Emanuela Orlandi e Sarah Scazzi tra Ali Agca e la pista Iran

di Pino Nicotri
Pubblicato il 8 Marzo 2013 - 06:23 OLTRE 6 MESI FA
Mehmet Ali Agca (Foto Lapresse)

Mehmet Ali Agca (Foto Lapresse)

Dopo la ricomparsa sulla cronaca di Ali Agca, il mancato assassino del Papa, il mistero di Emanuela Orlandi e la uccisione di Sarah Scazzi si prestano a osservazioni incrociate.

La richiesta del pubblico ministero di condannare all’ergastolo Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano e a nove anni di carcere Michele Misseri, rispettivamente padre e marito, per l’uccisione ad Avetrana (Taranto) della loro giovanissima parente Sarah Scazzi deve far riflettere.

In questo caso infatti il tentativo di Sabrina di far passare per rapimento la scomparsa di sua cugina Sarah è fallito. Fallito per la troppa fretta di Sabrina nel rifilare la falsa pista del rapimento, da lei già evocato con foga dopo appena 30 minuti di ritardo di Sarah all’appuntamento per andare al mare con amici.

E per i rimorsi di Michele, padre di Sabrina e zio di Sarah, che ha finito col far trovare agli inquirenti il cadavere della nipote da lui buttata, già morta, in un pozzo nella campagna di Avetrana. Se però Avetrana fosse stata in Vaticano come sarebbero andate le cose? Ed è su questo che c’è da riflettere.

Certo, la storia non si fa con i se, però è un fatto che la scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana quasi coetanea di Sarah, sparita nel nulla il 22 giugno di ormai 30 anni fa, è stata fatta passare velocemente per rapimento quando non c’era neppure un indizio che si trattasse di sequestro. Indizio che non c’era e non ci sarà mai. Tanto meno qualcosa che si potesse chiamare prova.

La pretesa che Emanuela fosse stata rapita per essere scambiata con la liberazione del terrorista turco Alì Agca, che due anni prima aveva tentato di uccidere Papa Giovanni Paolo II Wojtyla sparandogli in piazza S. Pietro, si è rivelato per quello che era: una farsa. Per giunta abborracciata alla meno peggio.

Il “rapimento” della Orlandi è rimasto infatti l’unico al mondo nel quale i “rapitori” non sono mai stati in grado di fornire nessunissima prova di avere davvero in mano l’ostaggio: solo un paio di fotocopie di carte tranquillamente reperibili nel conservatorio pontifico che la ragazza frequentava in piazza di S. Apollinare. Particolare che avrebbe dovuto indirizzare immediatamente le indagini verso il conservatorio. E invece…

E’ così che solo oggi, con 30 anni di ritardo, la magistratura sta facendo finalmente indagini e accertamenti che avrebbero avuto un senso se fatti subito anziché dover andare a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito e poi anche di fantasmi nella basilica di S. Apollinare. Pur di tenere fuori dal mirino il conservatorio da qualche tempo si devia sulla basilica, con la surreale piste della tomba di Enrico De Pedis, assurto a “boss della banda della Magliana” solo dopo un romanzo di strepitoso successo, scritto nel 2002 dal magistrato Giancarlo De Cataldo, un film nel 2005 di Michele Placido e una serie tv su Sky che raccontavano a modo loro le gesta della malavita romana.

A causare di fatto lo stop alle indagini che puntavano alla scomparsa dovuta purtroppo al solito caso di cronaca nera da violenza maschile fu, come è noto, Papa Wojtyla in persona. Il 3 luglio, cioè appena 11 giorni dopo la sparizione della sua “cittadina”, sorprese il mondo parlando per primo di mancato rientro a casa della ragazza per volontà non sua, ma altrui. Seguirono poi ben altri sette appelli pubblici, nei quali Wojtyla parlava esplicitamente di rapimento.

Per fare buon peso, il “rapimento” di Emanuela fu affiancato dal “rapimento”, parimenti avvalorato dal Papa a fine luglio, di Mirella Gregori, sparita 45 giorni prima della Orlandi senza che nessuno mai l’avesse nominata prima che il settimanale Panorama nell’ultimo numero di luglio facesse anche il suo nome tra le ragazzine scomparse a Roma.

Perché Wojtyla abbia lanciato il depistaggio è un mistero. Anche se gli scandali di vario tipo, pedofilia compresa, che hanno afflitto la Chiesa e il Vaticano lasciano intravvedere lunghe code di paglia e la necessità conseguente di evitare sospetti e indagini di qualunque tipo Oltretevere.

E’ un mistero anche perché Giovanni Paolo II agli Orlandi abbia detto che Emanuela “è stata rapita dal terrorismo internazionale”, espressione che peraltro suona bene ma non significa nulla. Come che sia, alle indagini fu così imposto un drastico cambiamento di direzione, con intervento di servizi segreti e scatenamento dei mass media non solo italiani, cambiamento di direzione che ha portato solo a chiacchiere, scandalismi e a piste fasulle, oltre che a tirare in ballo i servizi segreti dei Paesi comunisti allora esistenti, con in testa l’ Unione Sovietica.

