Emanuela Orlandi: Mirella Gregori, Avon Production e…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 9 Ottobre 2015 - 16:28| Aggiornato il 19 Ottobre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi, Mirella Gregori, Avon Production e...

Una delle locandine di un film della Avon Productions

ROMA – Colpo di scena! Anzi: colpi di scena, al plurale. Tre, per la precisione. I primi due riguardano il mistero Orlandi e il mistero Gregori e ne parliamo oggi. Del terzo parleremo tra qualche giorno.

Se queste novità fossero state conosciute dai magistrati impegnati nelle indagini su questi due misteri, forse il 5 maggio scorso non avrebbero chiesto il proscioglimento anche per Marco Fassoni Accetti, il fotografo, regista e produttore di cortometraggi artistici, che di entrambe quelle scomparse si è auto accusato due anni e mezzo fa, avendo però cura di aggiungere che si trattava di “rapimenti finti”, cioè a suo dire concordati con le due ragazze col beneplacito dei loro genitori.

Come è ormai ben noto, secondo le presunte “confessioni” di Accetti i due finti rapimenti sarebbero frutto della lotta tra “due fazioni vaticane”, una favorevole alla politica duramente anticomunista dell’allora Papa Wojtyla e l’altra, della quale il fotografo e regista sostiene di avere fatto parte, decisamente contraria.

Uno dei magistrati inquirenti, Giancarlo Capaldo, ha rifiutato di firmare le conclusioni del 5 maggio perché convinto che il “reo confesso” c’entri davvero sia con la scomparsa di Mirella che con quella di Emanuela, ma per motivi ben diversi da quelli che ha raccontato nelle sue “confessioni”.

1) COMINCIAMO DAL MISTERO ORLANDI. La vulgata che va per la maggiore vuole che Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983, sia stata adescata da qualcuno che le aveva proposto di distribuire volantini pubblicitari della marca di prodotti di cosmetici Avon. Marca che per l’esattezza si chiama Avon Products. Nessuno s’è però mai accorto che si chiamava Avon anche una casa cinematografica produttrice di film porno, come per esempio quello con il titolo quanto mai esplicito “Doctor Penetration”, e di film non porno.

Casa cinematografica che per l’esattezza si chiamava Avon Productions, nome sorprendentemente simile a quello della ditta di cosmetici e quindi confondibile con l’altro. Specie da parte di una ragazzina, a causa anche della grande fama che i cosmetici Avon avevano già allora tra donne di tutte le età, comprese le giovanissime come Emanuela. Ma andiamo per ordine.

Le due testimonianze dell’adescamento tramite cosmetici Avon, una del poliziotto Bruno Bosco e l’altra del vigile urbano Alfredo Sambuco, entrambi quel giorno di servizio davanti a palazzo Madama, sede del Senato, non sono risultate credibili al 100%.

Il poliziotto come prima versione si limita a parlare di una scena, vista da lui “a una distanza di una ventina di metri”, che somigliava a campioncini di prodotti di bellezza mostrati da un uomo a una ragazza, che si è sempre creduto fosse Emanuela. Secondo Bosco tale uomo era in piedi accanto a una BMW ed estraeva i campioncini da un “tascapane di tipo militare”, nel cui interno era stampata solo la lettera A.

Versione riferita a botta calda a Bruno Gangi, fresca recluta dell’allora servizio segreto civile Sisde (oggi Aisi) e conosciuto in vacanza a Torano da Emanuela nonché molto amico della sua cugina Monica Meneguzzi. E versione subito riferita per iscritto da Gangi ai suoi superiori.

Interrogato dal magistrato Ilario Martella il 15 ottobre 1985, cioè solo due anni dopo, Bosco trasformerà il tascapane di tipo militare in un borsone e la A nella parola AVON scritta in bella vista all’esterno del borsone. Il vigile urbano, interrogato anche lui come il poliziotto nel 1985 da Martella, ha invece negato decisamente di avere mai visto campioncini di un qualche tipo, borsoni e scritte AVON, limitandosi a dire di avere visto un tizio vicino a una BMW in divieto di sosta che parlava con una ragazzina. Eppure a tutt’oggi, perfino nella sentenza istruttoria firmata nel dicembre 1997 dal magistrato Adele Rando, si insiste a dire che anche Sambuco ha detto di avere visto il borsone Avon.

