Emanuela Orlandi, 35 anni di piste fasulle, ora anche Micromega abbocca alla sirena Pietro. Ammettiamo per un attimo che l’ennesimo asserito colpo di scena del mistero sulla scomparsa di Emanuela Orlandi non sia la solita[App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,-Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] panna montata con clamore, ma inesorabilmente sempre destinata a sgonfiarsi. Ammettiamo cioè che davvero, come “rivela” Pietro Orlandi con soli 35 anni di ritardo, ma tacendo anche questa volta la fonte della nuova “notizia”, il Vaticano abbia nascosto la telefonata che ne annunciava l’avvenuto rapimento la sera stessa della scomparsa di Emanuela, cioè del 22 giugno 1983. Vedremo che l’eventuale averla nascosta è stato del tutto ininfluente, ma intanto ci sono comunque da fare varie considerazioni:
1) – la telefonata in questione, se davvero è stata fatta, è più facile che sia opera depistatrice di chi ha sequestrato ed eliminato Emanuela per i purtroppo usuali motivi da cronaca nera anziché opera dei fantomatici rapitori intenzionati a ricattare papa Wojtyla per motivi politici o malavitosi. I motivi politici si voleva fossero la volontà di ottenere la liberazione del terrorista turco Alì Mehmet Agca, condannato all’ergastolo per avere sparato a Wojtyla nell’81 oppure la volontà ammorbidire l’impegno anticomunista di quel Papa.
I motivi malavitosi si vuole consistessero nella volontà di ottenere la restituzione di soldi a dire di alcuni prestati per le varie attività anticomuniste del pontefice polacco, motivi ipotizzati quando ormai era chiaro che la pista “politica”, quale che essa fosse, era una bufala.. Motivi TUTTI che comunque, chiacchiere a parte, non sono mai stati dimostrati. Stando a quanto dice Pietro Orlandi, la persona che avrebbe telefonato la sera del 22 giugno 1983 ha chiesto di parlare col papa. Ma come poteva ignorare che il papa anziché in Vaticano era nella natia Polonia la temibile organizzazione che si vuol fare credere abbia rapito Emanuela? E’ infatti lo stesso Pietro Orlandi il primo a sostenere che, politica o malavitosa, si tratta di comunque un’organizazzione composta da spezzoni di servizi segreti vari, banca vaticana IOR, mafia, malavita romana, ecc. La ha scritto in un suo libro e lo ha detto a Vanity Fair nel maggio 2011, lo ha infine ripetuto di recente a Micromega.
Un’organizzazione dunque che sicuramente, specie la banca IOR che è del Vaticano e ha la sede DENTRO il Vaticano, sapeva che Wojtyla NON era “in casa” bensì ancora in Polonia, dove si era recato soprattutto per sostenere la lotta anticomunista e antisovietica del sindacato Solidarnosc. Una motivazione, quella del viaggio, talmente politica ed eversiva per il regime comunista polacco, e per l’Unione Sovietica dalla quale la Polonia dipendeva mani e piedi, più che sufficiente per mettere Wojtyla sotto la lente di ingrandimento di vari servizi segreti, non solo italiani, e sapere passo passo dove fosse e cosa stesse facendo. E’ quindi assolutamente impossibile che i “rapitori” e il loro telefonista di questa ennesima “rivelazione” appartenessero alla fantomatica ”organizzazione” temibile e tentacolare di cui parla con insistenza l’Orlandi.
2) – Guarda caso, si tratta di un copione identico a quello messo in piedi l’anno successivo, 1984, da Mario Squillaro, lo zio di Stefania Bini, che dopo avere sequestrato e ucciso la giovane nipote ha sostenuto coi genitori che gli aveva telefonato qualcuno per dire che la ragazza era stata rapita. Anche lei da un gruppo di turchi che volevano una bella cifra per il riscatto.
3) – E sempre guarda caso, si tratta dello stesso depistaggio tentato da Sabrina Misseri, cugina di Sarah Scazzi, che dopo averla uccisa accecata dalla gelosia si è inventata che era stata rapita.
