“Gasparri stai attento, così favorisci il terrorismo”: la replica di Pino Nicotri, fra i 12 arrestati del 7 aprile 1979

di Pino Nicotri
Pubblicato il 20 Dicembre 2010 - 11:51| Aggiornato il 19 Settembre 2020 OLTRE 6 MESI FA

L’onorevole Gasparri non sa di cosa parla, perciò invoca “arresti preventivi e un nuovo 7 aprile” straparlando non solo riguardo l’anno degli arresti, avvenuti nel ’79 e non nel ’78 come ha detto l’ex ministro berluscone, ma anche riguardo la sostanza. Andiamo però per ordine, spiegando prima di tutto cos’è stata l’ondata di arresti del 7 aprile 1979, passato alla storia giudiziaria e giornalistica come “il blitz” giudiziario per antonomasia. E aggiungendo subito che il ministro degli Interni di allora, Francesco Cossiga, ebbe poi modo di dichiarare pubblicamente d’essersi pentito di avere mandato i carabinieri e la polizia a reprimere sempre, soprattutto nel ’77, le manifestazioni di piazza, all’epoca spesso molto più violente di quelle che hanno sconvolto Roma nei giorni scorsi. Cossiga se ne pentì perché riconobbe che proprio quella repressione spinse troppi giovani verso il terrorismo brigatista, che nel ’78 tra l’altro rapì e uccise lo statista e uomo di governo democristiano Aldo Moro. Non so se l’onorevole Gasparri se ne renda conto, ma la sua invocazione equivale quindi a invocare la rinascita del terrrorismo.

Dunque: quel giorno il pubblico ministero Pietro Calogero fece arrestare una dozzina di personaggi, me compreso, con in testa il professore universitario di Dottrina dello Stato Antonio Negri, detto Toni, e altri leader o supposti tali di spezzoni del movimento extraparlamentare di sinistra chiamato Autonomia Operaia, come per esempio gli allora famosissimi Oreste Scalzone e Franco Piperno, ex leader con Negri del disciolto gruppo di Potere Operaio, ma compresi assistenti universitari di Negri che non c’entravano nulla di nulla se non solo con i suoi studi e libri, come Luciano Ferrari Bravo e Alisi Del Re. A quell’epoca imperversavano le Brigate Rosse (BR) e Prima Linea (PL), dedite a quella che loro chiamavano lotta armata e che altri chiamavano terrorismo. Le vittime uccise dalle BR e da PL erano purtroppo sempre più numerose. Tra gli altri, nel ’78 era stato rapito e ucciso l’onorevole Aldo Moro, con il massacro della sua scorta. Per cercare di rintracciare i responsabili del sequestro e dell’uccisione di Moro e della sua scorta il ministero dell’Interno decise di far trasmettere alla Rai e alle radio e tv private le registrazioni delle intercettazioni di alcune telefonate di brigatisti alla famiglia Moro fatte per tentare di dettare le condizioni per la liberazione del rapito. Una delle telefonate mandate in onda era invece al professor Tritto, un amico di Moro, e venne fatta per dirgli dove si trovata il cadavere di Moro, cioè in una Renault rossa parcheggiata in via Caetani, a Roma.

Fu così che nell’estate del ’78 un assistente di matematica alla facoltà di Ingegneria di Padova, Renato Troilo, ex di Potere Operaio passato al Partito comunista, si recò in questura per dire che la voce della telefonata a Tritto gli pareva fosse la mia. La questura trasmise la “testimonianza”, definendola di “fonte solitamente attendibile”, cioè a dire come se Troilo fosse un informatore abituale della polizia, sia alla procura della Repubblica di Padova che a quella di Roma, competente per il delitto Moro. La procura di Roma, ben sapendo che quella voce non era mia ma del brigatista Valerio Morucci, cestinò l’informazione. Calogero invece la prese sul serio, tanto che il giornale il Gazzettino segnalò, prima dell’agosto ’78, un suo viaggio a Roma “perché pare ci siano agganci padovani con il delitto Moro”. All’epoca ero collaboratore fisso de L’Espresso, corrispondente dal veneto di Repubblica e caposervizio del neonato Mattino di Padova, che avevo contribuito a far nascere su richiesta di Giorgio Mondadori, che quando mi chiese di darmi da fare era il presidente del consiglio di amministrazione di Repubblica. La notizia del Gazzettino mi incuriosì, e informandomi venni a sapere che ero sospettato di essere un telefonista dell Br del caso Moro! In seguito venni a sapere anche che Negri era pure lui sospettato di essere stato un telefonista brigatista del caso Moro, su “testimonianza” del professore di scuola media Severino Galante, solo che il brigatista vero di quelle telefonate e di tutto il resto si chiamava ed era Mario Moretti, non Toni Negri.