e annesso Porto S. Stefano, e nel ’95 anche ministro degli Esteri, unica donna a capo della Farnesina prima di Emma Bonino, ma senza avere collezionato grandi imprese.

Voglio invece sperare che la decisione della signora Marina sia non un altro calcolo nell’interesse delle aziende e della famiglia, magari patteggiato con i Veltroni e D’Alema di turno, ma una prova di maturità e responsabilità politica dei Berlusconi padre e figlia. Sarebbe un bel segnale.

La notizia cattiva è che sommando in fatto di sentenze la posizione avversa a quelle della Corte Costituzionale di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, e la posizione non solo in fatto di sentenze di Silvio Berlusconi, grande imprenditore non solo della tv privata, che contro la magistratura usa come mazze ferrate il partito e i massa media di famiglia, si scopre che a buona parte del sistema padronale italiano lo Stato di diritto sancito dalla Costituzione va stretto.

Quello che complici non solo le vacanze d’agosto si fa fatica a capire è che se lo Stato di diritto cede alle pretese di Berlusconi allora l’assetto istituzionale e democratico italiano è destinato inevitabilmente a deteriorarsi. E in tempi brevi. Sotto questo profilo, non promettono bene né la fretta nel rispondere, in pieno periodo ferragostano, né il buonismo e il perdonismo che fanno leggermente capolino nella risposta del Capo dello Stato alle richieste di “agibilità politica” portategli al Quirinale dagli emissari del Cavaliere dalla fedina penale sporca. Richieste che se fosse vero che sono “ultimative” sarebbero di fatto non solo ricattatorie, ma estorsive. Da codice penale anche queste, quindi.

Se il comportamento di Berlusconi è impensabile in qualunque altra democrazia occidentale, in nessuna di esse è facilmente pensabile almeno il passaggio della risposta di Giorgio Napolitano riguardante l’eventuale richiesta di grazia, passaggio che somiglia a un invito a chiederla. Non è solo il presidente emerito della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, ad avere fatto notare che “è impossibile concedere la grazia a chi ha altre condanne o processi”. E Berlusconi ha sia altre condanne, quella grave e recente del caso Ruby, che indagini penali sfociabili in processi per reati decisamente pesanti quali la corruzione di parlamentari e di testimoni.

Che il passaggio in questione sia quanto meno inopportuno lo dimostra il fatto che uno degli avvocati di Berlusconi, Pietro Longo, lo ha scambiato per un salvagente e si è precipitato ad afferrarlo: ha infatti dichiarato che il suo cliente, cambiando fulmineamente idea, la grazia la chiederà. Salvo poi seguire l’esempio di chi, come anche il magistrato Antonio Esposito, nega di avere detto ciò che ha detto perché si è accorto di essere stato troppo precipitoso.

Napolitano, che in quanto presidente del Consiglio Superiore della Magistratura è anche il presidente dei magistrati italiani, farebbe bene a ricordare che Berlusconi quando “scese in campo” fece eleggere senatore e tentò di infilare nel suo primo governo come ministro della Giustizia il suo avvocato Cesare Previti. Quel Previti che si è poi scoperto avere corrotto alcuni magistrati ai tempi del lodo Mondadori per comprare la sentenza che ha assegnato banditescamente la casa editrice al Cavaliere. Anche per Previti si mise in moto la stessa macchina al lavoro oggi per non far sbalzare il Cavaliere dal Senato e dalla politica, ma alla fine, condannato a 11 anni in primo grado e a 18 mesi in via definitiva, per evitare di essere cacciato dal Senato Previti preferì dimettersi.

Napolitano farebbe bene a ricordare anche altre due cose. La prima: Berlusconi nel suo primo governo riuscì comunque a infilarci lo stesso Previti come ministro della Difesa (!).

La seconda: la sentenza della Cassazione afferma che Previti i magistrati li aveva corrotti d’accordo con Berlusconi. Che a differenza del suo avvocato è scampato quindi alla condanna solo grazie al non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Prescrizione raggiunta con una serie di manovre dilatorie imposte da Berlusconi stando al governo compresa almeno una legge ad personam fatta confezionare su misura nel 2001.

Quell’anno infatti, tornato a Palazzo Chigi, l’illustre imputato fa approvare il 3 ottobre la legge 367 che cancella le prove giunte dall’estero per rogatoria ai magistrati italiani, comprese quelle che dimostrano le corruzioni dei giudici romani da parte di Previti. Si scoprirà in seguito che in base alle convenzioni internazionali già firmate a suo tempo dall’Italia quella legge era illegittima.

Come si vede, se la notizia buona ha tutta l’aria di essere davvero buona, quella cattiva ha tutta l’aria di essere almeno cattivella.