Emanuela Orlandi 36 anni dopo, la telefonata dal Vaticano che non ci fu

di Pino Nicotri
Pubblicato il 13 Luglio 2020 - 13:05 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi (nella foto un manifesto col fratello Pietro)36 anni dopo, la telefonata dal Vaticano che non ci fu

Emanuela Orlandi 36 anni dopo, la telefonata dal Vaticano che non ci fu

Emanuela Orlandi. Il mistero continua. La trappola era pronta a scattare.

Pronta anche a rilanciare in campo le “fazioni vaticane” di Marco Fassoni Accetti e annessi e connessi, “codici” compresi, ma la banda Bassotti ha sbagliato i conti, li ha fatti senza l’oste. 

Perciò è scivolata malamente sulla buccia di banana di una telefonata che non può esserci stata.

Come è noto, monsignor Carlo Maria Viganò – ex nunzio apostolico negli Usa, cioè ex ambasciatore vaticano a Washington – ha rilasciato un’intervista “sensazionale” al giornalista Aldo Maria Valli, vaticanista di lungo corso.

Nell’intevista il prelato afferma che la sera del giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi, 22 giugno ’83, rivecette nel suo ufficio alla Segreteria di Stato una telefonata del direttore della sala stampa vaticana Romeo Panciroli. Costui, attorno alle ore 20, lo avrebbe avvertito di avere appena ricevuto una telefonata “dei rapitori”.

Panciroli era in Polonia

Ma Panciroli era in Polonia, per l’esattezza a Cracovia, con Papa Wojtyla, NON in Vaticano. Senza contare che la sala stampa era chiusa da sei ore perché il suo orario di lavoro finiva alle 14 (oggi alle 15).

Per cercare di mettere una toppa al clamoroso e indecoroso buco, Pietro Orlandi su Facebook non tiene in nessun conto l’orario di lavoro della sala stampa, chiusa da sei ore. E insiste a spiegare che la telefonata ci fu, cioè che Panciroli telefonò davvero a Viganò. Ma dalla Polonia e non dal Vaticano.

Ma i telefonini non esistevano, e nemmeno la teleselezione internazionale con i Paesi dell’Est, Infatti tale ipotetica telefonata potrebbe essere stata fatta solo con i telefoni fissi. E solo se all’epoca fosse già esistente la teleselezione.

C’’è però un problema, insuperabile anche questo. Nell’83 la Polonia era un Paese comunista del blocco del Patto di Varsavia, blocco e Patto contrapposti alla NATO. Era cioè un Paese satellite dell’Unione Sovietica (URSS), realtà contro la quale il Papa polacco Wojtyla si batteva con tutte le sue forze.

Solo con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, formalizzata il 26 dicembre 1991, ben otto anni e mezzo DOPO la scomparsa di Emanuela, è stato possibile allacciare linee telefoniche dirette dall’Europa all’ex URSS e annessi ex Paesi satelliti, Polonia compresa.

Come ho già scritto anche in un mio libro, ad accompagnare Wojtyla in quel viaggio in Polonia c’era tra gli altri – per sfortuna dei bugiardi e degli smemorati – anche il suo e mio amico polacco Jacek Palkiewicz, che a quell’epoca viveva a Bassano del Grappa, Italia. E Jacek è categorico:

“Ho cominciato a poter telefonare in Polonia in teleselezione, cioè senza passare per i centralini internazionali, solo nel 1992, un anno dopo il crollo dell’Unione Sovietica”. 

Jacek ricorda male? Tutti possiamo sbagliare, non solo Viganò. Ma dato il suo mestiere, addestratore di corsi di sopravvivenza anche per cosmonauti ed esploratore indomito, Jacek dovrebbe essere dotato di buona memoria. Vedremo.

Telefonate complicate

Anche a voler credere che – pur essendo chiusa da sei ore – qualcuno abbia ricevuto la telefonata in sala stampa e telefonato dal Vaticano a Cracovia per avvertire Panciroli. E che questi abbia a sua volta telefonato a Viganò. Si tratta di (ipotetiche) telefonate che devono necessariamente essere passate per i centralini internazionali.

