Emanuela Orlandi. Flauto trovato alla Via Crucis: prima ci fu la borsa per posta

di Pino Nicotri
Pubblicato il 27 Maggio 2013 - 04:24| Aggiornato il 28 Maggio 2013 OLTRE 6 MESI FA
orlandi emanuela

Emanuela Orlandi

Nel mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, quando si tratta di “ritrovamenti” di oggetti che si vuole le siano appartenuti,  l’esperienza insegna già da anni che bisogna andarci cauti. Molto cauti.

Strano che nessuno ricordi il miracoloso arrivo per posta a casa Orlandi in Vaticano della sua borsa, notiziona totalmente campata per aria, ma immortalata per iscritto non da un Marco Fassoni Accetti qualunque, bensì dallo stesso avvocato della madre di Emanuela, l’ex giudice istruttore del tribunale di Roma Ferdinando Imposimato. A pagina 119 del suo libro “Vaticano, un affare di Stato”, edito nel novembre 2002 e ristampato nel febbraio 2003 da Koinè Nuove Edizioni, leggiamo infatti quanto segue:

“Quello stesso 27 luglio [1983] i rapitori si fanno vivi un’altra volta, facendo arrivare alla famiglia la borsa di Emanuela, per posta dentro un pacco. Ormai diventa chiaro che tra gli obbiettivi dei rapitori ci sia anche quello di montare un caso che susciti enorme sensazione in tutto il mondo, tenendo sotto scacco il Vaticano ed il Papa per chiedere la liberazione di Agca e per screditare l’immagine del Pontefice e la Chiesa cattolica”.

Zelanti questi “rapitori” immaginari, che pagano tanto di regolari francobolli. Ma anche stranamente imprudenti: per spedire la borsa come pacco postale devono essersi fatti vedere in faccia da qualche impiegato postale.

Che dire? No comment. E’ meglio. Però se è vero che “errare humanum est”, è anche vero che “perseverare diabolicum”.

E Imposimato putroppo persevera. Dobbiamo infatti aggiungere per dovere professionale che ha annunciato, questa volta per televisione, altri “ritrovamenti” in realtà pure quelli mai avvenuti.

Macchina del tempo avanti, come direbbe Fabrizio Peronaci del Corriere della Sera. Puntata dello scorso 10 aprile di Uno Mattina della Rai. Ospiti in studio: Pietro Orlandi, l’avvocato Ferdinando Imposimato, i giornalisti di “Chi l’ha visto?Fiore Di Rienzo, lo stesso del “flauto ritrovato”, e Pino Nazio, inviato e autore storico del programma di Raitre come egli stesso ama scrivere nel suo curriculum.

Nonostante la puntata sia incentrata su un ritrovamento, quello del flauto, Imposimato prudentemente del proprio “ritrovamento” tace: tace cioè della borsa a suo dire fatta avere per posta agli Orlandi già il 27 luglio 1983. Racconta invece che Emanuela Orlandi, quando è scomparsa aveva nella borsa gli originali della tessera di iscrizione al Da Victoria e le ricevute di pagamento e che i “rapitori” a suo tempo avevano fatto trovare proprio gli originali.

Sappiamo bene, invece, che si trattava solo ed esclusivamente di fotocopie. E che il non essere riusciti a far trovare neppure un originale è la migliore dimostrazione che non c’è stato nessun rapimento, tanto meno “politico”.

Pur trattandosi dell’avvocato di sua madre, Pietro Orlandi non obietta nulla. Neppure al conduttore che insiste a dire Orlando anziché Orlandi. Nazio spiega che l’avere incartato il flauto in giornali di due anni dopo la scomparsa di Emanuela è – chissà mai perché – un fatto significativo “che fa riflettere”. Cosa ci sia da riflettere non lo dice, però aggiunge che la formella della via Crucis fatta trovare assieme al flauto fornisce un evidente collegamento con i quattro sassolini fatti trovare dai “rapitori” il 4 settembre 1983.

In cosa consiste il “collegamento “? Nel fatto che i quattro sassolini rappresentano “le quattro stazioni della via Crucis”. Ma le stazioni della Via Crucis sono ben 14, non solo quattro! E vabbé, come per Ronald Reagan la realtà è solo un particolare trascurabile…

Come se non bastasse, c’è da aggiungere che intervistato per la puntata di “Chi l’ha visto?” del 27 ottobre 2008, Imposimato ha sostenuto che Emanuela venne rapita perché era l’unica della sua famiglia ad avere la cittadinanza vaticana. Strano che l’intervistato, avvocato della madre di Emanuela dal 2002, non sappia che tra gli atti giudiziari in suo possesso c’è anche il verbale di una testimonianza di Ercole Orlandi, padre di Emanuela, che spiega ai magistrati come nella sua famiglia ad avere la cittadinanza vaticana non era solo Emanuela, ma di sicuro anche la sua sorellina più piccola Maria Cristina e forse altri ancora.

Da notare che rapire Maria Cristina, più piccola di età, sarebbe stato più facile e meno pericoloso, anche perché non ci sarebbe stato nessuno bisogno di “prelevarla” davanti al senato della Repubblica italiana, cioè in uno dei luoghi più vigilati d’Italia. Senza contare che per un errore dell’anagrafe romana Emanuela poté avere la residenza vaticana solo tre mesi prima della scomparsa.

Chissà, forse all’anagrafe – sollecitati dallo Ior, dalla mafia, dai servizi segreti, dalla massoneria, dalla banda della Magliana e magari anche dall’ Iran e quant’altro – si sono dati improvvisamente una mossa per evitare ai “rapitori” di commettere l’imperdonabile errore, da peracottari, di acciuffare Emanuela Orlandi, cittadina italiana anziché vaticana……

Lo spettacolo continua.