Pista tutt’ora in corso, sia pure con qualche ritocco: Teheran al posto di Mosca. Dopo avere inutilmente devastato i sotterranei della basilica riesumando non solo la salma di De Pedis, ma anche migliaia di ossa umane sepolte nei secoli scorso sotto la chiesa come era uso comune, e mentre ancora si cerca di sputtanare in tutti i modi l’ex rettore della basilica, mons. Piero Vergari, in queste ore assistiamo infatti al ritorno all’antico: vale a dire, ad Alì Agca. Non più nei panni insostenibili di beneficiando dal “rapimento” di Emanuela, ma nei panni di depositario di “ben altre” verità. Nella sua 109esima versione Agca infatti accusa il Vaticano e l’ Iran. E, dato che c’è, anche la famiglia Orlandi.

Nell’intervista mandata in onda nelle ultime ore dal Programma Quarto Grado, di Retequattro, Agca infatti senza arrossire dichiara anzi “rivela” quanto segue:

“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state rapite soltanto per ottenere la mia liberazione. Ho prove documentali che dimostrano questa mia affermazione e questo dato di fatto. Da anni, la stampa, soprattutto quella italiana, sta seguendo le menzogne di una tossicodipendente, Sabrina Minardi. Il mondo e l’Italia vengono ingannati con la storia della Banda della Magliana. La verità è che Emanuela Orlandi è stata rapita soltanto per ottenere la mia liberazione”.

Poi il turco aggiunge:

“La famiglia sapeva. Emanuela Orlandi era la figlia di un uomo che lavorava dentro l’appartamento del Papa, considerato anche un agente dei sevizi segreti Vaticani. La famiglia Orlandi sapeva perfettamente che Emanuela era stata rapita con la complicità di qualcuno in Vaticano. Però l’ordine del rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori è partito dal governo iraniano.”. Dopo il mio ritorno in Turchia, Emanuela Orlandi è stata liberata, è stata consegnata al governo Vaticano. Adesso, probabilmente, Emanuela Orlandi si trova in un convento di clausura, affinché non riveli questa complicità del Vaticano e del governo iraniano. Quindi, in qualche modo, Iran e Vaticano sono complici nell’omertà, un’omertà incredibile”.

Che Agca sarebbe andato a parare anche sull’Iran era talmente prevedibile che l’ho scritto da un bel pezzo. Oggi infatti l’Iran è considerato il grande nemico dell’Occidente, Israele compreso, così come lo era l’Urss negli anni ’80. E del resto di Agca è stato pubblicato poche settimane fa il libro “autobiografico” dove racconta la sua vita e, con l’ennesima piroetta per chi ama essere turlupinato, al posto della Bulgaria e dell’Unione Sovietica accusa direttamente la guida spirituale dell’Iran, vale a dire l’ayatollah Khomeini: “E’ stato lui nel suo palazzo a Teheran a ordinarmi di uccidere papa Wojtyla”. Peccato solo che a suo tempo il buon Alì, che tra l’altro si è vantato più e più volte di essere Gesù Cristo, abbia dichiarato che Mosca lo aveva incaricato di uccidere proprio Khomeini…

Gli Orlandi hanno sempre voluto avvalorare la pista lanciata da Wojtyla. Cosa comprensibile, visto che abitavano in Vaticano, in pratica vicini di casa del papa, e che il capofamiglia, Ercole Orlandi. era il suo portalettere, cioè un suo dipendente. Solo dall’anno scorso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha capito che Wojtyla li ha ingannati, anche tacendo quello che sapeva. Ma sono cose che ho dimostrato fin dal 2002 con il mio primo dei due libri sulla scomparsa di sua sorella, e che ho ribadito meglio nel 2008 con il secondo libro. Un po’ di autocritica e di modestia in più da parte del signor Pietro non sarebbe male anziché pretendere il monopolio della verità e della scena. E visto che per una trentina d’anni ha lavorato allo Ior, la banca vaticana sempre al centro di scandali e sospetti, potrebbe magari spiegare qualcosa di come funziona lo Ior.

Non si può nelle stesse ore cannoneggiare su tre o quattro reti televisive contro don Vergari, facendolo passare per il responsabile della orribile fine di Emanuela, uccisa a conclusione di un’orgia, e contemporaneamente rilanciare in pista il clown Agca. Questo voler mettere assieme cose tra loro inconciliabili, e comunque tutte assurde e infondate, è solo un atteggiamento schizofrenico.

Il sintomo più evidente che crollata anche la pista del “rapimento malavitoso” attribuito a furore televisivo a De Pedis si vuole continuare a tenere in piedi lo show in qualunque altro modo, perfino ricorrendo di nuovo al vecchio rottame turco. Adesso tocca all’Iran.

A quando alla Siria, alla Cina o ai marziani? Nel frattempo le indagini hanno girato a vuoto per 30 anni. Grazie agli innamorati dei “rapimenti” e del comparire in televisione e sui giornali come cavalieri bianchi a scoppio ritardato, vestendo per giunta i panni dei segugi o dei detentori della verità, quale che essa sia a seconda dei giorni pari o dispari.

Se questi innamorati dei “rapimenti” fossero stati ad Avetrana, o se Avetrana fosse in Vaticano, Sarah Scazzi sarebbe stata rapita anch’essa dai marziani, pardòn dai Lupi Grigi, da De Pedis e dagli iraniani per essere chiusa a chiave in un convento. E la sua cara cugina e i suoi carissimi zii, la bella famigliola Misseri, sarebbero liberi, insospettati, felici, rispettati e famosi: in modo diverso da come lo sono oggi.