Columbus Day, follia Usa contro l’esploratore. Perché gli americani decapitano sue statue?

di Pino Nicotri
Pubblicato il 2 Settembre 2017 - 07:12 OLTRE 6 MESI FA
Columbus Day, follia Usa contro l'esploratore. Perché gli americani decapitano sue statue?

Columbus Day, follia Usa contro l’esploratore. Perché gli americani decapitano sue statue?

HOUSTON – Dopo l’uragano Harvey, che ha colpito il Texas, c’è il rischio che negli Usa si abbatta anche una ventata di follia. Non si può definire altrimenti, e vedremo il perché, anzi i perché al plurale, l’ondata anti Cristoforo Colombo che va dall’imbrattamento e sfregio delle sue statue a Houston e Detroit alle proteste nelle città di Baltimora (Maryland), Lancaster (Pennsylvania), Columbus (Ohio) e San Jose (California), dall’abbattimento del suo monumento in Columbus Circle a New York, ordinato dal sindaco Bill De Blasio perché “discriminatorio” fino alla decapitazione a Yonkers, tre chilometri da Manhattan, del busto in gesso che vegliava sul Columbus Memorial Park. De Blasio ha chiesto anche l’abolizione del Columbus Day e ha nominato una commissione assegnandole 90 giorni di tempo per elencare i monumenti che nella Grande Mela potrebbero “istigare all’odio, alla divisione o al razzismo e all’antisemitismo”.

Dopo la furia e gli scontri di Charlottesville contro monumenti di generali sudisti e più in generale contro il suprematismo dei bianchi, ora tocca ai monumenti a Italo Balbo e Cristoforo Colombo, che non si capisce bene cosa c’entrino col suprematismo. Balbo sarà anche stato un fascistone al servizio di Mussolini, ma ciò nulla toglie al fatto che la sua traversata atlantica con un’intera squadriglia di aerei – dell’epoca! – sia un fatto eccezionale e di grande portata, oltre che di notevoli conseguenze. Cancelleremo anche l’impresa solitaria di Charles Lindberg, il primo trasvolatore in solitaria dell’Atlantico, perché figlio di immigrati svedesi e padre avvocato eletto al Congresso e contrarissimo all’entrata in guerra degli Usa contro la Germania di Hitler? 

Che l’America non l’abbia scoperta Colombo – nel fatidico 1492 – è ovvio, visto che quando è arrivato era già popolata, per giunta popolata sia al sud che al centro e al nord, oltre che nelle isole, ed era anche sede di civiltà notevoli. E che Colombo non fosse uno stinco di santo  lo dimostra anche il processo al quale venne sottoposto in Spagna, assieme ai suoi fratelli, dopo esservi stato condotto in catene via nave il 20 novembre del 1500  dalla “sua” isola Hispaniola, che oggi si chiama Haiti e S. Domingo. Le accuse erano pesanti – malgoverno, giustizia negata, avidità, violenze a spagnoli e agli indigeni – e Colombo si salvò da una dura condanna solo perché il re e la regina di Spagna gli concessero il perdono. 

Ma è un fatto che senza Cristoforo Colombo chissà quanto tempo ancora sarebbe passato prima che il continente europeo e quello asiatico, che formano un continuum dal Portogallo fino a Vladivostok, si accorgessero che oltre l’oceano Atlantico esiste un altro continente, che va dal polo Nord al polo Sud. Che poi lui fosse uno sfruttatore – e chi non lo era dei “grandi navigatori”? Stendiamo un pietoso velo – e che la Storia abbia visto l’invasione di quell’intero continente da parte di milioni di europei affamati e famelici che hanno spazzato via decine di popoli e intere civiltà, con un record di genocidi,  questo è un altro discorso. Che non si può certo addebitare a Colombo! O vogliamo credere che se l’America non l’avesse “scoperta” lui le cose sarebbero andate meglio? Non si direbbe, a giudicare da quello che è successo nel sud e nel nord America, che Colombo non solo non ha mai visto, ma che ignorava pure che esistessero perché lui è sempre rimasto convinto, fino alla morte, NON di avere scoperto l’America, ma di essere “solo” arrivato nelle Indie navigando verso ovest anziché verso est. Tant’è che gli indigeni ancora oggi vengono chiamati “indios” in centro e sud America e “indiani” al nord. 

