Erdogan da Putin: asse Russia-Turchia? I possibili scenari

di Pino Nicotri
Pubblicato il 8 Agosto 2016 - 11:37 OLTRE 6 MESI FA
Erdogan da Putin: asse Russia-Turchia? I possibili scenari

Erdogan da Putin: asse Russia-Turchia? I possibili scenari (foto Ansa)

ROMA – Il presidente turco Erdogan arriva a San Pietroburgo intenzionato a esaminare senza pregiudizi la molto probabile, se non inevitabile, proposta di Putin di iniziare a dar vita all’asse Mosca-Ankara. Un asse preconizzato da tempo dal filosofo russo tradizionalista Konstantin Leont’ev e teorizzato ai giorni nostri dal filosofo, politologo e docente dell’Università di Mosca Alexander Dugin, che dieci anni fa ha pubblicato in Turchia un libro intitolato appunto L’asse Mosca-Ankara, mai tradotto in italiano. Leontiev affermava che la Russia e la Turchia si sono reciprocamente ostacolate da secoli nei rispettivi obiettivi, cosa che ha scatenato numerose guerre. Dugin è il leader internazionale del Movimento eurasiatista, che vuole cioè far nascere l’Eurasia unendo l’Europa all’Asia, continenti già uniti dalla continuità geografico territoriale dal Portogallo a Vladivostok, anziché essere separati da un vasto oceano come invece accade all’Europa e agli Usa. Dugin è convinto che

 “se costruiremo una strategia comune a russi e turchi potremo risolvere insieme i nostri problemi, in una relazione pacifica e in un’alleanza strategica”.

Ma Erdogan arriva a San Pietroburgo anche sempre più convinto che l’abbattimento dell’aereo militare russo in prossimità dei confini turchi il 24 novembre dell’anno scorso sia stata un’iniziativa di chi tra i militari voleva cominciare a metterlo in difficoltà per poterlo poi rovesciare più facilmente. Secondo indiscrezioni, è stato proprio Putin con la sua famosa telefonata del 16 luglio a mettergli una pulce nell’orecchio riguardo i veri motivi di quell’abbattimento (“i missili contro il nostro aereo erano diretti in realtà anche contro di te”) e a metterlo in guardia sulla possibilità di avventure militari. Si spiega così come mai quella telefonata ha portato a un’immediata riappacificazione, nonché allo sbocciare di un feeling personale: due sviluppi sorprendenti e altrimenti impensabili a fronte dello schiaffo in faccia rappresentato dall’abbattimento dell’aereo russo.

E’ certo che Erdogan non ha preso sottogamba le parole di Putin. Ha infatti ordinato una serie di controlli e di stare bene attenti a eventuali movimenti militari sospetti, soprattutto nell’ambito dei seguaci del predicatore islamico d’opposizione Fethullah Gülen, da tempo  residente negli Stati Uniti per sfuggire alle accuse di essere l’ispiratore e l’organizzatore anche di buona parte del terrorismo in Turchia. E’ stato così che già nel pomeriggio del 16 luglio i servizi hanno scoperto movimenti inusuali in una base militare effettivamente usata poche ore dopo dai golpisti.

L’allarme dei servizi ha portato all’emanazione di ordini che hanno bloccato l’uso di tutta una serie di veicoli militari e chiuso parzialmente lo spazio aereo. Capito che i loro piani erano stati scoperti, i golpisti anziché passare all’azione alle 3 di notte del 16, come avevano pianificato,  sono usciti dalle caserme già alle 9 e mezza di sera del 15. Un anticipo che ha ostacolato la concatenazione delle azioni programmate per il putsch facilitando così l’azione dei militari fedeli al presidente e la mobilitazione della popolazione, che ha avuto la possibilità di scendere in piazza senza  alcun indugio. E’ quindi piuttosto facilona e disinformata la teoria che vede nel fallito di colpo di Stato un autogolpe innescato da Erdogan per poter passare alla grande epurazione che in effetti ha poi iniziato a fare.

Che gli Usa, i Paesi europei e la stessa Nato, della quale la Turchia fa parte, abbiano avuto un atteggiamento quanto meno attendista nei confronti del tentativo di golpe contro Erdogan, come se prima di esprimersi volessero capire chi fosse il vincitore, è cosa nota e fonte di polemiche e malumori. Ora però a gettare benzina sul fuoco ci si mettono anche alcune dichiarazioni di Lawrence Wilkerson, ex Numero Uno dell’apparato dell’ex segretario di Stato USA Colin Powell, al giornale russo Sputnik:

“Sono certo che il direttore della CIA John Brennan e gli altri fossero al corrente di quello che stava accadendo in Turchia. E’ abbastanza chiaro che gli Stati Uniti hanno avuto qualche rapporto o hanno cercato di consigliare attraverso canali interni di trattenersi dal tentare il golpe, cosa che accade di tanto in tanto, oppure, al contrario, hanno notevolmente contribuito oppure una via di mezzo”.

Wilkerson ha ricordato che è uso comune degli USA sfruttare i colpi di Stato per sbarazzarsi di governi problematici per gli interessi geopolitici americani.

Come se non bastasse, il segretario delle forze aeree americane Deborah Lee James ha dichiarato a Fox News che

“la Russia è la principale minaccia per gli Stati Uniti. Mosca per l’America è una minaccia esistenziale”.

E a mo’ di bue che dice cornuto all’asino ha spiegato:

“I russi hanno armi nucleari, si sono comportati in modo molto aggressivo negli ultimi anni, stanno investendo nello sviluppo delle loro capacità militari e le testano”.

Per evitare un aggravarsi della situazione tale da indurre davvero la Turchia a uscire dalla Nato, come molti temono, questa settimana il Dipartimento di Giustizia degli USA invierà in Turchia una delegazione per discutere il futuro di Gülen, del quale Ankara vuole la consegna per poterlo processare anche perché il governo turco lo ritiene implicato nel tentativo di colpo di Stato.

Visto che l’Europa con motivazioni varie non la vuole nella sua Unione, la Turchia volge il suo sguardo altrove. La realizzazione dell’asse Mosca-Ankara le permetterebbe di avere un ruolo più forte nella lotta per il predominio politico economico in Medio Oriente, lotta che vede in gara anche l’Iran. E permetterebbe alla Russia di avere finalmente lo sbocco a un mare caldo qual è il Mediterraneo, essenziale per i commerci, secolare aspirazione già della Russia zarista concretizzata dalla Russia sovietica con la sua influenza sull’Albania. Oggi nel Mediterraneo la Russia può contare solo sulla base di Tartus concessa in affitto dalla Siria, ma la volontà soprattutto degli Stati Uniti di balcanizzare la Siria, frantumandola nelle sue etnie anche per cacciare i russi, non permette sicurezze sul futuro di quella base.