Emanuela Orlandi: “Banda della Magliana non c’entra”: per smentire Chi l’ha visto? 47 pagine di requisitoria del pm

di Pino Nicotri
Pubblicato il 14 Maggio 2015 - 08:49 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi

Emanuela Orlandi

ROMA – La banda della Magliana domina le 84 pagine della richiesta di archiviazione per i sei indagati per il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, firmata dal procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone.  Gli indagati sono Sergio Virtù, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni, Sabrina Minardi, Pietro Vergari, Marco Accetti.

Per cinque il pm ha chiesto l’archiviazione, per Marco Accetti è scattata l’incriminazione per calunnia e autocalunnia. Le pagine dedicate alla banda della Magliana sono 47, cioè a dire più della metà, di cui quattro nella premessa, da pag. 15 a pag. 18? Il fatto che una pista poi considerata non credibile, nata dalle “rivelazioni” di una trasmissione televisiva, “Chi l’ha visto?” porta a riflettere su quanto rilievo abbia, nella nostra vita la televisione, se un programma in prime time è riuscito a condizionare l’agenda della Procura della Repubblica di Roma, con ingente dispersione di denaro pubblico, tanto che giustamente Giuseppe Pignatone, a 3 anni dal suo insediamento, ha deciso di mettere fine al circo. Nella richiesta di archiviazione, Giuseppe Pignatone così scrive:

“Sulla scorta di quanto andava emergendo dall’inchiesta giornalistica della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto”, che approfondiva il possibile coinvolgimento della Banda della Magliana nel rapimento di Emanuela Orlandi, intervistando alcuni appartenenti alla stessa fra cui Mancini Emidio Antonio, veniva sentito il 1 marzo 2006 Mancini Antonio Emidio in merito a quanto affermato nel corso della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” il 20 febbraio 2006, in particolare sulla identificazione della voce di “Mario” [autore di una telefonata a casa Orlandi il 28 giugno 1983: ndr] come quella di un componente della Banda della Magliana.
Nell’intervista televisiva Mancini rilasciava delle dichiarazioni sul coinvolgimento della Banda della Magliana nel sequesto di Emanuela Orlandi e sulle sue motivazioni e, dopo avere ascoltato parte della registrazione della telefonata di “Mario” dichiarava: “C’è la Magliana dentro, Magliana, Magliana. Basta non li voglio vedè più, non li voglio sentì più. Me sta a venì ‘a cosa…. fatte carpisce la voce e mettela a confronto”. E poi a domanda del giornalista se avesse riconosciuto la voce risponde “questa è la voce della Magliana” e fa il nome di un certo “Rufetto”, killer [a dire di Mancini] di De Pedis. Si identificava Rufetto per Libero Giulioli”.
Interrogato però come testimone dai magistrati, Mancini perde la baldanza e la sicurezza istrionica sfoggiata in tv ed esattamente come farà in seguito Marco Fassoni Accetti evita di fare nomi. Il procuratore della Repubblica così infatti prosegue:
“Nella audizione presso gli uffici della Procura della Repubblica, Mancini Antonio Emidio confermava il contenuto dell’intervista resa alla trasmissione televisiva precisando però di non avere conoscenza diretta del sequestro di Emanuela Orlandi in quanto detenuto all’epoca dei fatti, ma di averlo saputo da componenti della Banda della Magliana dentro le carceri, senza tuttavia fare i nomi di chi gli avrebbe riferito tali notizie, ma fornendo generiche indicazioni su chi avrebbe potuto sapere qualcosa.
Sulla identificazione di Rufetto, a parziale rettifica di quanto dichiarato nell’intervista, confermava che era comunque una voce della Magliana, più precisamente della componente dei “Testaccini” facente riferimento a Enrico De Pedis detto Renatino.
In data 5 giugno 2006 veniva disposta Consulenza Tecnica fonica per la comparazione fra la voce di “Mario” e la voce di Libero Giuglioli (Rufetto). L’esito della consulenza era negativo”.
Insomma, Mancini a “Chi l’ha visto?” aveva preso un abbaglio. Peccato però che i suoi anfitrioni televisivi non l’abbiamo mai fatto sapere ai telespettatori.
Si passa alle 44 pagine di “Accertamenti relativi al coinvolgimento della Banda della Magliana nel sequestro”.

