Emanuela Orlandi, voci al telefono: chi era Mario? Banda della Magliana, Marco Accetti risposero ai Pm…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 14 Maggio 2019 - 06:30| Aggiornato il 24 Luglio 2019 OLTRE 6 MESI FA

Mistero Orlandi. Mistero delle telefonate nel mistero di Emanuela. A 36 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, dalle migliaia di pagine degli atti giudiziari delle due inchieste che hanno cercato di squarciare i veli che avvolgono il caso, emerge una nuova pista.

Fissiamo alcune date.

Emanuela Orlandi scompare, forse rapita, forse consenziente, non si è mai saputo come, il 22 giugno 1983.

La notizia della scomparsa di Emanuela Orlandi viene diffusa dall’Ansa il 24 giugno alle 16,21. Il mattino dopo, 25 giugno, era su tutti i giornali.

Quella sera, suona il telefono a casa Orlandi, a Roma, in Vaticano. Voce d’uomo, dice di chiamarsi Pierluigi. Chiama alle 18 del 25 giugno e alle 20 del 26 giugno. Le telefonate non sono agli atti, non sono state registrate.

Il 28 giugno  alle 17 chiama un sedicente Mario. Dice di avere letto sul Messaggero che nei pressi del punto del possibile rapimento era stato notato un venditore ambulante e che pertanto vuole scagionare il suo amico.

Il 5 luglio alle ore 14 arriva la telefonata di un altro uomo, che si spaccia per portavoce dei rapitori. Parlava in modo strano: lo soprannominarono l’Americano. L’Americano fa sentire al suo interlocutore in casa Orlandi una voce di donna, asserendo trattarsi di Emanuela. La voce diceva più volte una frase insignificante: asseriva di frequentare il liceo scientifico. Nient’altro.

Al telefono di casa Orlandi ha risposto sempre lo zio di Emanuela, fratello della madre, Mario Meneguzzi.

A parte quelle di Pierluigi, tutte le altre telefonate sono state registrate.

Vediamo i fatti più recenti.

L’1 marzo 2006 i pubblici ministeri Italo Ormanni e Simona Maisto interrogano il pluriomicida Antonio Mancini, del giro della cosiddetta Banda della Magliana, in carcere da ben prima che scomparisse Emanuela il 22 giugno 1983. Uscito dal carcere con gli arresti domiciliari nel 1992, Mancini nella primavera del ’94 era tornato in carcere perché nascosti nel giardino di casa gli avevano trovato ben due chili di eroina pura, motivo per cui aveva deciso di diventare collaboratore di giustizia per poter essere scarcerato nuovamente.
Nel 2006 Mancini sente a “Chi l’ha visto?” la telefonata di “Mario” e assicura che si tratta della voce di Ruffetto o Cilletto, due tizi a suo dire della Banda della Magliana. Verrà smentito dalle perizie, ma intanto i due magistrati decidono di interrogarlo (atto giudiziario n. 4072400, composto da 65 pagine). E così dopo 23 anni la telefonata di “Mario” torna alla ribalta con grande battage.

Passa qualche anno e nell’inchiesta sul mistero Orlandi a fine marzo 2013 irrompe il fotografo romano Marco Fassoni Accetti: terrà banco a lungo, portando in anteprima a “Chi l’ha visto?” e poi ai magistrati un flauto traverso che lui sostiene essere stato quello di Emanuela. Come se non bastasse, il fantasioso Accetti “confessa” che la scomparsa di Emanuela – e di Mirella Gregori, eterna ruota di scorta del mistero Orlandi – l’ha organizzata lui per conto di una “fazione vaticana in lotta contro un’altra”. E anzi precisa che

“la scomparsa doveva essere temporanea e le ragazze e i loro genitori erano consenzienti, poi non so cosa è successo”.

Con l’arrivo di Accetti a Ormanni subentra nell’inchiesta il sostituto procuratore Giancarlo Capaldo, affiancato dalla stessa Maisto. I due magistrati sperando in rivelazioni del nuovo arrivato, che si rivelerà l’ennesimo millantatore, decidono di fargli leggere la trascrizione della famosa telefonata di “Mario”. Trascrizione ordinata al consulente tecnico Sonia Pallotti già nel 2006 da Italo Ormanni, come si legge nell’apposito suo timbro e sua firma.
Accetti viene interrogato alle ore 16 del 18 aprile 2013, stanza 108 al 1° piano della palazzina C del tribunale di Roma in piazzale Clodio. Gli viene fatta leggere e commentare, anche con annotazioni scritte a pennarello,  l’intera sbobinatura, composta da pagine la cui copertina reca la seguente intestazione:

“Trascrizione della telefonata registrata su CD-rom intestato Questura di Roma Squadra Mobile Telefonata “Mario””. 

