MILANO – Le polveri le ha accese l’8 ottobre il giornalista di Repubblica Carlo Bonini con le sue polemicissime dimissioni dal Consiglio ONazionaledell’Ordine dei giornalisti per protestare contro la riammissione di Renato Farina. Ora la notizia è che l’intera redazione di Repubblica versa benzina per appiccare un incendio all’intero mondo dei giornalisti italiani, con la pretesa di provocarne un’esplosione nazionale di protesta. Quando la notizia mi è arrivata con una mail inviatami da un collega ho pensato a una burla. Poi con un giro di telefonate ho appurato che la notizia è vera. Eccola, compresi i link allegati dallo stesso comitato di redazione di Repubblica per meglio riassumerla e illustrarla:
“L’Assemblea di “Repubblica”, all’unanimità, chiede a tutti i giornalisti italiani di mobilitarsi con gli strumenti politici e i mezzi disponibili per denunciare all’opinione pubblica, al Parlamento e a tutti gli organismi di categoria, l’inaccettabile riammissione nell’Ordine dei giornalisti di Renato Farina, già a libro paga del Servizio segreto militare (Sismi) con nome in codice “Betulla”, chiedendone l’annullamento.
Dà mandato al Cdr di promuovere iniziative tecnico-legali per ottenere la revoca immediata della riammissione di Farina e annuncia iniziative di mobilitazione e sensibilizzazione in Rete per sostenere la protesta.
Ritiene che la vicenda Farina ponga in modo improcrastinabile l’urgenza di una riforma radicale dell’Ordine con la modifica della sua legge istitutiva”.
Di fronte al problema Farina, che certamente è importante e non lascia tranquilli, né per il prima né per il dopo, ci sono però tanti altri problemi che a mio giudizio sovrastano e ridimensionano il dramma Farina; anche se, di fronte a quei problemi, sono stato assordato dal silenzio, in primo luogo proprio di Repubblica.
Da tempo la categoria è tartassata in ogni modo, messa sotto scacco da:
– prepensionamenti, che hanno ridotto di non poco l’organico anche di Repubblica e dell’intero gruppo editoriale Repubblica-L’Espresso,
– licenziamenti,
– contratti flessibili e ultra flessibili,
– compensi non d’oro per singolo articolo,
– concorrenza dilagante online nel vasto web internettiano,
– disegni di legge per mettere il bavaglio al giornalismo,
– riforme del reato di diffamazione che, come dice l’avvocato Caterina Malavenda specializzata nella difesa dei giornalisti, sono “pezze peggiori del buco che vogliono tappare”,
– rinnovi di contratti nazionali giudicati, a torto o a ragione, uno peggio dell’altro, tant’è che l’ultimo ha sollevato un vespaio di polemiche e qualche ricorso alla magistratura perché lo annulli,
– e come se non bastasse oggi è arrivata la pessima notizia che anche le rendite finanziarie dell’Inpgi, l’istituto previdenziale dei giornalisti, saranno tassate addirittura del 26%. Gelate così le speranze che l’Italia si allinei al resto d’Europa riducendo sensibilmente tale tassazione, oggi al 20%, trattandosi di rendite destinate alla previdenza dei colleghi , dal pagamento delle pensioni ai prestiti personali, dai mutui casa ai contributi ai disoccupati. Rendite destinate cioè a fini di armonia e ammortizzazione sociale, e non a fini di sollazzo o speculazione.
Eppure, nonostante queste continue debacle, non ci sono mai state dimissioni per protesta dagli organi della categoria né richieste di intere redazioni all’unanimità, neppure da parte di quella di Repubblica, di “mobilitazione e sensibilizzazione in Rete per sostenere la protesta”, quale che essa fosse. E dire che in gioco c’erano la dignità professionale, il portafoglio e il salvadanaio, e ultima ma non minima, la libertà di informazione, il bene supremo dei giornalisti, non un argomento da moralismo francamente eccessivo e abbastanza persecutorio.
Che succede? Azzardo una spiegazione, che non riguarda certo né Carlo Bonini né la redazione di Repubblica. Però è un fatto che sono imminenti le elezioni per il congresso nazionale del sindacato dei giornalisti – la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) – e per i consigli delle singole Associazioni Regionali Stampa (ARS). Sono alle porte le elezioni che dovranno stabilire chi governerà nei prossimi anni il sindacato nazionale e i sindacati regionali dell’intera categoria, base di lancio per le successive elezioni per i vertici dell’Ordine e soprattutto per quelle dell’INPGI, che è anche il polmone finanziario che fa vivere il sindacato.
E poiché è difficile potersi vantare di avere raggiunto bei traguardi concreti e ottenuto cose ottime concrete per la professione giornalistica, ecco che un bel gesto di protesta può innescare una bella campagna elettorale giocata sull’emozione più facile, viscerale. Per defenestrare a furor di popolo i vertici attuali e sostituirli magari con chi si straccia le vesti sventolando la bandiera della moralità.
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