I testimoni sono 23: Sabrina Minardi, Marta Szepesvari, compagna di Emanuela alla scuola di musica, Elvira Muzzi, madre di due amiche di Emanuela, gli amici di Emanuela Angelo Rotatori, Andrea Bevilacqua, Gaetano Palese, le sorelle Paola e Gabriella Giordani, che riferiscono tutti su alcuni episodi durante i quali ebbero la “sensazione” che Emanuela fosse pedinata. Interrogati inoltre Cristina Orlandi sorella di Emanuela e Salvatore Sarnataro, padre di Marco, morto nel 2007, a dire di Rotatori e Paola Giordani uno dei presunti pedinatori.

Ci sono inoltre alcuni membri del sodalizio comunemente chiamato banda della Magliana e personaggi che con la banda non hanno avuto nulla a che fare: Maurizio Abbatino, Massimo Carminati, Maurizio Lattarulo, Vittorio Carnovale, Fabiola Moretti, ex compagna di Antonio Mancini col quale ha avuto una figlia, lo stesso Antonio Mancini, Luciano Mancini, padre di Massimiliano per un breve periodo marito della Minardi, Angelo Angelotti, uno degli organizzatori dell’agguato mortale a De Pedis del 2 febbraio 1990, Raffaele Pernasetti, Germana Abbruciati, sorella di Danilo ucciso subito dopo avere sparato a Milano a Roberto Rosone presidente del Banco Ambrosiano, Flavio Carboni, l’imprenditore sardo processato [e assolto] per l’uccisione di Roberto Calvi, amministratore delegato del Banco Ambrosiano, Francesco Pazienza, a suo tempo direttore del cosiddetto Super Sismi, ramo particolare dei servizi segreti militari, e Maria Vittoria Marigonda, a suo tempo segretaria di monsignor Paul Marcinkus, chiacchieratissimo amministratore delegato della banca vaticana IOR. Cioè a dire della banca a causa della quale il Banco Ambrosiano finì con in bancarotta.
Pignatone ci tiene a ricordare che Carboni e Pazienza negli anni ’90 sono stati
“coinvolti nelle vicende giudiziarie relative al fallimento dela Banco Ambrosiano e all’omicidio Calvi”.
Non vengono però nominati “alcuni testi vicini a Mons. Marcinkus” interrogati per cercare di capire – invano – se potesse essere lo stesso Marcinkus il cosiddetto “Americano” che si spacciava per il portavoce dei “rapitori” della Orlandi.
Sarnataro padre, interrogato quattro volte dai magistrati nel 2008 e 2009, ha addirittura affermato che suo figlio Marco durante i 20 giorni di detenzione passati da entrambi a Regina Coeli
“gli aveva confidato di avere partecipato al sequestro Orlandi assieme a “Ciletto” e “Gigetto”. Più in particolare gli ha raccontato che per diversi giorni lui, “Ciletto” e “Gigetto” avevano pedinato per le vie di Roma Emanuela Orlandi, su ordine di Renato De Pedis da loro chiamato “il Presidente” e che dopo qualche giorno ebbero, sempre da De Pedis, l’ordine di prelevarla, cosa che fecero, facendola salire a bordo di una BMW a piazza Risorgimento [1.800 metri a piedi e 2.500 metri in auto da piazza Madama, dove Emanuela uscita dalla scuola di musica è stata vista con certezza prima di sparire nel nulla: ndr] senza alcun tipo di violenza e che la condussero al laghetto dell’Eur dove li aspettava “Sergio”, autista di De Pedis, al quale consegnarono sia la macchina che la ragazza e che la stessa era consenziente”.
Come si vede, la strana affermazione che Emanuela fosse consenziente anticipa di qualche anno la stessa affermazione fatta nel 2013 dal “reo confesso” Marco Accetti, fotografo che in arte si firma Marco Fassoni Accetti aggiungendo il cognome materno. Come che sia, Sarnataro padre aggiunge che suo figlio Marco era molto amico di “Ciletto” Angelo Cassani e di “Gigetto” Gianfranco Cerboni, e che questi ultimi due
“lavoravano nel mondo degli stupefacenti per Giorgio Paradisi”.
A proposito di Paradisi, Pignatone parlando di Sarnataro padre così prosegue:
“Ha anche descritto inoltre una sorta di gerarchia esistente tra De Pedis, Paradisi, Cassani, Cerboni e il figlio Marco [Paradisi] al cui vertice vi era De Pedis che dava ordini a Paradisi, che a sua volta li dava a “Ciletto” che li dava a Cerboni e a suo figlio Marco [Paradisi].
Invitato poi a fornire altri elementi a sua conoscenza, del tutto inopinatamente dichiarava di essersi ricordato che la cognata di “Ciletto”, la ex moglie del fratello, lavorava per la Avon e che [lui] era a conoscenza di tale circostanza in quanto proponeva i prodotti presso un bar sito davanti al banco di frutta da lui gestito”.