Da notare che tale scritta significa che la trascrizione è stata avvalorata sia dalla Squadra Mobile che dalla questura. Ed ecco le sorprese:

1) – la sbobinatura è lunga ben 41 pagine, va infatti da pagina 5797 a pagina 5838 dell’atto giudiario di 308 pagine contenente anche la deposizione di Accetti;
2) – la durata della telefonata occupa quindi più di 20 minuti. Cosa assurda perché una telefonata così lunga sarebbe stata di un’imprudenza imperdonabile da parte di un “depistatore”, cioè di un delinquente in combutta coi “rapitori”.
3) – sorpresa nella sorpresa, la sbobinatura della telefonata di “Mario” contiene anche le stesse identiche parole della prima telefonata ufficialmente attribuita all’Americano, che è sempre stato detto essere stata fatta DOPO quella di “Mario”, e contiene perfino – GIA’ ALL’INIZIO – la trascrizione delle parole della voce femminile che l’Americano sosteneva essere di Emanuela. Assurdo quindi pensare che dopo avere ascoltato “la voce di Emanuela” suo zio potesse condurre una conversazione, lunga, con tono quasi amabile.

Quest’ultimo punto, il 3, pone una seria ipoteca su alcuni temi, tutti di notevole importanza:
– innanzitutto sull’esistenza del cosiddetto Americano. Infatti, in base alla telefonata che la stessa Squadra Mobile e la stessa questura definiscono di “Mario”, e che come tale viene avvalorata dai magistrati Ormanni,  Capaldo e Maisto e dalla loro consulente Pallotti, l’Americano altri potrebbe non essere che lo stesso “Mario”.

Ma procediamo.  È sempre stato detto, anche da parte di Pietro Orlandi, che “Mario” ha telefonato prima del 28 giugno, cioè senza aspettare ben cinque giorni dalla scomparsa di Emanuela. La telefonata invece appare essere proprio del 28 perché Mario al telefono cita un articolo del Messaggero di quel giorno e in particolare si capisce bene che cita la parola “traccia”, riferita alla traccia che secondo quell’articolo era stata offerta dalla telefonata di Pierluigi.  Pallotti anziché udire bene “traccia”, anche perché evidentemente non si era procurata l’articolo del Messaggero, ha scritto “tratta (?)”, cioè tra virgolette e col punto interrogativo perché non è affatto sicura di avere sentito bene.

I dubbi scompaiono anche senza leggere il Messaggero,  basta seguire la prosecuzione della telefonata. Ma nei giornali e in televisione – a partire dal defunto Telefono Giallo con zio Mario Meneguzzi ospite – si preferirà credere e far credere che “Mario” abbia invece detto sicuramente  tratta, senza né virgolette né punti interrogativi, con senza dubbi.: un modo per evocare la pista esotica e suggestiva della “tratta delle bianche”.

A meno di voler ipotizzare complotti iperbolici complici gli stessi Orlandi, appare evidente che s’è trattato di un errore del consulente tecnico Pallotti, che ha unificato le telefonate di “Mario” e dell’”Americano”. Oltretutto Pallotti conclude la sua relazione scrivendo nella riga che precede la sua firma “La trascrizione è composta da 42 pagine”, mentre invece sono 41: piccolo errore, ma mai corretto neppure quello.
Come che sia, è evidente che “Mario” non sa nulla, infatti si limita a ciò che ha letto sul Messaggero. E’ quindi evidente anche che le telefonate di Pierluigi e “Mario” non sono di rapitori o complici in tandem, come del resto dimostra già il fatto che, stando al sunto reso noto dallo stesso zio Meneguzzi che ci ha parlato, Pierluigi ignorava perfino che gli Orlandi abitassero in Vaticano.   

La telefonata di “Mario” ha comunque aspetti strani. Chi telefona dice di chiamarsi Mario, che è il nome del suo interlocutore, lo zio di Emanuela. Inoltre dice che l’amico che lui non vorrebbe fosse ingiustamente sospettato non solo si chiama Mario anche lui, ma ha una ragazza che si chiama Monica, esattamente come la figlia di zio Mario. Infine, nelle parole dette dalla voce femminile trascritte all’inizio della sbobinatura e che si vorrebbe far credere sia quella di Emanuela viene nominata la località di S. Marinella, che è la località dove zio Mario ha una casa al mare.

Osservazione finale: il “Mario” che telefona dice di essere un barista della zona di piazza dell’Orologio. Poiché sicuramente neppure allora erano centinaia, non sarebbe stato impossibile controllare quale fosse il bar dal quale era partita la telefonata agli Orlandi. Tanto più se si trattava davvero di una telefonata durata addirittura oltre 20 minuti.
Ma questo controllo NON è stato mai fatto.