4) – Ad accompagnare Wojtyla nel viaggio in Polonia, compresa l’andata e il ritorno in aereo, c’era il suo amico polacco Jacek Palkiewicz, che il caso vuole fosse anche mio amico perché viveva in Veneto e lo avevo conosciuto per motivi di lavoro. Come ho scritto anche in libri, Jacek mi ha sempre ESCLUSO che nel viaggio di ritorno Wojtyla avesse avuto motivi di preoccupazione diversi dal temere eventuali complicazioni con le autorità polacche riguardo il decollo per il rientro a Roma: nessuna telefonata clamorosa dal Vaticano o da altrove riguardo “rapimenti” e affini, ma solo gioia per la riuscita del viaggio e la mancanza di pretesti di qualunque tipo da parte dei polacchi.
5) – E’ incredibile che qualunque affermazione snocciolata da Pietro Orlandi venga sempre immediatamente accolta come oro colato. E sì che di bidoni e di “verità” fasulle ne ha avvalorate ormai troppe. Vediamone in dettaglio alcune:
a – le rivelazioni e le promesse di Agca.
b – La pista di Luigi Gastrini alias il falso “007 Lupo Solitario”.
c – La pista del pentito della mafia Vincenzo Calcara.
d – La pista del fotografo romano Marco Fassoni Accetti, diventato famoso per avere “confessato” ai magistrati di avere organizzato lui il rapimento di Emanuela, della quale ha esibito agli Orlandi, che gli hanno creduto, un flauto che sosteneva essere quello della ragazza.
e – Le orge con uccisione finale di Emanuela ipotizzate da don Amorth, il famoso esorcista della Chiesa. Che ha riportato la pista delle orge in un suo libro, pubblicato dopo averne consegnato le bozze a Pietro Orlandi, che non ha avuto nulla da ridire;
f – la stralunata pista delle tomba di Enrico De Pedis con dentro la “soluzione del mistero”, pista della quale era convinta anche la sorella Natalina Orlandi.
g – La pista della “supertestimone” Sabrina Minardi asserita “amante decennale di De Pedis” quando lei stessa ha ammesso che si sono frequentati per appena due anni, per giunta mente lei svolgeva la professione di prostituta d’alto bordo. A definire mitomane Sabrina Minardi, comunque smentita dalle indagini, è stata la sua stessa sorella Cinzia.
h – Tralasciamo il fatto che De Pedis viene sempre automaticamente definito – a mo’ di riflesso pavloviano – “boss della banda della Magliana” quando invece è stato sempre assolto in tutti i gradi di giudizio perfino dall’accusa di esserne stato un semplice membro o gregario. Tant’è che quando nel febbraio ’90 venne ucciso era in regolare possesso di patente e passaporto. Tralasciamo.
Quello che però colpisce è l’astio verso la sua vedova, Carla di Giovanni, alla quale anche di recente Pietro Orlandi sulla rivista Micromega, ripetendo quando già detto a Vanity Fair 6 anni fa, ha attribuito dichiarazioni gravi per sostenere di fatto una combutta della donna col procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone.
Le parole riportate non con precisione assoluta da Pietro Orlandi sono estrapolate – e tenute fuori contesto – dall’intercettazione di una telefonata della vedova a don Piero Vergari, ex rettore della basilica di S. Apollinare, che all’epoca di quella telefonata aveva ricevuto un avviso di garanzia per poter analizzare l’archivio del suo computer riguardo la faccenda “tomba di De Pedis/scomparsa di Emanuela Orlandi”. Che il telefono di don Vergari fosse sotto controllo era ovvio e ben noto anche ai diretti interessati. Che non per questo hanno rinunciato a sfoghi personali contro l’assurdità dell’inchiesta sulla tomba – inchiesta già condotta e archiviata nel 1997 – e contro il prolungarsi dell’intera inchiesta sul “rapimento” basata sulle farneticazioni autoaccusatorie del fotografo Marco Fassoni Accetti, finite con l’accusa di calunnia e autocalunnia. Da notare che l’infinito tiro a segno su De Pedis e sulla sua tomba ha procurato alla vedova anni certo non di divertimento, ma di dolore intenso. Un po’ di humana pietas non guasterebbe. Specie da parte di chi si proclama cattolicissimo e nella Santa Sede ci ha lavorato e abitato una vita e tutt’oggi continua ad abitare nelle sue case.