Come è noto, poco prima di uscire dalla scuola di musica Emanuela telefonò a casa per dire che le era stato proposto, in cambio di una retribuzione stranamente generosa, di distribuire volantini della Avon. Appurato che la ex moglie del fratello di “Ciletto” si chiama Emanuela Bennati e che tale fratello ha avuto un figlio con Simonetta Giacomuzzi, i magistrati per prudenza hanno verificato se entrambe o almeno una delle due avesse mai lavorato per la Avon. Ma il risultato è stato negativo.

Il procuratore Pignatone a pagina 61 rileva inoltre che Salvatore Sarnataro era “seriamente compromesso” nella salute come un’altra testimone, anzi “supertestimone”: quella Sabrina Minardi diventata famosa prima di essere eclissata dall’exploit delle “confessioni” di Marco Accetti. Pignatone attesta infatti la “fragilità dei dichiaranti” e che la Minardi fosse anche tossicodipendente, particolari che potrebbero avere spinto entrambi a racconti più o meno di fantasia.
E veniamo ora alla Minardi. Pignatone evita di specificare che si tratta di indagini nate dalla famosa “telefonata” anonima trasmessa dal programma “Chi l’ha visto?” all’inizio del settembre 2005 (e riferita alla sepoltura di De Pedis nella basilica di S. Apollinare), ed evitando anche di ripetere quanto scritto a pagina 17, e cioè che di tale telefonata non è stata trovata nessuna traccia nei tabulati telefonici della redazione del programma, particolare che induce a pensare che non si trattò di una telefonata bensì di una registrazione ad hoc. E così il procuratore Pignatone passa a descrivere l’inizio delle indagini sull’eventuale coinvolgimento della famosa banda:
“Come visto, a partire dal 2005 assume un ruolo predominante nello scenario investigativo l’ipotesi volta a verificare un possibile coinvolgimento della Banda della Magliana nel sequestro. Al fine di approfondire ulteriormente tale ipotesi, la Squadra Mobile di Roma sentiva in data 14 e 19 marzo 2008, nelle forme del colloquio investigativo, Sabrina Minardi, ritenuta testimone interessante in quanto amante di Enrico De Pedis all’epoca della scomparsa di Emanuela Orlandi e pertanto forse a conoscenza di fatti utili allo sviluppo delle indagini. La stessa veniva poi sentita da quest’Ufficio il 4 giugno 2008 e, sulla base delle sue dichiarazioni, ritenute meritevoli di un doveroso approfondimento, veniva iscritto il procedimento penale 33188/08 contro ignoti con l’ipotesi di reato di sequestro di persona in danno di Emanuela Orlandi.
Veniva nuovamente sentita in qualità di teste il 28 ottobre 2008, il 18 novembre 2009, il 18 marzo e il 27 maggio 2010 per poi essere iscritta nel registro delle notizia di reato il 14 ottobre 2010 per il sequestro di persone di Emanuela Orlandi con l’aggravante della morte della ragazza”.
Dopodiché iniziano le 10 pagine intitolate per l’appunto “La dichiarazioni di Sabrina Minardi e relativi riscontri”. Già il primo interrogatorio, quello del 4 giugno 2008, viene definito da Pignatone “una lunga e confusa deposizione”, che inizialmente viene così descritta:
“In questa sede Sabrina Minardi, in una lunga e spesso confusa deposizione, a conferma di quanto esposto in sede di colloqui investigativi, dichiarava di avere intrattenuto una relazione sentimentale con Enrico De Pedis dal 1982 al 1984 [non si è dunque in ogni caso trattato di una relazione “durata dieci anni”, come hanno invece sostenuto giornali e televisioni], e che, in data imprecisata, da collocarsi qualche tempo dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, si recò assieme a De Pedis, a bordo della propria autovettura A112, al Gianicolo, nei pressi dell’omonimo bar, dove vennero raggiunti da tale Sergio, a lei noto in quanto autista di De Pedis, a bordo di un’autovettura BMW 520, e da una signora sopraggiunta a bordo di una Renault 5, che recava con sé una ragazza; che De Pedis le disse di accompagnare la ragazza, a bordo della BMW, alla fine della strada da lei conosciuta come “delle mille curve” (via delle Mura Aureliane), precisamente al punto della strada dove si trova il cancello dal quale si accede al Vaticano, nei pressi del distributore di carburante interno alle mura, dove avrebbe trovato ad aspettarle un uomo a bordo di una macchina targata CV [Città del Vaticano: ndr] al quale doveva consegnare la ragazza”.