Di fatto, l’adescamento tramite Avon si regge solo sulla testimonianza di una sorella di Emanuela, Federica, secondo la quale Emanuela attorno alle 19 avrebbe telefonato a casa per dire che:
– poco prima un uomo le aveva offerto di distribuire volantini della Avon a una sfilata di moda;
– il compenso per tale lavoretto sarebbe stato la fin troppo generosa cifra di 375 mila lire dell’epoca, pari più o meno a 3 mila euro di oggi;
– l’uomo in questione era disposto ad aspettare il consenso dei genitori.

Secondo però almeno un’amica di Emanuela quell’offerta sarebbe stata fatta giorni prima e non solo a Emanuela, ma anche a un’altra sua amica mentre erano assieme non si sa bene dove. Insomma, la faccenda Avon è molto poco chiara. Anche perché la rappresentante romana di quella ditta di cosmetici ha sempre negato che ci fossero dipendenti, fissi o non fissi, dotati di BMW e che esistessero tascapane, valigette e borsoni con all’esterno la scritta Avon.

Stando così le cose, si può escludere che l’eventuale adescatore, ammesso che sia mai esistito, abbia parlato sì di Avon, ma intesa come casa cinematografica? E si può escludere che Emanuela o Federica abbiano automaticamente pensato, sbagliando, alla ben più nota e omonima ditta di cosmetici? Lo sconosciuto aveva intenzioni ben diverse da quelle forse dette a Emanuela e da lei riferite per telefono alla sorella?

La cifra spropositata, l’equivalente di 3 mila euro per distribuire volantini a una sfilata di moda, diventa invece più compatibile con l’offerta di distribuire volantini e fare un provino, che non si può escludere dovesse consistere nella ripresa della stessa distribuzione dei volantini durante la sfilata di moda. Non si può escludere neppure che lo sconosciuto, sempre ammesso che sia esistito, avesse anche intenzioni di ben altro tipo, meno innocenti: cominciare con foto e provino innocenti e tastare in seguito il terreno per qualcosa di più audace. Nelle intenzioni dell’eventuale adescatore le 375 mila lire dovevano essere, per una ragazzina di nemmeno 16 anni, una tentazione irresistibile. Specie se accompagnata dalla promessa di un provino.

Si dà il caso che è stato accertato che Marco Fassoni Accetti usasse fermare per strada minorenni, maschi e femmine, per offrire loro la possibilità di posare come modelli ed essere ripresi in provini come anticamera per possibili ingressi nel mondo della moda e dello spettacolo.

Accetti ha ammesso di avere fermato un ragazzino, di nome Stefano, davanti al numero 351 di corso Vittorio Emanuele II, via percorsa anche da Emanuela – il più delle volte in autobus – per andare e tornare dalla scuola di musica Ludovico da Victoria, sita in piazza S. Apollinare, adiacente piazza Navona, scuola nella quale studiava canto corale, pianoforte e flauto traverso.

Nell’aprile 2013 Accetti è diventato di colpo famoso per avere fatto trovare a “Chi l’ha visto?” quello che secondo lui era il “flauto traverso di Emanuela”, pochi giorni dopo essersi presentato dal magistrato Giancarlo Capaldo ed essersi accusato del “finto rapimento” di Emanuela e Mirella. “Finto”, ripetiamo, perché a dire di Accetti concordato con le ragazze e con il permesso dei rispettivi genitori.

La volta che Accetti in corso Vittorio Emanuele II ha fermato il ragazzino Stefano, questi gli ha detto che avrebbe dovuto prima parlarne col padre. Al che Accetti ha risposto che non c’era problema: avrebbe aspettato il permesso paterno. Motivo per cui ha consegnato al ragazzino un numero di telefono per essere contattato e lo ha rassicurato spiegando che il provino sarebbe stato girato in uno studio nella vicina via dei Coronari.

Via che è vicina anche a piazza Navona e alla contigua piazza di S. Apollinare, dove si affacciava la scuola di musica da lei frequentata. Come abbiamo già detto, anche lo sconosciuto che avrebbe offerto a Emanuela l’allettante prospettiva di un ottimo guadagno con poca o nulla fatica era disposto ad aspettare il consenso paterno.

Da notare inoltre che quel tardo pomeriggio del 22 giugno 1983 c’era a piazza Navona una manifestazione del partito radicale, del quale Accetti all’epoca si proclamava militante (verrà però in seguito pubblicamente smentito dal partito). È possibile quindi che il “reo confesso” dei due “finti rapimenti” si trovasse in piazza Navona e dintorni prima e dopo la manifestazione. Cioè a dire, mentre Emanuela andava alla scuola di musica e quando ne era uscita.