La vedova De Pedis in particolare era furiosa, comprensibilmente, perché chiedeva inutilmente ormai da anni al sostituto procuratore Giancarlo Capaldo di controllare il contenuto della bara del marito in modo da porre fine alle chiacchiere e poterne trasferire altrove la salma evitando il sospetto di una traslazione per nascondere chissà quale contenuto. Ovvio lo sfogo liberatorio quando ha saputo dagli avvocati che Pignatone avrebbe ordinato a breve a Capaldo l’ispezione della bara, come in effetti poi avvenuto.
6) – Strano che Pietro Orlandi prenda per oro colato le “rivelazioni” più strampalate e rifugga invece ostinatamente da altre, per l’esattezza da tutte quelle che possono contraddire la vulgata del “rapimento” e riportare la scomparsa di Emanuela nel purtroppo solito alveo delle scomparse di minorenni. A partire da quanto affermato dallo stesso avvocato degli Orlandi, Gennaro Egidio, compresi i suoi sospetti sull’amico “misterioso” della zia Anna Orlandi;
7) – Anche ammesso che la telefonata “rivelata” da Pietro Orlandi pochi giorni fa sia stata fatta e che il Vaticano l’abbia nascosta, di cosa si lamentano Pietro e gli altri fan del “rapimento”? Forse che la pista fatta imboccare alle indagini non è stata proprio quella del rapimento? La pista del rapimento è stata fatta imboccare grazie ai vari e imprudenti pubblici appelli di Wojtyla, ben otto a partire da quello del 3 luglio, grazie alle insistenze degli stessi Orlandi e grazie all’informativa alquanto sballata dell’allora Sisde fornita al magistrato Margherita Gerunda, che stava indagando su ipotesi più normali e realistiche e che per questo venne sostituita dopo poche settimane.
POST SCRIPTUM
Non è la prima volta che Pietro Orlandi riporta “rivelazioni” altrui evitando però di fare i nomi delle fonti. E’ già avvenuto almeno due volte ai danni di don Vergari per metterlo in cattiva luce.
– Ecco cosa ha dichiarato nel 2012, evitando come sempre di fare i nomi:
“Che a Sant’Apollinare ci fossero giri strani e gravitasse un pezzo di malavita romana, non solo De Pedis con cui don Vergari era in confidenza, è purtroppo qualcosa di risaputo. Le amiche della scuola di musica di Emanuela mi dissero che suor Dolores, la direttrice, non le faceva andare a messa o cantare nel coro a Sant’Apollinare ma preferiva che andassero in altre chiese proprio perché diffidava, aveva una brutta opinione di monsignor Vergari”.
Peccato però che i verbali delle deposizioni testimoniali di suor Dolores, il suo permettere che gli alunni del Da Victoria cantassero nel coro di S. Apollinare e gli atti giudiziari tutti smentiscano in blocco le affermazioni di Orlandi compresa la possibilità che le “rivelazioni” in questione, anche a volere ammettere che siano state davvero fatte, possano essere vere.
– A “Chi l’ha visto?” sempre Pietro Orlandi ha sostenuto che in Vaticano gli avevano detto che nelle stanze sotterranee della basilica di S. Apollinare “avveniva di tutto e di più”, con chiara allusione quanto meno a orge. Peccato che anche le fonti di queste affermazioni, ammesso che siano mai state fatte, siano rimaste anonime…
Possiamo fermarci qui. Con una sola annotazione finale: che direbbe Pietro Orlandi se la stampa riportasse come oro colato le malignità che in Vaticano non risparmiano neppure lui e la sua famiglia? A partire dal fatto che coi primi stipendi pagatigli dallo IOR lui si è comprato una Maserati, acquisto ammesso e confermato.