In quelli che oggi si chiamano Stati Uniti d’America, e che sono percorsi dalla ventata di follia anticolombiana, a dare la stura all’invasione sono stati i 102 Padri (e madri…) Pellegrini, partiti il 6 settembre 1620 – vale a dire 128 anni DOPO l’arrivo di Colombo nell’attuale Haiti e S. Domingo – dal porto inglese di Plymouth con la nave Myflower anziché con le tre caravelle. Sarebbero morti di fame e stenti vari nel primo inverno se i “selvaggi” locali non li avessero generosamente riforniti di tacchini, permettendo così loro di mangiare e sopravvivere. Come siano stati (mal)ripagati quegli ingenui “selvaggi”, noti come “pellerossa” o anche “indiani d’America”, è storia nota: che negli USA ha sedimentato le oltre 400 riserve indiane dal malcelato risentimento e una molto scarsa loro considerazione da parte dei discendenti degli europei da rendere impensabile che possa mai venire eletto un presidente “pellerossa”. I neri ce l’hanno fatta con Obama, nel centro e nel sud America gli indios ce l’hanno fatta con qualche presidente, ma un pellerossa alla Casa Bianca è impensabile e tale resterà per chissà quanto tempo. 

Se i nativi sono stati ringraziati spazzandoli via e riducendoli nelle riserve, la buona sorte dei nuovi arrivati viene invece ringraziata ogni anno con il Thanksgiving Day, il Giorno del Ringraziamento, a base di tacchini al forno per ricordare i tacchini che permisero agli arrivati col Myflower di sopravvivere. E i “pellerossa” che glieli portarono? Quelli non solo non li ringrazia nessuno, ma nessuno sa neppure di quale popolo – noi diciamo più riduttivamente tribù… –  fossero.

Per coerenza, ci aspettiamo dunque che il sindaco di New York oltre al Columbus Day chieda venga abolito anche il Thanksgiving Day e sostituito con il Giorno del Ringraziamento A Chi Ci Ha Sfamato. Anzi, dovrebbe chiedere che venga cambiato il nome della città, che si rifà alla preesistente cittadina inglese di York, e magari cambiare anche il proprio cognome, De Blasio, chiaramente di origine non nativa, ma italiana. 

Ci aspettiamo anche che gli scatenati contro i monumenti e la stessa memoria di Colombo pretendano di cambiare anche il nome degli Usa, visto che il nome United States of America deriva da quello del navigatore italiano Amerigo Vespucci, che del tutto casualmente e senza che lui ne avesse mai avuto nessuna intenzione ha finito col dare il suo nome a quelli che oggi sono gli Stati Uniti d’America, lo Stato più ricco e potente mai apparso nella Storia. De Blasio e non solo lui sa certamente che il nome America nasce con il libro “Cosmographiae introductio”, che il geografo tedesco Mattia Ringmann ha scritto nel 1507 utilizzando le mappe geografiche tracciate da Martin Waldseemuller e indicando come “Amerìge”, cioè terre di Amerigo (Vespucci), quelle che grosso modo oggi fanno parte degli Usa.

Non vorremmo essere troppo pignoli, ma oltre a quello di New York andrebbero cambiati anche i nomi di una miriade di città, da Sacramento a Los Angeles, da S. Francisco a Plymouth, oltre a quelli di un buon numero di Stati ed entità federali, dal Colorado al District of Columbia, dal North e South Carolina alla Florida, dal Montana al Nevada….

Non sarà forse anche il caso di abolire la lingua inglese e quella spagnola, visto e considerato che sono le lingue degli invasori?

La retorica e il politicamente corretto a volte fanno brutti scherzi.

Post Scriptum – Ma non sarebbe meglio riscrivere invece i libri di Storia destinati alle scuole, un po’ troppo ecomiastici e/o reticenti per quanto riguarda la colonizzazione degli Stati Uniti e non solo? E magari dire finalmente e ad alta voce che erano pura propaganda razzista e autoreferenziale la totalità, eccetto al massimo due o tre, delle decine e decine se non centinaia di film prodotti da Hollywood – soprattutto nel dopoguerra mondiale – a base di “Arrivano i nostri!”, “gloriose Giacche Blu”, “Settimo Cavalleria”, “Ombre Rosse”, “Far West”,  “Fort Apache” e carovane di pii coloni assediate da torme di selvaggi assetati di scalpi. 

La retorica e il politicamente corretto a volte fanno brutti scherzi.