Emanuela Orlandi. Il segreto al sicuro in Vaticano, i polveroni aiutano

di Pino Nicotri
Pubblicato il 5 Aprile 2012 - 11:45 OLTRE 6 MESI FA

Si dice il peccato, ma non il peccatore. O anche: si sa, ma non si può dire. E che il Vaticano sappia fin dai primi giorni cosa sia successo a Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno del 1983 all’età di 15 anni, è dimostrato: a parlar chiaro sono vari atti giudiziari e perfino almeno un testimone ecclesiastico di rango, quale è monsignor Francesco Salerno.

Ma guai a dirlo ad alta voce o anche solo a farlo capire con eccessiva chiarezza, come hanno invece incautamente fatto alcune indiscrezioni raccolte nei meandri di piazzale Clodio, dove hanno sede Tribunale e Procura della Repubblica di Roma. Indiscrezioni che parlavano già di archiviazione delle nuove false piste che hanno inutilmente agitato il mistero Orlandi negli ultimi sette anni, dopo i 22 anni di truffa della pista “turca”.

Tant’è bastato per allarmare il Vaticano e provocare il recente terremoto alla stessa Procura di Roma, che peraltro a informarsi bene non è poi quel gran terremoto di cui si è scritto. In primo luogo, non è affatto vero che il neo procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone abbia ordinato al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo di non occuparsi più delle indagini sulla scomparsa della Orlandi. Capaldo, al quale è stata affidata anche la sezione antiterrorismo, e la collega Simona Maisto continueranno a occuparsene, anche se il complesso delle indagini lo coordinerà Pignatone.

In secondo luogo, non è affatto vero che il nuovo procuratore abbia già deciso di aprire, “quanto prima”, la fin troppo famosa tomba di Enrico “Renatino” De Pedis, meglio noto al pubblico di cinema e tv come Dandi,  in un sotterraneo della basilica di S. Apollinare. Anzi, nei corridoi del palazzo di piazzale Clodio c’è chi è certo di avere inteso Pignatone  affermare: “Ma come fanno a credere che si deve aprire di colpo la tomba di De Pedis come se fosse l’uovo con la sorpresa di questa Pasqua? Dopo 17 anni che se ne parla….”. Era martedì 6 aprile.

Davvero il Vaticano sa e tace? Giudichi il lettore. Il 3 dicembre 1993 i magistrati Adele Rando e Rosario Priore interrogano come testimone monsignor Francesco Salerno, che all’epoca della scomparsa di Emanuela si occupava di finanza vaticana in qualità di consulente legale della Prefettura degli affari economici della Santa Sede. Rando si occupa dell’inchiesta Orlandi e Priore di quella sugli eventuali complici di Alì Agca nel suo attentato al papa del 1981. Il monsignore fa mettere a verbale due dichiarazioni decisamente interessanti:

– “Ricordo che all’epoca dei fatti […] ebbi modo di anche di offrire una mia possibile collaborazione in tale vicenda a monsignor Giovanni Battista Re, all’epoca assessore alla Segreteria di Stato”. Ma monsignor Re rispose “che avrebbe lasciato le cose così come si trovavano”.

– “Ritengo che negli archivi della Segreteria di Stato siano custoditi documenti relativi alla vicenda e che forse potrebbero essere chiarificatori”.

Lo strano del rifiuto opposto da Re all’offerta di Salerno è che in quelle stesse ore papa Wojtyla iniziava, per l’esattezza il 3 luglio, i suoi appelli, per un totale di otto, nei quali, senza che ci fosse nessun motivo per sospettare che si potesse trattare di un sequestro, parlò in mondovisione della scomparsa della ragazza come fosse davvero un rapimento. Con l’evidente rischio di mettere a repentaglio la vita dell’ostaggio, perché da quel momento in poi gli eventuali rapitori sarebbero stati braccati da tutte le polizie e servizi segreti non solo italiani.

Ovviamente monsignor Salerno potrebbe avere raccontato ai magistrati una cosa non vera. Ma è una ipotesi da escludere alla luce del fatto che è stato nominato rettore della basilica di S. Giovanni in Laterano, che dopo S. Pietro è la chiesa più importante per il mondo cristiano. Non si nomina né si mantiene in tale incarico di grande prestigio un bugiardo. E che il dossier evocato da Salerno esistesse davvero lo dimostra la telefonata partita dal Vaticano alle ore 19,53 del 12 ottobre 1993 e intercettata dai magistrati, con la quale un certo monsignor Bertani, “cappellano di Sua Santità”, ordina all’ingegner Raul Bonarelli, vice capo della Vigilanza del Vaticano, di mentire ai magistrati che lo avevano convocato come testimone. “Non dirlo che è andata alla Segreteria di Stato”, spiega Bertani a Bonarelli riferendosi all’inchiesta interna vaticana sulla scomparsa della ragazza”.

Incalzato dai magistrati che gli chiedevano spiegazioni su quanto dettogli da monsignor Bertani, Bonarelli non ha saputo dare spiegazioni, motivo per cui venne indiziato del reato di concorso nel sequestro di Emanuela. L’accusa è caduta nel nulla. Bonarelli cioè non ha rapito nessuno, ma dalla telefonata intercettata è chiaro che sa che il Vaticano sa e infatti gli ordina di tacere.

A riprova del fatto che il Vaticano sa, e che ha sempre saputo fin dall’inizio, si potrebbero elencare vari altri elementi, compreso l’ostinato rifiuto di permettere ai magistrati italiani di interrogare alcuni cardinali sul perché di una loro riunione urgente subito dopo la scomparsa di Emanuela, che era il tema all’ordine del giorno delle riunione stessa.

Essendo arrivato da appena due settimane ed essendo Roma e l’hinterland afflitti da ben altri problemi, è chiaro che il neo procuratore della Repubblica sul caso Orlandi non poteva avere nessun elemento di valutazione. Perciò la sua “rivoluzioncina” della Procura serve solo a tranquillizzare il Vaticano. Nessuna sorpresa e nessun colpo di scena dei sottoposti di Pignatone. Ufficialmente le indagini andranno avanti “in tutte le direzioni”, ma “coordinate”, cioè anche filtrate, da Pignatone in persona. Tradotto in italiano, significa che resteranno impantanate ancora un po’ nelle sabbie mobili delle “supertestimonianze” utili solo a fare clamore e a straparlare della banda della Magliana e del suo asserito boss De Pedis. Il baccano consoliderà le leggende metropolitane, contribuendo a evitare che si rifletta e che si indaghi troppo su quanto ormai assodato da anni.

E l’uovo di Pasqua della tomba di De Pedis sarà aperto sì o no? Quello che ormai è un caso di isteria nazionale potrà offrire finalmente la sorpresona? Risposta: sì, no, nì… Sarà cioè ancora come sfogliare la margherita.

Che diceva il conte zio nei Promessi sposi? “Sopire, troncare, padre reverendo; troncare, sopire”. Sono passati 30 anni. Oltretevere sono convinti che, troncando e sopendo, sopendo e troncando, prima o poi ci sarà ben altro cui pensare. Con buona pace di Emanuela Orlandi.