A proposito di questo approccio con Stefano, se ne scopre il cognome e l’età a pagina 71 della requisitoria firmata il 5 maggio dal procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone e da altri due magistrati. Vi si legge infatti che un bambino di nome Stefano Coccia, che nell’83 aveva 11 anni, era stato fermato

“nel novembre del 1983 in Corso Vittorio [NDR: si tratta di corso Vittorio Emanuele II] da una ragazza in compagnia di un giovane che portava al collo una macchina fotografica professionale e che i due, con modi gentili, gli proposero di fare delle fotografia e che avrebbe potuto guadagnare molto facendo con loro fotoromanzi e servizi fotografici di moda presso uno studio fotografico nei pressi, in via dei Coronari. Avendo rappresentato la necessità di chiedere il permesso ai genitori, e in particolare al padre che aveva una gioielleria poco distante, i due anziché seguirlo presso il negozio del padre per ottenere l’autorizzazione, preferirono scambiare i numeri di telefono per un successivo contatto”.

Strano che i due non siano andati subito dal padre per chiedergli il permesso, visto che era a pochi metri di distanza. Sta di fatto che nella nota n. 92 a piè della stessa pagina 71 si legge che

“il numero di telefono di Stefano Coccia verrà rinvenuto nel corso della perquisizione domiciliare effettuata a casa di Marco Accetti in occasione delle indagini sull’omicidio Garramon”.

Fassoni Accetti era già a quel tempo un fotografo professionista oltre che un produttore e regista di cortometraggi dal sapore spesso decisamente lugubre, cimiteriale, ossianico. Non risulta però che abbia mai prodotto film o foto porno. Anche se, stando a quanto riporta un’informativa del 1997 della questura di Roma, basata su notizie fornite da “fonte fiduciaria qualificata”, qualcuno gli addebita proprio la produzione e il commercio di foto e film non solo porno, ma anche pedofili. Ecco il testo nella parte che parla di tale attività:

“L’Accetti, descritto come soggetto economicamente benestante con un ufficio/studio sito nel Quartiere Africano della Capitale, sarebbe dedito a pratiche sessuali della pedofilia. Inoltre, sarebbe solito commercializzare in un circuito di pedofili le citate videocassette”.

L’informativa non è attendibile almeno nella parte – qui non riportata, ma riportata in un mio articolo precedente – in cui accusa Accetti di avere simulato l’incidente stradale col quale nel dicembre del 1983 uccise il dodicenne Josè Garramon. L’informativa infatti afferma che il ragazzino

“era deceduto precedentemente, verosimilmente a causa della sua [NDR: di Accetti] perversione”.

Le perizie dell’epoca hanno invece affermato che il bambino non aveva subito violenze sessuali ed era morto per l’impatto contro il furgone Ford Transit guidato da Accetti.

Accetti aveva o millantava rapporti con la Avon Productions? Difficile saperlo, dopo 32 anni. Difficile anche sapere se è vero quel che qualcuno mi ha detto di ricordare, e cioè che la Avon Productions abbia in qualche modo collaborato al film “Immagini di un convento“. Questo film risulta prodotto dalla Kristal Film, titolo originario Images in a convent, e ha tra i suoi protagonisti attori italiani come Paola Senatore, Paola Maiolini, Marina Ambrosini, Angelo Arquilla, Maria Rosaria Riuzzi, Giovanna Mainardi, Ferruccio Fregonese, Pietro Zardini e Brunello Chiodetti.

C’è perfino Aïché Nana, la giovane turca che il 5 novembre 1958 ispirò la dolce vita romana improvvisando uno spogliarello su un tavolo del ristorante Il Rugantino a Trastevere, audacia che le costò due mesi di carcere. Lo spogliarello di Nanà è stato poi immortalato nel film La Dolce vita, di Federico Fellini, girato poco più di un anno dopo.

Secondo vecchi ricordi che mi sono stati riferiti da ex poliziotti, era della Avon Productions anche il film porno dal cui sonoro vennero tratti i lamenti fatti trovare in audiocassetta per l’agenzia ANSA il 17 luglio 1983 in via della Dataria.