I quali non ti davano certo la linea in tempo immediato…. Anche perché i telefoni utilizzati da Wojtyla e dal suo seguito in Polonia erano ovviamente controllatissimi dai servizi segreti polacchi e sovietici. Per l’URSS il polacco Wojtyla era un pericoloso sovversivo.

Infine un altro problema: il centralino internazionale la chiamata la smistava su un telefono fisso, in questo caso di albergo o sede religiosa, ma certamente né Panciroli né gli altri passavano le 24 ore della giornata fermi davanti al telefono fisso, anche perché oltretutto ce n’era più d’uno.

Chi riceveva la telefonata doveva andare a cercare Panciroli o chi per lui, e così, ammesso che sapesse dov’era e riuscisse quindi a trovarlo, passava altro tempo.

CONCLUSIONE: il racconto di Viganò non sta in piedi da qualunque punto lo si analizzi. Ma facciamo finta di nulla e procediamo.

L’intervista del prelato si conclude con una ben precisa domanda e una ancor più precisa risposta. 

La domanda:

“Lei pensa che il cardinale Casaroli condusse una sua trattativa riservata, al di là di quanto si è saputo?”.

La risposta:

“Non ne ho idea. Ma su questo punto potrebbe sapere qualcosa monsignor Pier Luigi Celata, che era il suo segretario di fiducia”.

In cauda venenum

Il motto latino “in cauda stat venenum” a volte ci azzecca. Anche questa volta, si direbbe. Il cardinale Agostino Casaroli all’epoca era il Segretario di Stato del Vaticano. Viganò nella sua intervista sostiene che “i rapitori” al telefono hanno più volte chiesto del Segretario.

Specificando che avrebbero trattato solo con lui. Telefonate che NON risultano da nessuna parte. Tralasciamo anche qui? No, non tralasciamo affatto. Proprio la circostanza che non risultano da nessuna parte rende ancora più ghiotta la testimonianza del segretario di fiducia di Casaroli, cioè di monsignor Pier Luigi Celata. 

Testimonianza desiderata e auspicata con nonchalance .

Come ha più volte spiegato Marco Accetti, il fotografo romano autoaccusatosi inutilmente nel 2013 del “rapimento consenziente” di Emanuela,

“Celata fu mio direttore e confessore nel collegio San Giuseppe De Merode”.

Se fosse passata la storiella raccontata da Viganò a Valli era pronto a scattare anche il resto. E cioè che Piazza Borromini e la casa di moda delle sorelle Fontana, due luoghi emersi come  possibili tracce di Emanuela all’inizio delle indagini,  sono indicazioni simboliche e precisi riferimenti.

Per le sorelle Fontana, Accetti nelle sue “rivelazioni” ai magistrati ha detto che, guarda caso,  sono “un riferimento a monsignor Pierluigi Celata, direttore del collegio San Giuseppe De Merode, la scuola da me frequentata che si trova a fianco del loro atelier”.

Accetti ai magistrati ha addirittura fatto notare che “non a caso uno dei primi due telefonisti a casa Orlandi (tre chiamate il 25 e 26 giugno 1983) si qualificò proprio con il nome di Pierluigi”, nome di battesimo di Celata.

Sempre secondo le “rivelazioni” di Accetti, il riferimento a Piazza Borromini sarebbe invece da collegare a Francesco Pazienza, il chiacchieratissimo ex capo del Super SISMI, ramo molto particolare dei servizi militari italiani di quei tempi.

I giornali e la tv rilanciano

Per fortuna siamo riusciti a scongiurare nuove tracimazioni e tsunami di “verità risolutive” più false di Giuda. Ma le televisioni e i giornali che hanno rilanciato le affermazioni fatte da Viganò a Valli fanno finta di nulla.

L’opinone pubblica resterà quindi ingannata nella sua stragrande maggior parte. E così il Mistero Orlandi Show potrà continuare. Altri 36 anni…