Sul posto indicato da De Pedis – si noti bene, dentro il Vaticano! – la Minardi
“effettivamente trovò ad aspettarle un uomo vestito da prete, con abito lungo e con cappello dalle falde larghe, al quale consegnò la ragazza”. Il cappello da prete con le larghe falde nell’83 che si sappia non era quasi più in uso, ma tralasciamo. Come che sia, nel corso della testimonianza Sabrina Minardi afferma che
“la ragazza era molto confusa e le disse di chiamarsi Emanuela, aveva i capelli tagliati pari, mozzati, come fosse un taglio “casereccio” e che lei la riconobbe in quanto all’epoca Roma era tappezzata di manifesti con la sua immagine”.
Che la Orlandi venisse portata in un bar e poi perfino dentro il Vaticano, col rischio di essere riconosciuta non solo dalla Minardi, appare assai poco probabile. Quello che conta però e che non è stata trovata nessuna traccia di quanto raccontato ai magistrati riguardo i locali nei quale la ragazza a dire della Minardi sarebbe stata detenuta e neppure nel luogo dove, sempre a dire della Minardi che dice di averlo saputo da De Pedis, sarebbe stata sepolta a Torvaianica dopo essere stata “impastata” in una betoniera. Il 5 novembre 2008 però lo scenario cambia. A essere stata impastata nella betoniera non era l’Orlandi e saputo da De Pedis che questa era ancora viva ecco che Minardi:
– “suggerì di mandarla in qualche Paese arabo e a questo fine presentò a De Pedis la mamma di Tiziana Rocca, che conviveva con un facoltoso arabo e che qualche giorno dopo si recò con Ornella Melaranci presso la casa di questo arabo”;
– “successivamente aveva saputo da De Pedis che la ragazza era partita, accompagnata all’aeroporto di Ciampino da “Sergio””.
Il 28 ottobre 2008 Minardi aggiunge che:
“il sequestro fu eseguito materialmente da tre persone, delle quali conosceva solo Angelo Cassani”.
Inutile e faticoso ripercorrere le varie versioni che Sabrina Minardi ha fornito man mano ai magistrati, a partire dal cambio dello scenario della consegna di Emanuela, non più al bar del Gianicolo, bensì “presso il laghetto dell’Eur”. E’ invece utile notare che riguardo i locali sotterranei di via Pignatelli, indicati dalla Minardi come la prigione di Emanuela per qualche tempo, le indagini
“hanno escluso la presenza di Emanuela Orlandi o di altro essere umano”.
E per quanto riguarda la carceriera, indicata nella signora Daniela Mobili,
“occorre aggiungere inoltre che Daniela Mobili all’epoca era detenuta e pertanto sicuramente estranea ai fatti”.
Prima del capitolo dedicato a Marco Fassoni Accetti, per il quale Pignatone ha chiesto l’apertura di un fascicolo per i reati di calunnia e autocalunnia, a pagina 60 iniziano le conclusioni riguardo cinque dei sei indiziati:
“Le indagini compiute non hanno permesso di pervenire a un risultato certo in merito al coinvolgimento di Enrico De Pedis e di Marco Sarnataro, Sergio Virtù, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni, soggetti vicini al De Pedis e gravitanti nell’ambito della criminalità romana legata alla Banda della Magliana, di Sabrina Minardi e di Mons. Pietro Vergari nel rapimento e nella morte di Emanuela Orlandi. Gli elementi indiziari emersi hanno tuttavia trovato alcuni riscontri in ordine al coinvolgimento della Banda della Magliana nella vicenda”.
Quali siano questi “taluni riscontri” non è però specificato. Così come non è specificato in base a quali elementi Pignatone dia per certa la morte della Orlandi, se non per la implicita deduzione dovuta ai finora 32 anni di assoluta mancanza di sue notizie.
Forse per evitare critiche per lo sventramento del sotterraneo della basilica di S. Apollinate e per i molti soldi del contribuente sperperati nell’assurda ricerca del DNA delle migliaia di ossa centenarie ivi sepolte prima che i cimiteri nelle chiese e nelle città venissero proibiti, il procuratore della Repubblica dà un colpo al cerchio e uno alla botte.