Chi fece trovare l’audiocassetta spacciò i lamenti, prolungati e crescenti, per la voce di Emanuela Orlandi sottoposta a sevizie varie, ma gli inquirenti appurarono che si trattava invece di un orgasmo extra strong ed extra long registrato da un film porno. Per sapere se tali ricordi sono esatti o no basterebbe che la questura o la Procura della Repubblica di Roma cercassero in archivio e rendessero noto il titolo di quel film.

La Avon Production ha realizato film come “Come sposare una figlia”, diretto nel lontano 1958 da Vincente Minnelli, papà di Liza Minnelli, e prodotto dalla Avon Productions in tandem con la MGM. La Avon quindi si occupava contemporaneamente di film di prestigio e di film porno? Esiste anche una “Avon Production (II)”, della quale si può leggere qui qualche titolo che col porno non ha nulla a che spartire.

Per esempio, c’è addirittura il famoso Jailhouse Rock, con l’ancor più famoso Elvis Presley. Si tratta dell’ex camionista Usa che fece furore nel mondo intero rivoluzionando il ballo con il lancio del rock and roll. Una rivoluzione che sarà seguita da quella dei Beatles per le canzoni. Per milioni di suoi indomiti fans Elvis, detto The Pelvis per il suo allusivo muovere il bacino pelvico mentre cantava, è sempre vivo benché sia morto nel lontano 16 agosto 1967.

2) VENIAMO ORA AL MISTERO GREGORI. Sedicenne scomparsa a Roma cinque settimane prima della Orlandi, Mirella da un certo punto in poi è stata associata alla scomparsa della sua coetanea dalle rivendicazioni e dai comunicati decisamente scombiccherati di chi voleva a tutti i costi farsi passare come autore del suo sequestro.

Mirella Gregori abitava in via Nomentana 91 ed è sparita il 17 maggio del 1983 dopo essere uscita di casa nel pomeriggio dicendo alla madre che andava a un appuntamento nella vicina Porta Pia. Guarda caso, nel rapporto giudiziario preliminare N.8/26-2 stilato dai carabinieri di Ostia il 21 dicembre 1983 si legge che Accetti abitava nei pressi proprio di Porta Pia: per l’esattezza al numero 24 di via Goito. A un paio di isolati, cioè a pochi metri, anche dal bar dei Gregori sito al civico 2/F di Via Volturno.

Bar che, in base a una telefonata ricevuta dal barista, secondo gli inquirenti sarebbe stato tenuto d’occhio da uno sconosciuto che voleva passare per rapitore di Mirella. Da notare anche e soprattutto che via Goito 24 dista meno di un chilometro dall’abitazione dei Gregori al civico 91 di via Nomentana.

Particolari, questi, decisamente non irrilevanti a mio giudizio. Ma che nessuno fino ad oggi ha mai notato: eppure l’indirizzo di via Goito di Accetti è scritto a chiare lettere in un rapporto stilato dai carabinieri per la magistratura.

La madre di Mirella ha spiegato ai magistrati che sua figlia l’aveva sorpresa e preoccupata quando le aveva promesso il suo aiuto per poter acquistare un appartamento che le piaceva, ma per comprare il quale i Gregori non avevano i soldi.

E l’avvocato Gennaro Egidio, legale sia dei Gregori che degli Orlandi, nel 2002 mi ha spiegato – come ho riportato nei miei libri e in alcuni articoli – che molto probabilmente Mirella per avere i soldi necessari per aiutare la madre si era infilata in qualche giro di prostituzione d’alto bordo o in giri simili. Mirella quindi, secondo l’avvocato della sua famiglia, potrebbe essersi prestata per foto o riprese osè o potrebbe avere cercato un canale per provarci.

A quell’epoca Accetti, oltre al punto d’appoggio nello studio fotografico in via dei Coronari, aveva il suo studio fotografico in una parte nel grande locale sotterraneo di famiglia in via Tripoli, locale esistente ancora oggi come ristorante, bar, club, ecc. Per arrivarci basta percorrere quattro chilometri in linea retta di via Nomentana, la via dove Mirella abitava, e girare poi a sinistra per un centinaio di metri.

Ci si può arrivare comodamente in autobus, se sprovvisti di auto. Eppure per oltre 32 anni non lo ha notato nessuno, nonostante inchieste giudiziarie, informative di “fonte fiduciaria qualificata” e un oceano di articoli e inchieste giornalistiche oltre che di “rivelazioni” e “confessioni”.

3) Per il terzo colpo di scena, potenzialmente rovinoso per Accetti, rimandiamo al prossimo articolo.