Ecco il colpo al cerchio:
“Le dichiarazioni di Sabrina Minardi, testimone sicuramente difficile a causa della sua tossicodipendenza e delle pessime condizioni di salute fisiche e mentali [compresa una degenza in un reparto di malattie mentali], nella criticità oggettiva di alcuni contenuti che appaiono e sono del tutto inverosimili e nella contraddittorietà delle versioni succedutesi nel tempo, hanno sotto alcuni profili trovato riscontri, come si è illustrato, e le dichiarazioni di Salvatore Sarnataro, accusatorie nei confronti del figlio, anche se deceduto, da ritenersi mosse dalla volontà di collaborare anche alla luce del quadro investigativo che si era delineato al momento delle sue deposizioni, forniscono elementi nel senso di ricondurre la paternità del sequestro di Emanuela Orlandi alla Banda della Magliana- Più in particolare a Enrico De Pedis, Marco Sarnataro, Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni”.
Ed ecco il colpo alla botte:
“Tuttavia occorre rilevare come tali elementi di natura indiziaria, in ragione dei limiti di carattere oggettivo e soggettivo che li inficiano, non consentono certamente di ritenere provata la responsabilità per il rapimento con conseguente morte di Emanuela Orlandi né di Enrico De Pedis e di Sarnataro Marco, come detto non indagati perché deceduti, né, con minori elementi, di Sergio Virtù, Aneglo Cassani, Gianfranco Cerboni e Sabrina Minardi, attesa la fragilità dei dichiaranti Sabrina Minardi e Salvatore Sarnataro, entrambi seriamente compromessi nel loro stato di salute e le criticità oggettive del racconto contraddittorio della Minardi”.
Esce di scena anche don Vergari, all’epoca rettore della basilica di S. Apollinare e sponsor della sepoltura di De Pedis nel suo sotterraneo. Alcune testimonianze affermano che don Vergari e De Pedis si sono conosciuti solo dopo la scomparsa della Orlandi, e quindi non può esserci stata complicità di nessun tipo, mentre lo steso don Vergari la fa risalire a prima, per l’esattezza al 1979-81, motivo per cui Pignatone esprime qualche dubbio. Che però non ha motivo d’essere perché don Vergari nel ricordare quando ha conosciuto De Pedis nel carcere di Regina Coeli ha specificato che
“era al tempo in cui De Pedis era detenuto per le accuse di un certo Speranza”.
Basta una verifica – che la Procura non ha fatto – riguardo quando De Pedis una volta arrestato nel novembre 1984 ha dovuto difendersi anche dalle accuse di Massimo Speranza, interrogato dal pubblico ministero Luigi De Ficchy il 20 maggio 1985, per appurare che si tratta degli anni ’85-’86.. Successivi quindi e non precedenti il 1983 della scomparsa di Emanuela. Per la cronaca, Speranza è stato dichiarato folle da due perizie psichiatriche.
Alla fin fine Pignatone afferma esplicitamente che la vicenda Orlandi e annesse testimonianze sono inficiate da un eccesso di clamore mediatico, che inevitabilmente induce a suggestioni e quindi a forzare i ricordi se non anche a inventarne di nuovi:
“Le testimonianze degli amici di Emanuela, autori dei riconoscimenti fotografici, sono significativamente indebolite in considerazione del notevolissimo lasso di tempo trascorso e in considerazione dell’inquinamento della genuinità delle ricostruzioni causato dall’enorme rilievo mediatico che ha suscitato il caso da sempre ma particolarmente dall’insorgere della cosiddetta “pista Magliana”.
Pista sorta con la famosa “telefonata” che a “Chi l’ha visto?” sostengono di avere ricevuto il 16 luglio 2005, ma della quale i magistrati non hanno trovato nessuna traccia. Probabilmente si tratta quindi di una registrazione fatta ad hoc e portata a bella posta nella redazione. Ricordiamo che nel settembre 2005 era vivissima l’attesa per il film Romanzo criminale, tratto dall’omonimo romanzo di strepitoso successo scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo. Che andasse a finire come è finita era prevedibile e previsto da Blitz  già il 20 novembre di due anni fa.
Come che sia, le 84 pagine firmate da Pignatone descrivono un cane che si morde la coda a partire dall’inizio del fatidico settembre 2005. Vale a dire, per ben 10 anni. Durante i quali i magistrati sono stati impegnati a raccogliere quanto “Chi l’ha visto?” andava seminando con disinvoltura. Compreso dal 2013 il “flauto di Emanuela” e le “rivelazioni” di quel Marco Accetti che Pignatone vuole venga accusato e processato per calunnia e autocalunnia spiegando il perché:
“La storia raccontata da Marco Accetti non è credibile ed è frutto di un lavoro di sceneggiatura scaturito dallo studio attento di atti e informazioni acquisite negli anni da parte di un soggetto ansioso di protagonismo”.